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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-06-22 ad oggi 2010-08-20 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

2010-07-10 Elkann: vogliamo fare la nostra parte. Sacconi: decisione significativa per tutti

C’è l’accordo, la Panda va a Pomigliano

Vertice Fiat con Cisl e Uil, poi l’annuncio: il nostro piano andrà avanti

Telecom, programmati 3.700 tagli entro i prossimi 11 mesi. In tutto si arriverà a 6.822 unità da lunedì via al piano esuberi Sacconi: "Difficile il dialogo sociale"

A breve le lettere con i licenziamenti. I sindacati: "Comportamento vergognoso". Preoccupato il ministro

ST

DG

Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

41° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

2010-06-23 FIAT Pomigliano, il plebiscito non c'è stato Fiat: "Lavoreremo con i sindacati firmatari"

I favorevoli sono la maggioranza (63%), ma i numeri non sono quelli auspicati. "Impossibile trovare un'intesa con chi ci ostacola con argomentazioni pretestuose". Bonanni minaccia: niente scherzi e reagiremo con forza. Fiom pronta a trattare. Marcegaglia: "C'è un sindacato che non capisce"

2010-06-18 sullo stallo in corso sull'accordo per L'IMPIANTO NEL NAPOLETANO

Fiat, l'allarme di Marchionne: "Senza accordo non esisterà più industria"

"A Termini Imerese hanno scioperato per la nazionale". La denuncia Fiom: "Fiaccolata sabato sera a Pomigliano. L'azienda vuole replicare la marcia dei 40mila"

2010-06-15 NAPOLI - Accordo separato sullo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco e referendum martedì 22. Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato il nuovo documento, integrato, presentato dal Lingotto. La Fiom ha confermato il suo no.

La Fiat ha sottoposto ai sindacati dei metalmeccanici un nuovo documento in cui viene aggiunto il sedicesimo punto relativo alla istituzione di una commissione paritetica di raffreddamento sulle sanzioni, come era stato richiesto dalle organizzazioni che venerdì scorso avevano già dato un primo ok.

Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

ORA BASTA !

L a FIAT non è Marchionna, la FIAT è la Storia dell'ITALIA, i LAVORATORI, i SINDACATI, l'INTERO PAESE ITALIA.

Se Marchionne ed altri non l'hanno capito, allora sarà l'ITALIA a rispondere UNITA:

  • La Prossesionalità, l'Organizzazione, l'Esperienza non si Inventano, e la Solidarietà neppure.
  • Se qualcuno ha in mente di abbandonare o ricattare l'Industria Italiana ed il suo Mondo del Lavoro e la Società Italiana ha sbagliato di Grosso, l'ITALIA non starà alla Finestra A Guardare scempi !
  • Io non sono uno che è comtro lo slviluppo del Terzo Mondo, anzi sono propugnatore convinto, ma questo non significa essere al soldo del Capitale Finanziario e Speculativo.
  • Lo sviluppo si porta giustamente al Terzo Mondo non per punire gli Italiani o i Lavoratori dei PaesI Ricchi, né è pensabile che gli Italiani si accontentino di giocare al ribasso da accettare salari da fame.
  • Gli Italiani tendono al Top, a salari da America, da Germania, da Francia, è con questi che dobbiamo Competere, non con i Paesi Sottosviluppati.
  • La libertà d'Impresa intesa come ha detto il Premier Berlusconi a me non sta bene affatto, perché è libertà di speculare, non è libertà di iniziativa, di voglia di lavorare, ma solo di far soldi a scapito di chi lavora.
  • E la nostra protesta va estesa anche agli altri Paesi Fondatori dell'Europa, perché la Politica Europea non può né deve essere accondiscendente a logiche qualunquiste di Finanza Spudorata.
  • L'italia, l'Europa, l'America sono la Mente dello Sviluppo, e l'Italia da oltre 2 millemnni è culla di Civiltà e Progresso.

Sia chiaro a tutti, compresi ai politici Corrotti !

Per. Ind. Giacomo Dalessandro

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-06-22 ad oggi 2010-08-20

AVVENIRE

per l'articolo completo vai al sito internet

http://www.avvenire.it

2010-08-10

 

10 agosto 2010

POTENZA

Fiat, da reintegrare i tre dipendenti licenziati

La Fiat è stata condannata per comportamento antisindacale e i tre operai licenziati a Melfi dovranno essere reintegrati dall'azienda. È questa la decisione del giudice del lavoro di Potenza in merito ai licenziamenti decisi nello stabilimento lucano dal gruppo automobilistico secondo quanto riferisce Enzo Masini, responsabile nazionale per il settore auto della Fiom-Cgil.

"La Fiat è stata condannata per comportamento antisindacale e il giudice ha detto che i tre licenziamenti sono illegittimi e i dipendenti dovranno essere reintegrati al lavoro", dice Masini. I tre dipendenti, due dei quali rappresentanti sindacali, erano stati licenziati a metà luglio dall'azienda perché durante un corteo interno allo stabilimento avevano bloccato un carrello robotizzato che riforniva altri operai che erano regolarmente al lavoro.

L'allontanamento dei tre operai è arrivato durante una delle fasi della complessa trattativa che la Fiat sta portando avanti per ottenere un contratto ad hoc per i dipendenti dello stabilimento napoletano di Pomigliano d'Arco, che prevede sanzioni per chi non rispetta le intese. Un accordo che la Fiom-Cgil si è rifiutata di sottoscrivere - al contrario di Uilm-Uil, Fim-Cisl, Ugl e Fismic - attirandosi addosso, secondo quanto dichiarato dai vertici della Fiom, anche la reazione dell'azienda.

Oggi Giovanni Sgambati, segretario della Uilm Campania e responsabile per il settore auto del sindacato, teme che la decisione del giudice di Potenza inasprisca il conflitto innescato dall'accordo separato su Pomigliano, ma anche dai licenziamenti. "Mi auguro che ora ci sia meno enfasi politica e la vicenda si chiuda qui, senza altri passaggi in tribunale, soprattutto per il bene dei lavoratori", ha detto Sgambati, riferendosi alla possibilità che la Fiat ricorra in appello prolungando la querelle giudiziaria e stimolando la conflittualità intersindacale.

Giuseppe Farina, segretario generale della Fim-Cisl, ritiene al contrario che la sentenza "contribuirà a rasserenare gli animi". La sentenza, spiega il sindacalista, "è un segnale per il gruppo e ci dice due cose: che la Fiat ha sbagliato a non graduare le sue decisioni nei confronti di quei dipendenti, utilizzando gli strumenti già previsti dal contratto, ma ci dice anche che l'attuale quadro di riferimento legislativo e contrattuale garantisce la tutela dei diritti".

 

 

 

 

 

2010-08-04

4 Agosto 2010

LAVORO

Telecom, 3900 esuberi:

accordo per mobilità volontaria

Fumata bianca alla Telecom: il negoziato, partito a metà luglio, è stato molto serrato all'indomani dell'annuncio dell'azienda di 6.800 licenziamenti nei prossimi due anni (3.700 dei quali entro giugno 2011). E stanotte, dopo 24 ore di confronto al ministero dello Sviluppo Economico, è stata trovata l'intesa: tra le novità la formazione e la mobilità volontaria. Per 3.900 dipendenti si prevede l'attivazione di una mobilità ordinaria su base volontaria nel biennio 2010-2012. Per altri 2.220 invece si ricorrerà a percorsi di formazione con contratti di solidarietà per consentire il reinserimento in settori strategici dell'azienda, in particolare la rete. Si tratta di 1.300 dipendenti non coperti da tutela e saranno reinseriti in Telecom, di 470 dipendenti del '1254' e 450 di SSC.

Per i lavoratori già posti in mobilità, che si sono visti slittare in avanti la data utile a percepire la pensione a seguito delle modifiche normative sopraggiunte, si è ottenuta la copertura del 90% della retribuzione per i periodi eventualmente scoperti. L'attivazione di mobilità ordinaria su base volontaria per circa 3.900 lavoratori sarà volta, principalmente, a coloro che così potranno raggiungere i requisiti pensionistici previsti dalla legge. I lavoratori del '1254' avranno una proroga dei contratti di solidarietà per ulteriori due anni e un piano formativo di riqualificazione nonchè un ulteriore riutilizzo del telelavoro. Per Ssc è prevista l'attivazione di circa 470 contratti di solidarietà anche questi associati ad un piano formativo e che reintegri i lavoratori in altri settori di Telecom, oltre a prevederne l'internalizzazione dei processi di attività informatiche. Per 1.300 lavoratori che non hanno protezioni sociali ed erano, per l'azienda, esuberi strutturali è previsto un importante piano formativo al termine del quale porterà ad una riqualificazione completa dei lavoratori per un loro utilizzo in altri settori strategici per l'azienda.

Per i lavoratori ex Tils, attualmente non impiegati, grazie anche ai percorsi formativi previsti per i colleghi di altri settori/aziende, c'è l'impegno di riassunzione in Hr Service. Soddisfatte le parti. L'ad di Telecom, Franco Bernabè, ha sottolineato come l'intesa garantisca "il rispetto e la tutela dei lavoratori". Per il Governo l'accordo è un "segnale di maturità da parte di tutti, del sindacato, dell'azienda e per certi versi anche del Governo", afferma il vice ministro allo Sviluppo economico, Paolo Romani. "Certamente la notizia è buona, fino a poche settimane fa il quadro era diverso con licenziamenti unilaterali", dice invece il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Anche i sindacati mostrano apprezzamento: per Enrico Miceli della Slc Cgil l'accordo è un modello possibile

 

 

 

 

2010-07-29

29 luglio 2010

AL TAVOLO CON GOVERNO E SINDACATI

Fiat, fabbrica di aut-aut

C’hiamato a chiarire cosa ne sarà del piano "Fabbrica Italia" dopo l’annuncio della produzione in Serbia dei prossimi monovolume del gruppo Fiat, Sergio Marchionne ha spiegato tutto: il programma da 20 miliardi non è cambiato, c’era bisogno di decidere rapidamente dove costruire quelle auto e solo l’impianto di Kragujevac poteva dare certe garanzie. Ma Mirafiori non perde nulla, perché nella gamma di Fiat e Chrysler non mancano certo le nuove vetture da costruire. Detto questo – a Torino, al tavolo su Mirafiori tra l’azienda, il governo e i sindacati – il manager italo-canadese ha quindi aggiunto che c’è poco da trattare. Al governo Marchionne ha fatto presente che non chiede aiuti pubblici né incentivi perché non vuole "farsi coinvolgere" politicamente. Ai sindacati ha ricordato che Fabbrica Italia non è un accordo, ma un progetto autonomo di Fiat: quindi l’azienda non ha nessun vincolo.

Non c’è spazio per grandi trattative. Fiat vuole investire in Italia – l’unica area del mondo in cui l’azienda è ancora in perdita – ma se i sindacati non le daranno "la sicurezza che le fabbriche possano funzionare" non lo farà. L’azienda non può permettersi "di produrre a singhiozzo, con livelli ingiustificati di assenteismo, o di vedere le linee bloccate per giorni interi". E se questo non è possibile "andrà altrove" perché "non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza della Fiat". L’accordo su Pomigliano non sarà replicato, si procederà con intese impianto per impianto. Lavorare senza ostacoli, è questa "certezza" quello che vuole Marchionne. "Vogliamo governare gli stabilimenti. Questa non è una cosa oscena. Qui in Italia sembra che stiamo parlando della luna" dirà il manager qualche ora dopo, alla fine dell’incontro in Confindustria con Emma Marcegaglia. Marchionne dirà anche che "prima dei diritti vengono i doveri, ma qui invece abbiamo invertito il discorso".

Anche al tavolo torinese Marchionne ha parlato a lungo e agli altri (gli "altri" sono i sindacati) ha chiesto di parlare poco. Perché in questa situazione "non servono fiumi di parole" ma bastano "un sì o un no". E se sarà sì, che sia "definitivo e convinto" ha avvertito il manager.

Le repliche sono arrivate presto. Quello della Cisl è un sì "senza se e senza ma" ha risposto Raffaele Bonanni. Con una condizione, però: che Fabbrica Italia "rimanga nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito". È un sì anche quello della Uil, perché, ha spiegato Luigi Angeletti, l’obiettivo di raddoppiare la produzione di auto in Italia "è così importante che non andiamo a cercare alibi o scuse per non raggiungerlo". In cambio però Angeletti chiede chiarezza: "La Fiat ci dica quali sono le condizioni per cui questo progetto si implementi sicuramente". Chi ha firmato – su Pomigliano, ma anche sul contratto nazionale dei metalmeccanici – ci sta. La Cgil, che quegli accordi li ha rifiutati, ha confermato il suo no. Guglielmo Epifani ha chiesto a Marchionne di "riaprire il confronto a partire da Pomigliano", di farlo "gestendo l’eventuale dissenso" e senza "usare i carrarmati". Qualcosa, evidentemente, molto lontano dall’assenso "convinto" richiesto dal manager.

Il governo è con Cisl e Uil. "Soddisfatto" e rassicurato sulle intenzioni dell’azienda, Maurizio Sacconi ha chiesto solo di "restare nell’alveo delle tradizionali relazioni industriali": per il ministro del Lavoro sindacati e azienda a questo devono "trovare modalità con cui adattare il sistema di relazioni alle concrete esigenze degli obiettivi che si sono posti". Per l’esecutivo non resta che un ruolo di mediatore, perché il compito di "finanziatore" della più grande industria manifatturiera d’Italia si è esaurito con la fine degli incentivi. Una battuta di Marchionne non è sfuggita al ministro: "Ha ribadito che non chiede e che non cerca incentivi pubblici, ma cerca gli incentivi nelle persone e nelle organizzazioni sindacali".

Pietro Saccò

 

 

 

 

29 luglio 2010

La grande partita del "caso Fiat"

Il rivoluzionario e la politica distratta e invischiata

Invischiate in un miscuglio di rassegnazione e indifferenza, distratte dalle convulsioni interne alla maggioranza e dagli sviluppi delle inchieste giudiziarie su P3 e dintorni, la politica e la società italiane sembrano incapaci di inquadrare nelle sue esatte dimensioni la grande partita che si sta giocando attorno al caso Fiat. Proiettata ormai da anni in una dimensione operativa sovranazionale, che l’accordo dello scorso anno con Chrysler ha solo reso evidente anche ai ciechi, l’azienda manifatturiera che fu nazionale per definizione è pronta adesso a giocare in modo "esemplare" una carta cruciale per il futuro di tutti: la messa in discussione esplicita e il superamento del tradizionale sistema di relazioni industriali, costruito storicamente sul binomio conflitto-contratto.

Un obiettivo, questo, perseguito dal numero uno Sergio Marchionne non con intenti ideologici, ma quasi per marcare una volta per tutte il carattere di "extra territorialità" del suo gruppo, non più disposto a restare all’interno di recinti ritenuti, a torto o a ragione, insostenibili. Che tutto ciò possa avvenire senza ricadute significative per il Sistema Italia nel suo complesso è evidentemente impensabile. Stupisce, allora, che per il momento nei palazzi della politica non siano in molti – ministro Sacconi a parte – a prendersene cura con un livello adeguato di attenzione.

Il giorno dopo l’annuncio sulla "newco", la nuova società creata appositamente per gestire lo stabilimento di Pomigliano, si è consumata ieri sull’asse Torino-Roma una giornata di incontri e di trattative che, a livello di decisioni concrete, si è rivelata ancora interlocutoria. Ma che intanto è servita all’amministratore delegato di Fiat per ribadire il suo punto di vista con un frasario netto e dai tratti vagamente messianici ("Ci sono due sole parole possibili da pronunciare: una è sì, l’altra è no").

Non è escluso che certi toni ultimativi nascondano una intenzione tattica, che le pressioni mediatiche e psicologiche puntino anzitutto ad ammorbidire le componenti sindacali e politiche tuttora contrarie a consentire deroghe al sistema delle regole vigenti, in cambio della certezza di un impegno produttivo consistente. Anche l’ipotesi di non iscrivere la nuova azienda all’associazione delle industrie metalmeccaniche, per sfuggire ai vincoli del contratto collettivo, potrebbe infine rientrare, in presenza di garanzie adeguate sulla continuità dei ritmi lavorativi e sulla rinuncia alla conflittualità facile: in fondo, gli operai Chrysler di Detroit hanno già firmato da tempo l’impegno a non scioperare fino al 2015.

Ma anche solo il fatto che uno scenario simile sia stato evocato, ci pare, avrebbe dovuto destare ben altra attenzione. Dagli anni ’50 in poi, l’accostamento Fiat-Confindustria ha rappresentato un binomio pressoché obbligato, una sorta di identificazione implicita e scontata tra gli interessi della maggiore azienda nazionale e quelli della categoria degli imprenditori privati. Al punto di dar vita a ricorrenti polemiche delle piccole e medie imprese, che spesso imputavano a Viale dell’Astronomia un eccessivo appiattimento sulle posizioni di Corso Marconi. La semplice ipotesi di un "satellite" Fiat che non entra in Federmeccanica, la sigla confindustriale di settore, ha insomma del sensazionale.

Molti indizi, per altro, inducono a pensare che la vicenda Fiat non si giocherà mai più solo sul terreno simbolico. E che molte tessere, nel mosaico finale dell’industria automobilistica italiana e mondiale, usciranno rivoluzionate: ci auguriamo senza pagare prezzi sociali troppo alti e senza ridestare antichi e tristi fantasmi.

Che nulla sarà più come prima, altrove se ne sono accorti da tempo. Domani Barak Obama sarà a Detroit, anche per visitare gli impianti della Chrysler. Ad accoglierlo ci sarà quello stesso Marchionne che il presidente Usa volle già incontrare nella fase decisiva della trattativa con Fiat. Da dove tutto è cominciato. Al volante dell’auto c’è posto per uno solo, ma i cambi di marcia e di direzione – tanto quanto le accelerazioni – vanno sorvegliati con lucida capacità di governo e di rappresentanza dell’interesse comune.

Gianfranco Marcelli

 

 

 

 

29 luglio 2010

IL LAVORO E L'AUTO

Fiat-Confindustria, nessuno strappo

Un incontro di 45 minuti tra Sergio Marchionne ed Emma Marcegaglia scongiura, almeno per ora, l’uscita della Fiat da Confindustria e dalla cornice del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Dopo il tavolo riunito a Torino ieri mattina, nel pomeriggio è andato in onda il secondo tempo della partita sul futuro del Lingotto e dell’auto italiana. Mentre dai sindacati che hanno siglato l’accordo per il rilancio di Pomigliano partivano segnali di disponibilità al confronto, l’ad della Fiat è volato a Roma per fare il punto con il leader degli imprenditori.

Per la multinazionale dell’auto l’obiettivo è quello di avere garanzie che un accordo come quello siglato in Campania (e altri che dovessero arrivare) non trovi ostacoli nell’attuale contratto nazionale. Una certezza che allo stato non c’è nemmeno con lo strumento della newco (la società nuova di zecca che gestirà Pomigliano) appena varata dalla Fiat a Napoli. Da parte sua Confindustria vuole evitare di essere scavalcata dal ventilato atto unilaterale del Lingotto (la disdetta del contratto e l’uscita da Federmeccanica) che ne indebolirebbe prestigio e rappresentatività.

Così dopo il colloquio Marcegaglia ha spiegato che Confindustria "condivide l’obiettivo di Fiat di puntare a una maggiore competitività e produttività", un traguardo di "tutto il sistema industriale". Assicurando di voler lavorare a un processo di cambiamento delle regole. "Abbiamo definito insieme – ha proseguito il leader – un impegno a trovare nel più breve tempo possibile una strada affinché Fiat possa implementare nel miglior modo possibile gli obiettivi di competitività, come a Pomigliano restando all’interno di Confindustria"

"C’è un impegno comune – ha rimarcato Marchionne – cerchiamo di portare a casa una soluzione anche con Emma". Anche se l’ad della Fiat non ha mancato di avvertire fin dal mattino che "la disdetta del contratto è possibile" e che "c’è sempre un piano B". Insomma andiamo avanti insieme, è il messaggio a Confindustria e ai sindacati, ma se i risultati non arrivano andremo avanti anche da soli.

Nessun dettaglio sull’impegno a cui lavorano le parti. Ma dal momento che l’attuale contratto metalmeccanico scade nel dicembre del 2012 e Fiat vuole cambiamenti a breve, la soluzione sembra essere quella di un’integrazione concordata alla normativa nazionale che permetta delle deroghe stabilimento per stabilimento (come a Pomigliano) con accordi specifici tra le parti. Una soluzione resa in qualche modo più semplice dal fatto che la Fiom-Cgil non ha firmato l’ultimo contratto e dunque la sua probabile contrarietà non sarà di ostacolo a un nuovo accordo tra le parti. Di questo piano si comincerà a parlare già oggi nell’incontro convocato da Fiat con i sindacati di categoria a Torino.

Alla chiamata di Marchionne "rispondiamo sì senza se e senza ma", ha assicurato il segretario della Cisl Raffaele Bonanni dopo il vertice di Torino. Alla Fiat il segretario cislino chiede però di fare chiarezza sul fatto che si rimarrà "nel perimetro del nuovo modello contrattuale che abbiamo costruito". Siamo "pronti a discutere e a dare le garanzie chieste da Marchionne ma tassativamente dentro le regole contrattuali vigenti", ha sottolineato.

Per Luigi Angeletti l’obiettivo di aumentare la produzione di auto in Italia, "è così importante da non permettere "alibi o scuse". "Non abbiamo problemi ad accettare la sfida , ha aggiunto il leader della Uil, spiegando in merito agli assetti contrattuali che "gli stabilimenti Fiat sono diversi e non si può fare una camicia a taglia unica". In sostanza non servono nuove regole nazionali vincolanti per tutti ma piuttosto la possibilità di trovare accordi specifici come a Pomigliano. Restano ai margini Cgil e Fiom. Per Gugliemo Epifani dal vertice di Torino non sono emersi fatti nuovi. "Chiediamo che si possa riaprire il confronto a partire da Pomigliano senza usare i carri armati e trovando una soluzione condivisa", è l’auspicio. Ma le cose paiono andare in un’altra direzione.

Nicola Pini

 

 

 

 

2010-07-28

28 luglio 2010

AL TAVOLO CON GOVERNO E SINDACATI

"Senza un "sì" convinto,

meno investimenti in Italia"

Senza un "si" convinto, meno investimenti. Questo l'avvertimento di Sergio Marchionne intervenuto aoggi al tavolo sulle prospettive del gruppo e sullo stabilimento di Mirafiori: "Se si tratta solo di pretesti per lasciare le cose come stanno è bene che ognuno si assuma la propria responsabilità sapendo che il progetto "Fabbrica Italia" non può andare avanti e che tutti i piani e gliinvestimenti per l'Italia verranno ridimensionati".

"Sarebbe stato molto più semplice e anche più economico guardare ai vantaggi sicuri che altri Paesi possono offrire - ha aggriunto -. La corsia per venire in Italia per aprire un nuovo insediamento è drammaticamente vuota. Questa è la verità".

L'amministratore delegato di Fiat ha poi ricordato che gli investimenti previsti in Italia, circa 20 miliardi, "equivalgono quasi alla Finanziaria di cui si discute in questi giorni. La sola cosa che abbiamo chiesto - ha spiegato - è di avere più affidabilità e più normalità in fabbrica. Da qualcuno ci siamo sentiti rispondere che stiamo ricattando i lavoratori, violando la legge o addirittura la Costituzione. Non voglio più commentare assurdità del genere".

All'incontro, che si sta svolgendo nella sede della Regione Piemonte partecipano il ministro Maurizio Sacconi, l'amminsitratore delegato Fiat Sergio Marchionne, i leader dei sindacati confederali e metalmeccanici, i rappresentanti delle istituzioni locali. È inoltre previsto per oggi il faccia a faccia tra Marchionne e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia per cercare una via d'uscita dopo l'ipotesi ventilata da parte del Lingotto di disdire il contratto nazionale.

"Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza del'azienda - ha detto Marchionne - Dobbiamo decidere se avere un settore auto forte in Italia o consegnarlo ai competitori esteri". L'amministratore delegato di Fiat ha poi rassicurato gli interlocutori precisando che il piano d'investimenti "Fabbrica Italia" verrà portato avanti e che Fiat è "l'unica azienda a investire 20 miliardi nel Paese. Ma dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare".

Parlando poi della produzione della monovolume "LZero" in Serbia, Marchionne ha precisato che il progetto "non toglie prospettive a Mirafiori. Esistono alternative per garantire i volumi di produzione" nella fabbrica torinese.

"Ci sono solo due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate una è sì, l'altra è no", ha concluso Marchionne. Un quadro in cui "si" vuol dire, per l'ad di FIat, "modernizzare la rete produttiva italiana" e "no" significa "lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro".

 

 

 

 

28 luglio 2010

INIZIATIVA

Fiat, prova di forza

su Pomigliano e contratto

Fiat 2, la clonazione: nuova società per Pomigliano e nuovo contratto di lavoro su misura dell’auto globale. Dopo avere ridisegnato la struttura del gruppo (con lo spin off delle quattro ruote) Sergio Marchionne "scorpora" anche le relazioni industriali. Alla vigilia del tavolo di questa mattina a Torino sul futuro di Mirafiori e degli stabilimenti italiani, il Lingotto ha fatto filtrare la doppia notizia, che conferma le indiscrezioni degli ultimi giorni. La prima riguarda la new company (newco), costituita già lo scorso 19 luglio: si chiama "Fabbrica Italia Pomigliano", è interamente controllata dalla Fiat e presieduta dallo stesso Marchionne: dovrà rilevare lo stabilimento Gian Battista Vico e gestire il rilancio della produzione con l’arrivo della Panda. Assumerà con un nuovo contratto (assorbendo le clausole contenute nell’accordo con i sindacati sottoposto a referendum) i 5.000 lavoratori della fabbrica campana.

La seconda novità non è ancora ufficiale ma non viene smentita dal Lingotto. Dopo l’incontro di oggi, Fiat ha infatti convocato i sindacati anche per domani e in quella sede comunicherà la disdetta degli accordi vigenti, tra i quali il contratto nazionale di lavoro metalmeccanico, firmato nel 2009 con un accordo separato (senza la Fiom) e valido fino a tutto il 2012. L’incontro si svolgerà in due tappe: un primo round con i tutti i sindacati per discutere dell’attuazione di Fabbrica Italia e un secondo passaggio con le sigle firmatarie dell’intesa di Pomigliano (Fim, Uilm, Fismic e Ugl): la disdetta dovrebbe essere comunicata in questo contesto. A corollario di questa scelta la newco appena costituita non aderirebbe all’Unione industriale campana proprio per evitare di applicare fin da subito il contratto nazionale.

La prova di forza di Marchionne ha suscitato reazioni e preoccupazioni nel mondo sindacale e politico. Anche se alcuni leader attendono prima di esprimersi di avere più chiaro il quadro delle intenzioni Fiat nei due incontri di oggi e domani.

"L’uscita dal contratto nazionale? Non la voglio nemmeno prendere in considerazione", afferma il segretario della Uil, Lugi Angeletti. "Non credo che la Fiat possa non applicarlo – aggiunge –. Può fare una cosa ovvia: quando scadrà potrebbe non applicarlo più e allora dovrà negoziare con i sindacati un nuovo contratto". La mossa non piace nemmeno al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che ieri ha invitato la Fiat a non fare "scelte unilaterali". La Fiom con il segretario Maurizio Landini afferma che "se la Fiat pensa per attivare la newco di arrivare alla disdetta del contratto nazionale, sarebbe un atto senza precedenti, un fatto grave e inaccettabile".

Approva invece l’ex presidente di Federmeccanica, Massimo Calearo, oggi deputato dell’Api, che definisce Marchionne "precursore dei nuovi rapporti industriali in Italia". Mentre il senatore pd Tiziano Treu si dice "preoccupato": "Il problema è come fermare questa ondata – sottolinea – e su questo anche il governo deve dire qualcosa. Poi però sarà necessario ripensare alle regole di sistema". Per l’ex ministro "lasciare il contratto nazionale è una rottura netta del sistema ed è come dire che neppure con gli aggiustamenti introdotti a Pomigliano è possibile lavorare in Italia".

È dunque una vigilia molto tesa quella che ieri ha preceduto l’incontro convocato oggi alla 10 a Torino dal ministro Sacconi con azienda, sindacati ed enti locali la quale dovrebbe essere presente lo stesso Sergio Marchionne. Sul tavolo il nodo di Mirafiori dopo la decisione di produrre in Serbia il nuovo monovolume L0 e più in generale il piano di rilancio degli stabilimenti italiani prevista da Fabbrica Italia. Sindacati e istituzioni si attendono la conferma degli investimenti (20 miliardi in 5 anni) e dei livelli produttivi (1,4 milioni di auto) annunciati ad aprile. "La partita è più che mai aperta e sono ottimista per la sua soluzione", afferma Sacconi che crede "nella volontà degli attori e nella loro consapevolezza di quanto sia alta la posta in gioco". Una posta che riguarda ormai, insieme al futuro dell’industria dell’auto e dell’occupazione, l’intero sistema delle relazioni sindacali.

Nicola Pini

 

 

 

2010-07-27

26 luglio 2010

INIZIATIVA

Fiat, nasce Fabbrica Italia

Marchionne presidente

Nasce Fabbrica Italia Pomigliano, società iscritta al registro delle Imprese della Camera di commercio di Torino e controllata al 100% da Fiat Partecipazioni. Presidente è l'ad del Lingotto Sergio Marchionne. La società ha sede legale a Torino e il capitale sociale è di 50mila euro.

L'oggetto sociale della new company è "l'attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine può costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende".

Inoltre la società "può compiere le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o società, anche intervenendo alla loro costituzione".

La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5mila lavoratori attuali della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo con i sindacati il 15 giugno, non firmato dalla Fiom.

 

 

 

 

2010-07-25

24 luglio 2010

CITTÀ DEL VATICANO

Osservatore Romano:

insostenibile delocalizzazione

La delocalizzazione può funzionare, ma non se è mirata a produrre dove il lavoro costa meno e vendere e investire in aree diverse, perchè in una economia sana devono essere presenti tutte e tre queste dimensioni. È quanto sostiene il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, in un editoriale di prima pagina dell'Osservatore Romano, in cui non si parla mai esplicitamente della Fiat, ma facilmente riconducibile alle vicende di questi giorni.

Il banchiere cattolico cita una storiella di Henry Ford, il quale, "dopo avere sopportato un lungo periodo di conflittualità sindacale, fece progettare e costruire una fabbrica di automobili totalmente automatizzata. Mostrò poi l'impianto senza operai al potente capo dei sindacati e gli disse con scherno: 'La fermi ora, se ne è capace'. Ma il sindacalista replicò: 'Adesso venda lei le auto prodotte, se ne è capacè. Sottintendendo che, se non si produce potere di acquisto, non è nemmeno possibile vendere".

"L'uomo economico - insiste Gotti Tedeschi - è infatti produttore, compratore, investitore", e "il mondo intero ha sotto gli occhi gli effetti della delocalizzazione, soprattutto in Asia, degli ultimi anni, fenomeno che ha prodotto trasferimenti di capitali e tecnologie, orientati soprattutto a ottenere produzioni a basso costo, ma senza basarsi su vere scelte strategiche. Ciò ha generato un nuovo modello economico difficilmente sostenibile, perchè ha creato Paesi produttori, ma temporaneamente non consumatori, e Paesi consumatori, ma non più produttori. I primi sono entrati nel ciclo economico della crescita, i secondi ne sono quasi usciti".

Se una simile filosofia prendesse piede in Occidente - avverte Gotti Tedeschi - "si rischia di poter quotare in Borsa solo l'Empire State Building, la Tour Eiffel o il Colosseo".

 

 

 

 

23 luglio 2010

AUTO

Calderoli: "Fiat garantisca occupazione

altrimenti paghi il conto"

"A me interessa poco di cosa la Fiat voglia andare a fare in Serbia, a me interessa che lo stabilimento di Mirafiori resti aperto e siano garantiti i livelli occupazionali, investendo come si è fatto a Pomigliano". Lo afferma il ministro Roberto Calderoli (Lega) che aggiunge: "Ho fiducia nel tavolo promosso dal nostro Roberto Cota a Torino la prossima settimana, diversamente saremmocostretti a far pagare il conto non soltanto alla Fiat, ma a tutte le altre imprese, di quanto hanno ricevuto in questi decenni dallo Stato, perché, torno a ripetere, non si può pensare di sedersi ad un tavolo, mangiare con aiuti di Stato e incentivi e poi andarsene senza pagare il conto!".

LA CONVOCAZIONE DI SACCONI

Sulla vicenda Fiat è intervenuto anche il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi, che d'intesa con il presidente della Regione Piemonte, "convoca la Fiat Auto e le organizzazioni sindacali di categoria e confederali per l'esame del Piano "Fabbrica Italia" e delle sue ricadute produttive e occupazionali sui siti produttivi italiani". Lo fa sapere il ministero in una nota. "Il confronto tra parti e istituzioni si svolgerà mercoledì 28 alle ore 10 presso la Regione Piemonte a Torino".

Per Sacconi tra la vicenda di Pomigliano D'Arco e l'annuncio della delocalizzazione in Serbia c'è un legame fondamentale, che è quello di una "buona utilizzazione degli impianti, basato soprattutto sulle relazioni industriali. Fiat cerca l'incentivo all'investimento nell'ambito di comportamenti sindacali cooperanti. A noi quello che interessa è saturare gli impianti italiani e garantire buoni investimenti negli impianti italiani. Di questo discuteremo, nel frattempo noi lavoriamo per costruire. Capisco che per qualcuno possa essere difficile capirlo".

BERLUSCONI: DELOCALIZZAZIONE NON A SCAPITO DELL'ITALIA

"In un'economia di mercato un gruppo industriale è libero di stabilirsi dove ritiene più opportuno. Spero non accada a scapito della produzione in Italia e dei lavoratori". Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha commentato così nel corso della conferenza stampa congiunta con il presidente russo Dimitri Medvedev la decisione del Lingotto, anticipata ieri dall'amministratore delegato Sergio Marchionne, di produrre la nuova monovolume in Serbia.

Al centro dell'incontro con il presidente della Federazione Russa, che si è svolto oggi alla Prefettura di Milano, Silvio Berlusconi ha assicurato a Medvedev di essere "impegnato per portare avanti il problema" della liberalizzazione dei visti per i cittadini russi "a livello europeo", chiedendo "di inserire il tema della prossima riunione dei Capi di Stato e di governo europei", e di averne parlato al presidente della Commissione Ue Josè Manuel Durao Barrosso e al Commissario Antonio Tajani.

 

 

 

2010-07-22

22 Luglio 2010

ECONOMIA

Marchionne: "Produrremo in Serbia

la nuova monovolume "Lo""

La Fiat produrrà la nuova monovolume "Lo" in Serbia. Il nuovo insediamento partirà subito e prevede un investimento complessivo da un miliardo di euro, di cui 350 milioni circa dal Lingotto (400 milioni dalla Bei, 250 da Belgrado), per una produzione di 190 mila unità l'anno che sostituirà la Multipla, la Musa e l'Idea che attualmente vengono fatte a Mirafiori. Lo spiega l'amministratore delegato Sergio Marchionne in una intervista.

E proprio a Mirafiori la futura monovolume poteva essere prodotta: "Se non ci fosse stato il problema Pomigliano, la Lo l'avremmo prodotta in Italia", afferma l'ad. "Ci fosse stata la serietà da parte del sindacato, il riconoscimento dell'importanza del progetto, del lavoro che stiamo facendo e degli obiettivi da raggiungere con la certezza che abbiamo in Serbia, la Lo l'avremmo prodotta a Mirafiori", dice Marchionne. L'ad ribadisce che la Fiat "non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti sugli impianti italiani: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell'attività".

L'APPELLO DI CHIAMPARINO

Sullo spostamento di una parte della produzione Fiat in Serbia, Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e presidente dell'Anci, lancia un appello all'azienda e alle parti sociali. Alla prima perchè "prima di assumere decisioni rifletta perché per la Fiat vale quello che ho detto anche sul Governo, c'è un problema di affidabilità". Alle parti sociali perchè "dovrebbero invece sforzarsi di comprendere che un progetto come quello di Fabbrica Italia ha caratteristiche quasi rivoluzionarie per la situazione produttiva del nostro paese e che quindi bisogna guardare con occhi nuovi rispetto al passato". A margine del suo intervento alla presentazione del rapporto annuale Ifel, Chiamparino ha detto di credere che "su questa base bisognerebbe ricostruire una base di confronto tra azienda, parti sociali e parti istituzionali per definire delle certezze perchè non è accettabile, e io non posso accettarlo prima di tutto come sindaco di Torino - ha sottolineato - che si vada avanti navigando a vista su un terreno che riguarda la vita di migliaia di persone".

A proposito della delocalizzazione in Serbia, il sindaco di Torino ha aggiunto che "gli impegni presi dalla Fiat col progetto Fabbrica Italia erano diversi e prevedevano che quel tipo di produzione fosse fatta nello stabilimento di Mirafiori. Ora trovo che sia paradossale e inaccettabile - ha concluso - che sia proprio quello stabilimento, il primo ad aver creduto nella possibilità di un rilancio dell'intero progetto Fiat in Italia, a pagare le conseguenze di un mancato accordo o di un accordo dimezzato su Pomigliano".

POLEMICA LA CGIL

"La scelta di spostare la produzione prevista nella stabilimento di Mirafiori in Serbia, e le motivazioni addotte, sembrano confermare una linea basata sulla ritorsione nei confronti del sindacato e dei lavoratori, in continuità con il clima determinato dai recenti licenziamenti individuali". È quanto si legge in una nota della Segreteria nazionale della Cgil, che esprime "preoccupazione per la continua indeterminatezza nelle decisioni che assume la Fiat sul futuro delle produzioni negli stabilimenti italiani"

 

 

 

 

22 luglio 2010

IL RILANCIO DEL LINGOTTO

Fiat, trimestre "eccezionale".

Via libera alla scissione

"Eccezionale". Sergio Marchionne guarda i conti del trimestre appena chiuso, approvati dal Cda del gruppo Fiat in seduta Oltreoceano, a Auburn Hills, quartier generale della Chrysler, nel Michigan. E non usa mezzi termini. "È stato un trimestre eccezionale per il gruppo che ha superato quasi tutte se non tutte le attese del mercato". Il Lingotto torna in positivo. Con un utile netto a 113 milioni di euro, contro una perdita di 179 milioni di euro nel secondo trimestre 2009; un utile della gestione ordinaria più che raddoppiato a 651 milioni; ricavi in rialzo del 12,5% a 14,8 miliardi di euro. Dati incoraggianti anche per l’altra sfida del Lingotto, lo spin off dell’auto annunciato ad aprile nell’Investor Day di Torino, il cui percorso è stato definito proprio ieri. Il cda ha dato infatti il via libera alla nascita di due Fiat: Fiat Spa, con le attività automobilistiche e la componentistica (Fiat Group Automobiles, Ferrari, Maserati, Magneti Marelli, Teksid, Comau e FPT Powertrain Technologies) e Fiat Industrial Spa, con le attività di Cnh (macchine agricole e per le costruzioni), i veicoli industriali Iveco e i motori "industrial e marine" di Fiat Powertrain Technologies.

Uno spin off atteso da tempo che partirà dal 1 gennaio 2011 e che – secondo il Lingotto – "darà chiarezza strategica e finanziaria ad entrambi i business e permetterà loro di svilupparsi strategicamente in modo indipendente l’uno dall’altro". Le azioni di Fiat Industrial saranno assegnate agli azionisti Fiat "sulla base di un rapporto uno a uno". Il 16 settembre la proposta sarà definitivamente approvata dall’Assemblea.

Numeri e trasformazioni strutturali che sono stati premiati in Borsa con una corsa durata tutta la giornata. La chiusura è stata brillante, con il titolo in rialzo del 6,74% a 9,66 euro, tra scambi fiume per 49 milioni di pezzi, pari al 4,5% del capitale. Qualche timore invece da Moody’s, che ha posto sotto revisione il rating Ba1 assegnato a Fiat in vista di un possibile declassamento, alla luce dello spin off annunciato dal gruppo. "Lo scorporo di Fiat Industrial – ha spiegato l’agenzia di rating – si tradurrà in un indebolimento del profilo di business di Fiat rispetto a quello attuale delle attività unite in Fiat Group, a tal punto da ridurre la portata e la diversificazione di ciascuna delle due entità separate".

Ma Marchionne va dritto su risultati e obiettivi. Il manager di timori non ne ha. Anzi il momento è estremamente positivo, nonostante in Italia, resistano ancora polemiche e tensioni a livello sindacale. "Il business è in buona forma", ha detto, sottolineando poi che i target 2010 sono "decisamente sottostimati". "Il lavoro fatto nel 2008-2009 – ha aggiunto – sta portando i suoi frutti. Ed è molto probabile che rivedremo le stime al rialzo per il 2010". Un rialzo che potrebbe essere "significativo". Quanto alle polemiche dopo l’accordo su Pomigliano, il manager ha assicurato: "Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti" sugli impianti italiani: "Dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni" dell’attività. La discussione, ha spiegato Marchionne, "si è inquinata sia in merito alle intenzioni sia agli obiettivi di Fiat". Adesso il Lingotto ha intenzione di portare "avanti l’investimento, lavorando insieme alla maggioranza dei sindacati che lo ha approvato". Un modello da "esportare"? No, "non duplicheremo Pomigliano", ha risposto Marchionne. "Decideremo impianto per impianto. Soprattutto, dobbiamo convincere i sindacati sull’assoluta necessità di modernizzare" i rapporti industriali in Italia.

Giuseppe Matarazzo

 

 

 

 

 

2010-07-10

10 Luglio 2010

FIAT

Pomigliano, si fa strada

l'ipotesi di una "new company"

È sempre al lavoro il pool di legali ed esperti che cerca di individuare, con i manager della Fiat, gli strumenti giuridici per garantire l'applicazione dell'accordo per produrre la Nuova Panda a Pomigliano. Un'analisi avviata all'indomani dell'intesa del 15 giugno, non sottoscritta dalla Fiom e proseguita in questi giorni. Una delle ipotesi all'esame è la costituzione di una newco, una società che riassumerebbe con un nuovo contratto i lavoratori di Pomigliano disponibili ad accettare le condizioni poste dall'accordo. Allo studio ci sono tuttavia anche altre possibilità che i legali ai quali la Fiat si è rivolta stanno vagliando.

ANGELETTI (FIOM): APPLICHEREMO L'ACCORDO

"Che la Fiom lo firmi o no, applicheremo l'accordo. Vinceremo la sfida e Pomigliano sarà una grande fabbrica di auto". Il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, ribadisce la sua soddisfazione per il via libera della Fiat all'investimento per la nuova Panda nella fabbrica campana e non ha dubbi sul fatto che l'intesa raggiunta con l'azienda venga attuata. "La Fiom deve prima firmare il contratto nazionale, poi può dire che vuole difenderlo", attacca subito Angeletti. E insiste: "Dopo l'accordo separato per la riforma del sistema contrattuale, molti si sono chiesti se si potesse applicare senza la Cgil. Il risultato è che la sua applicazione c'è stata anche con la firma di molti segretari di categoria della Cgil. Per Pomigliano accadrà la stessa cosa. Se lo firmano sarà meglio per loro, ma non ci sono problemi".

Il segretario generale della Uil dice di non avere mai temuto, dopo l'accordo del 15 giugno, che la Panda non arrivasse a Pomigliano: "Non ho mai conosciuto un imprenditore che viene meno alla parola data, la cosa più importante per lui è la credibilità". "Dimostreremo – conclude Angeletti – che a Napoli si possono fare auto competitive. I lavoratori parteciperanno a questa grande sfida".

 

 

 

 

 

 

 

10 luglio 2010

IL RILANCIO

Fiat investe: la Panda

arriva a Pomigliano

Fiat scioglie la riserva: l’investimento a Pomigliano si farà e arriverà la produzione della Panda. La conferma della disponibilità dell’azienda, sembrata in forse dopo il referendum senza plebiscito tra i lavoratori della fabbrica, è arrivata ieri da Torino dopo un vertice tra Sergio Marchionne, le federazioni sindacali firmatarie dell’accordo e i segretari confederali di Cisl e Uil Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. Una decisione che l’amministratore delegato spiega in una lettera inviata a tutti i dipendenti italiani del gruppo dove (vedi altro articolo) esclude di voler colpire i loro diritti e chiama a una piena collaborazione sul progetto "Fabbrica Italia".

A Pomigliano si andrà avanti quindi alle condizioni stabilite nell’accordo separato, senza correzioni di rotta e nessuna apertura alle richieste della Fiom-Cgil, che non ha firmato e chiedeva di ridiscutere alcuni punti. L’incontro è maturato dopo alcuni giorni di stand by che avevano fatto temere un disimpegno Fiat. Nel vertice, tenuto riservato fino all’ultimo, Marchionne è stato chiaro con i sindacati: vado avanti ma dovete assicurarmi che posso fare pieno affidamento su di voi oggi e domani, è in sostanza il messaggio dell’ad. Una richiesta accolta. La Fiat e le organizzazioni sindacali Fim-Cisl, Uil-Uilm e Fismic, spiega il comunicato congiunto diffuso dopo l’incontro, "hanno convenuto di dare attuazione all’accordo raggiunto per la produzione della Panda. I firmatari "considerando che la grande maggioranza dei lavoratori ha dato il proprio assenso con il referendum, hanno convenuto sulla necessità di dare continuità produttiva allo stabilimento".

Soddisfatto Raffaele Bonanni: "È una svolta che senza enfasi si può definire storica sia per le relazioni industriali sia per tutta l’economia italiana", ha commentato il leader Cisl. Un segnale "positivo per il Mezzogiorno e di tutto il sistema produttivo italiano" che arriva "nonostante tutti i profeti di sventura e le chiusure ideologiche e politiche di una minoranza rissosa". Interviene anche il presidente Fiat John Elkann sottolineando l’"importante segnale di fiducia" da parte dell’azienda: "significa che crediamo nell’Italia e intendiamo fare fino in fondo la nostra parte". Non ha gradito la Cgil, che resta isolata. Dalla segreteria di Guglielmo Epifani si sottolinea che quello che è accaduto con l’intesa separata alla Foat "è un fatto grave e senza precedenti" e apre "un problema formale nei rapporti tra l’azienda e la Cgil".

La riunione di ieri non è entrata nella dimensione operativa del progetto, limitandosi a dare un via libero "politico" all’operazione che vale 700 milioni di euro di investimento. Si tratterà ora di vedere come la Fiat vorrà cautelarsi rispetto a possibili conflittualità interne alla fabbrica, specie ora che la Fiom è rimasta fuori e che il referendum ha fatto emergere il dissenso del 36% dei lavoratori. Nella nota congiunta azienda e firmatari dell’accordo affermano a questo proposito che "si impegneranno per la sua applicazione con modalità che possano assicurare tutte le condizioni di governabilità dello stabilimento".

Quali? Una delle ipotesi che resta in piedi e della quale la Fiat sta verificando la praticabilità è quella della new company. In questo caso la fabbrica di Pomigliano sarebbe conferita a una società nuova di zecca che potrebbe ripartire su basi contrattuali nuove. Non solo: i dipendenti sarebbero riassunti nei numeri concordati ma potrebbero non essere necessariamente tutti gli stessi di prima. Dura la reazione Fiom, che considera "grave e sbagliato non aver voluto cercare soluzioni contrattuali condivise". Per Maurizio Landini, segretario della federazione metalmeccanica targata Cgil, la Fiat invece "ha scelto di procedere sulla base dell’accordo separato, che contiene deroghe al contratto nazionale, alle leggi e violazioni costituzionali e può aprire la strada alla demolizione del contratto nazionale e a un peggioramento delle condizioni di lavoro". Per il segretario della Fim Cisl Giuseppe Farina la conferma dell’avvio degli investimenti è "una notizia importante per i lavoratori e il territorio di Pomigliano".

Nicola Pini

 

 

 

 

2010-07-01

1 Luglio 2010

FIAT

Pomigliano, la Fiom annuncia:

"Pronti a riprendere le trattative"

"La Fiat farebbe una cosa saggia se riaprisse la trattativa per ricercare una vera soluzione di prospettiva dello stabilimento. Noi questa disponibilità l'abbiamo data". A dirlo, sia parlando nell'assemblea dei delegati Fiom in corso a Pomigliano d'Arco (Napoli) sia ai giornalisti, il segretario dei metalmeccanici aderenti alla Cgil Maurizio Landini.

È iniziata questa mattina al teatro Gloria di Pomigliano d'Arco (Napoli) l'assemblea dei delegati e dei segretari della Fiom durante la quale si discuterà soprattutto della vertenza dei lavoratori dello stabilimento Giambattista Vico. All'assemblea, partecipano tra gli altri, i segretari nazionali, Maurizio Landini e Giorgio Cremaschi. Cremaschi, poco prima dell'inizio dei lavori, ha sostenuto che la vertenza di Pomigliano "deve essere la grande lotta per tutelare il lavoro nel Mezzogiorno. Assieme al lavoro devono esserci i diritti, in quanto il lavoro senza diritti non può essere considerato tale". All'assemblea sono presenti delegati del gruppo Fiat di tutta Italia e di altri stabilimenti del settore metalmeccanico.

"La Fiat voleva il plebiscito per il sì al referendum. Prendano atto della realtà" ha detto il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Cremaschi, poco prima dell'inizio dell'assemblea il segretario nazionale. Cremaschi, che si è presentato all'incontro in stampella per un infortunio al ginocchio, ha infine sottolineato che la Fiat non può sostenere "che i lavoratori di Pomigliano debbano avere trattamenti peggiori di quelli polacchi".

L'EDITORIALE DEL FINANCIAL TIMES

Per l'industria automobilistica italiana è arrivato il momento della verità. Lo afferma, in un editoriale, il Financial Times di oggi secondo cui l'Italia si trova come si trovava La Gran Bretagna trent'anni fa, quando la sua industria automobilistica venne "praticamente distrutta" da una prassi sindacale "fortemente conflittuale". Secondo il Financial Times, "la situazione in Italia ora pare aver raggiunto un punto di non ritorno" dopo "l'ultimatum ai sindacati". Il giornale economico britannico ripercorre quindi le ultime tappe della trattativa su Pomigliano. "Uno stabilimento che - si legge - opera al 25% delle sue capacita", dove "è diffuso l'assenteismo" e gli operai si assentano "non tanto per andare al mare quanto per fare un altro lavoro altrove". Dopo il referendum, che ha visto un 36% di no al piano dell'amministratore delegato Marchionne, la Fiat, scrive Ft, "sente che il 62% della maggioranza non può garantire" il successo del piano.

Questa volta, a differenza che in passato - sottolinea il Financial Times - "la Fiat non ha chiesto sussidi governativi al suo progetto". E questo, si sottolinea, è un segnale nella nuova Fiat guidata da John Elkann. La Fiat - scrive ancora il giornale britannico - sta dicendo ai sindacati italiani e alla politica che "sta facendo di tutto per mettere l'Italia al centro della sua nuova strategia industriale, ma non ha intenzione di sacrificare il futuro del gruppo" dimostrandosi accomodante con "i capricci e le cattive prassi di un sistema del lavoro anarchico". E se alla fine la Fiat dovesse decidersi a mettere in pratica la minaccia di delocalizzare le sue produzioni - conclude l'editoriale - "nessun Paese si sentirebbe di criticarla".

 

 

2010-06-23

23 Giugno 2010

FIAT

Pomigliano, Fiat: "Lavoreremo

con chi ha firmato l'accordo"

Il fronte del sì vince a Pomigliano, ma non sfonda. A votare favorevolmente all'accordo, è stato il 62% dei lavoratori dello stabilimento campano: una percentuale inferiore a quanto si aspettava la stessa azienda. In mattinata, prima è trapelata la notizia secondo cui Fiat starebbe per rinunciare a spostare la produzione della Panda dalla Polonia. Dopo qualche ora, una nota ufficiale del Lingotto ha fatto sapere che l'azienda "lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell'accordo" su Pomigliano, prendendo atto "dell'impossibilità di trovare condivisione da parte di chi sta ostacolando, con argomentazioni dal nostro punto di vista pretestuose", il piano per il rilancio di Pomigliano. Subito la replica di Fiom: "Facciano pure ma noi continuiamo a pensare che sia importante il consenso di tutti", ha detto il segretario generale Maurizio Landini.

Nei fatti, il Lingotto non chiude la porta e non menziona alcun "piano B"(cioè il ritorno della produzione della Panda in Polonia), apre piuttosto il confronto con i sindacati che hanno firmato l'accordo per "individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri". Insomma, prima di sborsare 700 milioni, bisognerà pur vedere se il 62% di lavoratori che hanno sottoscritto l'accordo rappresentino una garanzia sufficiente per la governabilità di Pomigliano.

Sulla vicenda è intervenuto anche il Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Si è detto "fiducioso" che Fiat rispetti gli accordi e vada avanti col piano mentre il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni ha avvertito di "non fare scherzi", ed anche la Uil, con Angeletti, ha chiesto il rispetto del patto. Dal canto suo la Cgil, ha detto Susanna Camusso numero due della confederazione, ha invitato invece le parti a "riaprire il confronto per una soluzione condivisa". Intanto, sul mercato azionario, l'esito del referendum sembra essere stato ignorato: le azioni del Lingotto sono partite in ribasso, in linea con l'andamento generale del listino, e a fine mattinata hanno limato le perdite, segnando un -0,26%.

Vince, quindi, ma non sfonda il "sì" al referendum che si è svolto allo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco: un voto che è servito ai lavoratori per esprimere il proprio consenso o meno all'intesa siglata lo scorso 15 giugno tra la Fiat e la sigle sindacali, eccetto la Fiom. I sindacati si dicono soddisfatti del 63,4% dei consensi conquistato dal sì. Ma nella fabbrica campana della Fiat sono tutti consapevoli che a pesare nel prossimo futuro sarà anche il 36% raggiunto dal fronte del no. I "sì" sono stati 2.888, i no 1.673, le schede bianche 22 e quelle nulle 59. I lavoratori che hanno votato sono stati 4.642 (il 95%) su 4.881 aventi diritto.

 

 

 

23 Giugno 2010

Il voto in fabbrica a Pomigliano

Ma la porta deve stare aperta

"Non chiudete quella porta!". All’indomani del voto dei lavoratori di Pomigliano d’Arco – qualunque ne sia stato l’esito, non ancora noto nelle sue esatte proporzioni al momento in cui scriviamo – è questo l’unico slogan che ci piacerebbe sentir scandito. Non deve chiudere la porta la Fiat. I cancelli dello stabilimento, anzitutto, che vanno lasciati aperti anche se il 100% dei consensi – com’è scontato – non verrà raggiunto, resistendo alla tentazione di ri-collocare la produzione della nuova Panda in Polonia.

E soprattutto non deve sbarrare l’accesso al confronto, ma al contrario impegnarsi ancora a ricercare il consenso più vasto possibile, offrendo alla Fiom la possibilità di rientrare in gioco, qualunque sia stata l’entità della sua sconfitta o, a maggior ragione, in caso di una qualche affermazione. Meglio perdere altre due settimane al tavolo negoziale, forti del consenso già raggiunto, che cercare di approfittarne subito, finendo poi per infilarsi in un tunnel di ricorsi legali, di microconflittualità e di un pericoloso scontento latente fra i lavoratori. Men che meno l’amministratore delegato Marchionne dovrebbe farsi tentare dall’ipotesi del cosiddetto "Piano C", con la creazione di una società nella quale ri-assumere – fuori dal contratto nazionale – i soli lavoratori che accettassero le condizioni imposte. Magari escludendo quelli iscritti alla Fiom o comunque "poco collaborativi". Sarebbe come sbattere la porta in faccia, non a una componente sindacale, ma all’insieme dei lavoratori, al Paese. E il contraccolpo potrebbe essere altrettanto duro.

Anche la Fiom, però, farebbe bene a non chiudere la porta. Perché, nonostante consideri illegittimo il referendum, non potrà non tener conto dell’espressione degli operai. E se anche la percentuale dei "no" fosse significativa, la sua vittoria nelle urne sarebbe la sconfitta dell’occupazione. E dunque ci sarebbe ben poco da gioire, al di là di un’effimera affermazione "politica" nei confronti della casa-madre Cgil e delle federazioni cugine. Bando allora allo splendido (e sterile) isolamento nel quale la Fiom si è auto-relegata da tempo, porte aperte invece al confronto. Con gli imprenditori, gli altri sindacati e con la realtà, pure se sgradita. Col coraggio di innovare e assumersi anche la responsabilità di partecipare al cambiamento.

E ancora, non dovrebbero chiudere la porta neppure Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Ugl, anche se per loro il negoziato è finito, l’intesa firmata e approvata dai lavoratori. Vale la pena, pur di ritrovare l’unità dei lavoratori, anche uno sforzo in più, qualche ulteriore colpo di lima all’intesa.

Perché se è vero – com’è vero – che tutti i sindacati, Fiom compresa, avevano accettato l’organizzazione su 18 turni, il ridisegno delle pause e l’aumento degli straordinari, il più è fatto. C’è già l’accordo su ciò che davvero conta per la vita concreta degli operai. Sul resto – la lotta all’assenteismo e le clausole di responsabilità contro gli scioperi che vanificano le intese – c’è la possibilità di tornare a confrontarsi e trovare un nuovo, più alto e comunque efficace compromesso. Sarebbe sufficiente darsi atto di una fiducia reciproca, lavorando insieme nelle commissioni paritetiche chiamate ad esaminare i casi di "malattie" anomale. E specificare che non di (ipotetiche) lesioni al diritto di sciopero si tratta, ma di semplici forme di autoregolamentazione. Con sanzioni limitate e concordate. Come ne esistono già in altri settori, senza perciò aver messo in mora alcun diritto costituzionale. Tutto si può concordare. Basta non chiudere la porta.

Francesco Riccardi

 

 

 

2010-06-22

22 Giugno 2010

LAVORO

Pomigliano, affluenza massiccia

Verso il sì all'accordo con Fiat

I lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco aprono all'accordo. La stragrande maggioranza degli aventi diritto al voto al referendum ha scelto di rispondere sì alla chiamata del Lingotto che prevede la produzione della Nuova Panda ed investimenti per 700 milioni di euro. A pochi minuti dalla chiusura dei seggi (alle 21) aveva votato circa il 95% dei quasi 5mila lavoratori aventi diritto. Un consenso atteso quello registrato anche se ancora non si conosce la percentuale di voti contrari (l'esito preciso si saprà in nottata).

La parola ora passa all'azienda che è chiamata a decidere se ci saranno le condizioni per rilanciare Pomigliano. La perdita dello stabilimento per quest'area sarebbe un vero disastro non solo per una provincia in cui il tasso di disoccupazione è del 19,7%, ma anche per tutto il Mezzogiorno.

Un clima di attese, speranze e di riscatto quello respirato all'ingresso dello stabilimento. Tanta anche la determinazione dei lavoratori che non ci stanno a passare per quelli che non hanno voglia di lavorare. È invece un'assunzione piena di responsabilità quella che sono pronti a dare, ma dovrà essere un impegno reciproco. A fronte di una Fiat disposta a scommettere in questo territorio per i

lavoratori ci dovrà essere anche una Fiat pronta a istituire nuove relazioni sindacali per rinnovate dinamiche da gestire ogni giorno nella fabbrica.

Si apre una nuova stagione dove lavoro e produttività dovranno trovare il giusto equilibrio per riuscire ad integrarsi al meglio. La nuova organizzazione del lavoro è pensata all'insegna della flessibilità in grado di portare lo stabilimento al suo massimo utilizzo, in modo da poter rispondere alle variazioni di un mercato sempre più veloce e globale. Un progetto che convince come hanno ribadito oggi ancora una volta Cisl e Fim che insieme a Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato l'accordo. Resta invece in disparte la Fiom che da strenua sostenitrice della democrazia referendaria non solo si è detta contro l'accordo, ma ha anche dichiarato che non firmerà nemmeno a fronte della maggioranza di consensi dei lavoratori.

 

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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2010-08-04

al tavolo governo-azienda-sindacati

Telecom, firmato l'accordo dopo 20 ore

In mobilità volontaria 3.900 lavoratori

L'intesa prevede anche riconversione professionale e contratti di solidarietà per oltre duemila dipendenti

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In mobilità volontaria 3.900 lavoratori

L'intesa prevede anche riconversione professionale e contratti di solidarietà per oltre duemila dipendenti

ROMA - È stato firmato l'accordo sugli esuberi Telecom al tavolo governo-azienda-sindacati. L'intesa, raggiunta dopo 20 ore di negoziato ininterrotto, prevede 3.900 uscite in mobilità volontaria nel triennio. Lo ha annunciato il segretario generale della Fistel Cisl, Vito Vitale.

LE CIFRE - Degli esuberi previsti dal piano di Telecom: 3.900 (3.700 sono nuove e 200 sono rimanenze del precedente accordo del 2008) verranno collocati in mobilità volontaria e l'azienda fornirà un'integrazione per l'indennità fino a circa il 90%. Per altri 1.550 lavoratori (1.100 senza requisiti previdenziali e 450 della controllata Share service center) si utilizzeranno contratti di solidarietà e formazione per il ricollocamento in azienda. Per i 470 lavoratori che restano, impiegati nel numero 1254 per le informazioni telefoniche, è stato concordato un prolungamento del contratto di solidarietà firmato nel 2009.

ALTRI PUNTI - Azienda e sindacati hanno trovato anche un'intesa per risolvere il problema dei 3.400 dipendenti già in mobilità che rischiano di rimanere scoperti per la mancanza di finestre per accedere alla pensione, dopo l'introduzione in manovra della finestra mobile. Per loro si è ottenuta la copertura del 90% della retribuzione per i periodi eventualmente scoperti. I lavoratori del "1254" avranno una proroga dei contratti di solidarietà per ulteriori due anni e un piano formativo di riqualificazione nonchè un ulteriore riutilizzo del telelavoro. Per Ssc è prevista l'attivazione di circa 470 contratti di solidarietà anche questi associati ad un piano formativo e che reintegri i lavoratori in altri settori di Telecom, oltre a prevederne l'internalizzazione dei processi di attività informatiche. Per 1.300 lavoratori che non hanno protezioni sociali ed erano, per l'azienda, esuberi strutturali è previsto un importante piano formativo che al termine del quale porterà ad una riqualificazione completa dei lavoratori per un loro utilizzo in altri settori strategici per l'azienda. Per i lavoratori ex Tils, attualmente non impiegati, grazie anche ai percorsi formativi previsti per i colleghi di altri settori/aziende, c'è l'impegno di riassunzione in Hr Service.

Redazione online

04 agosto 2010

 

 

 

i tagli nel 2011-2013

Unicredit, previsti 4700 esuberi

L'annuncio durante l'incontro tra l'ad Profumo

e i sindacati sul piano di riorganizzazione

i tagli nel 2011-2013

Unicredit, previsti 4700 esuberi

L'annuncio durante l'incontro tra l'ad Profumo

e i sindacati sul piano di riorganizzazione

MILANO - Unicredit prevede di tagliare 4.700 posti di lavoro nel 2011-2013. Lo comunica il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, dopo l'incontro tra l'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, e i sindacati, in cui si è iniziato il confronto per definire il percorso teso a raggiungere l'obiettivo di tagli del personale previsto nel piano di riorganizzazione noto come Banca Unica.

"EFFETTO MARCHIONNE" - Per Sileoni Unicredit è stata "contagiata" dall'"effetto Marchionne". Secondo il sindacalista, "il Gruppo Unicredit che dà un'informativa di 4.700 esuberi da realizzare nel triennio 2011-2013, di nuovi assetti inquadramentali, di nuova mobilità territoriale e professionale, di nuove flessibilità di ingresso sul lavoro, si pone politicamente e contrattualmente fuori da quella concertazione recentemente rivendicata dal nuovo presidente dell'Abi".

 

04 agosto 2010

 

 

 

 

2010-07-30

La newco non sarà iscritta all'Unione industriale di napoli. Epifani: "No ai ricatti"

Pomigliano: nasce Fabbrica Italia, ma la Fiat non lascia Confindustria. Per 2 mesi

Il Lingotto congela la disdetta il contratto nazionale dei metalmeccanici. Incontro tra azienda e sindacati

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Un momento dell'incontro a Torino tra sindacati e Fiat (Ansa)

Un momento dell'incontro a Torino tra sindacati e Fiat (Ansa)

TORINO - Da fine settembre tutti i lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano saranno riassunti dalla nuova società costituita per gestire l'accordo del 15 giugno, non firmato dalla Fiom. Fabbrica Italia non sarà iscritta all'Unione industriale di Napoli, ha riferito il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, al termine dell'incontro in cui l'azienda ha comunicato ufficialmente ai sindacati la nascita della nuova compagnia. Della società, controllata da Fiat Partecipazioni, faranno parte anche i mille lavoratori della Ergom, azienda dell'indotto. All'incontro non ha partecipato la Fiom. "La Fiat ci ha comunicato che sono già partiti tutti gli ordini relativi all'investimento per la Panda", ha spiegato Di Maulo, "e che già ad agosto cominceranno i lavori per la ripulitura dell'area che ospiterà la linea della vettura a partire dalla lastratura". A settembre saranno definite le regole contrattuali della newco e verrà sottoposta ai 5.200 lavoratori la lettera di riassunzione, man mano che ci saranno le esigenze produttive. Quindi, per un periodo, una parte dei dipendenti continuerà a far parte di Fiat Group Automobiles per produrre l'Alfa 159.

SOSPESA DISDETTA CONTRATTO - La Fiat ha intento sospeso per due mesi la decisione sulla disdetta del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici e sull'uscita da Confindustria, dopo l'incontro di mercoledì tra l'amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, e il presidente degli industriali, Emma Marcegaglia. Lo riferiscono fonti sindacali presenti all'incontro all'Unione industriali di Torino su Fabbrica Italia e lo conferma il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che a margine di un convegno ha affermato che la Fiat "non rinuncia a essere associata a Confindustria, non cerca strade al di fuori delle relazioni industriali". Alla riunione - sempre secondo quanto riferiscono i sindacati - la Fiat ha comunicato la disdetta degli accordi sul monte ore dei permessi sindacali negli stabilimenti di Pomigliano e di Arese. "Tutto questo marchingegno è fatto per difendere l'accordo di Pomigliano. Se la Fiom aderisse all'accordo di Pomigliano, non ce ne sarebbe bisogno", ha commentato Di Maulo (Fismic).

"NUOVO MODELLO CONTRATTUALE" - Il ministro Maurizio Sacconi ha anche commentato le parole di Marchionne, che aveva chiesto ai sindacati un sì o un no sul piano. "L'incontro è stato molto positivo. Marchionne ha parlato a un sindacato, perché con gli altri si è già trovata un'intesa. Si va sempre più attuando un nuovo modello contrattuale, quello non a caso non sottoscritto dalla Cgil. Un modello che ci dice che il contratto nazionale è una cornice leggera di diritti, all'interno della quale ci deve essere molta duttilità tra le parti". Sacconi ha quindi lanciato un auspicio: "Si è creata una piattaforma riformista a cui partecipano le organizzazioni sindacali e mi auguro che la Cgil voglia riflettere sulla propria autoesclusione da questa piattaforma".

EPIFANI: "DA MARCHIONNE UN RICATTO" - Quanto al principale sindacato italiano, ora messo ai margini del confronto, vanno rilevate le dichiarazioni del segretario, Guglielmo Epifani, che in un'intervista all'Unità ha evidenziato che "Marchionne chiede tutto in cambio di promesse fumose". "Noi siamo pronti a discutere - ha aggiunto -, ma da lui abbiamo ascoltato parole al limite del ricatto". Ovvoero, "se non fate quello che dico io, me ne vado altrove perché la Fiat è un gruppo mondiale e posso scegliere dove fabbricare. Non ci sono cambiamenti nel suo diktat, e né oggi, bisogna sottolinearlo, ci sono certezze sui volumi produttivi e sugli investimenti del gruppo in Italia". Epifani non condivide inoltre il teorema secondo cui il rifiuto da parte della Cgil di accettare il piano di Marchionne avrebbe portato l'azienda a spostare la produzione dei nuovi modelli in Serbia. "Non è vero - sostiene Epifani -. Lo stesso Marchionne ha detto che il trasferimento è stato deciso per una questione di tempi, perché Mirafiori non sarebbe stata pronta. La verità è che Marchionne continua a promettere investimenti che restano confusi, chiede una nuova organizzazione del lavoro, nuovi ritmi, deroghe alle leggi e al contratto nazionale, ma poi non c'è la certezza di cosa produrranno le fabbriche italiane".

Redazione online

29 luglio 2010(ultima modifica: 30 luglio 2010)

 

 

 

 

2010-07-29

La newco non sarà iscritta all'Unione industriale di napoli. Epifani: "No ai ricatti"

Pomigliano: nasce Fabbrica Italia, ma la Fiat non lascia Confindustria. Per 2 mesi

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Un momento dell'incontro a Torino tra sindacati e Fiat (Ansa)

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TORINO - Da fine settembre tutti i lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano saranno riassunti dalla nuova società costituita per gestire l'accordo del 15 giugno, non firmato dalla Fiom. Fabbrica Italia non sarà iscritta all'Unione industriale di Napoli, ha riferito il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo, al termine dell'incontro in cui l'azienda ha comunicato ufficialmente ai sindacati la nascita della nuova compagnia. Della società, controllata da Fiat Partecipazioni, faranno parte anche i mille lavoratori della Ergom, azienda dell'indotto. All'incontro non ha partecipato la Fiom. "La Fiat ci ha comunicato che sono già partiti tutti gli ordini relativi all'investimento per la Panda", ha spiegato Di Maulo, "e che già ad agosto cominceranno i lavori per la ripulitura dell'area che ospiterà la linea della vettura a partire dalla lastratura". A settembre saranno definite le regole contrattuali della newco e verrà sottoposta ai 5.200 lavoratori la lettera di riassunzione, man mano che ci saranno le esigenze produttive. Quindi, per un periodo, una parte dei dipendenti continuerà a far parte di Fiat Group Automobiles per produrre l'Alfa 159.

SOSPESA DISDETTA CONTRATTO - La Fiat ha intento sospeso per due mesi la decisione sulla disdetta del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici e sull'uscita da Confindustria, dopo l'incontro di mercoledì tra l'amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, e il presidente degli industriali, Emma Marcegaglia. Lo riferiscono fonti sindacali presenti all'incontro all'Unione industriali di Torino su Fabbrica Italia e lo conferma il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che a margine di un convegno ha affermato che la Fiat "non rinuncia a essere associata a Confindustria, non cerca strade al di fuori delle relazioni industriali". Alla riunione - sempre secondo quanto riferiscono i sindacati - la Fiat ha comunicato la disdetta degli accordi sul monte ore dei permessi sindacali negli stabilimenti di Pomigliano e di Arese. "Tutto questo marchingegno è fatto per difendere l'accordo di Pomigliano. Se la Fiom aderisse all'accordo di Pomigliano, non ce ne sarebbe bisogno", ha commentato Di Maulo (Fismic).

"NUOVO MODELLO CONTRATTUALE" - Il ministro Maurizio Sacconi ha anche commentato le parole di Marchionne, che aveva chiesto ai sindacati un sì o un no sul piano. "L'incontro è stato molto positivo. Marchionne ha parlato a un sindacato, perché con gli altri si è già trovata un'intesa. Si va sempre più attuando un nuovo modello contrattuale, quello non a caso non sottoscritto dalla Cgil. Un modello che ci dice che il contratto nazionale è una cornice leggera di diritti, all'interno della quale ci deve essere molta duttilità tra le parti". Sacconi ha quindi lanciato un auspicio: "Si è creata una piattaforma riformista a cui partecipano le organizzazioni sindacali e mi auguro che la Cgil voglia riflettere sulla propria autoesclusione da questa piattaforma".

EPIFANI: "DA MARCHIONNE UN RICATTO" - Quanto al principale sindacato italiano, ora messo ai margini del confronto, vanno rilevate le dichiarazioni del segretario, Guglielmo Epifani, che in un'intervista all'Unità ha evidenziato che "Marchionne chiede tutto in cambio di promesse fumose". "Noi siamo pronti a discutere - ha aggiunto -, ma da lui abbiamo ascoltato parole al limite del ricatto". Ovvoero, "se non fate quello che dico io, me ne vado altrove perché la Fiat è un gruppo mondiale e posso scegliere dove fabbricare. Non ci sono cambiamenti nel suo diktat, e né oggi, bisogna sottolinearlo, ci sono certezze sui volumi produttivi e sugli investimenti del gruppo in Italia". Epifani non condivide inoltre il teorema secondo cui il rifiuto da parte della Cgil di accettare il piano di Marchionne avrebbe portato l'azienda a spostare la produzione dei nuovi modelli in Serbia. "Non è vero - sostiene Epifani -. Lo stesso Marchionne ha detto che il trasferimento è stato deciso per una questione di tempi, perché Mirafiori non sarebbe stata pronta. La verità è che Marchionne continua a promettere investimenti che restano confusi, chiede una nuova organizzazione del lavoro, nuovi ritmi, deroghe alle leggi e al contratto nazionale, ma poi non c'è la certezza di cosa produrranno le fabbriche italiane".

Redazione online

29 luglio 2010

 

 

 

 

2010-07-28

a Torino il tavolo tra Governo, azienda, sindacati ed enti locali

Fiat, Marchionne: "Serbia

non danneggia Mirafiori"

"Possibile la disdetta del contratto di lavoro nel 2012"

Cgil, Cisl e Uil:"Non si spostino stabilimenti all'estero"

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non danneggia Mirafiori"

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Cgil, Cisl e Uil:"Non si spostino stabilimenti all'estero"

(Infophoto)

(Infophoto)

TORINO - La Fiat è pronta a "disdettare il contratto alla scadenza". E poi, "il trasferimento in Serbia non danneggia Mirafiori". Parole dell' aministratore delegato Sergio Marchionne, che ha anche confermato il piano "Fabbrica Italia". "Siamo l'unica azienda - ha detto - ad investire 20 miliardi nel Paese. Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda. Dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare". Sono ore cruciali per il destino della Fiat e, di conseguenza, per la politica industriale del Paese. Queste frasi Marchionne le ha infatti pronunciate nella sala della Giunta regionale, in Piazza Castello a Torino, durante il tavolo tra Governo, azienda, sindacati ed enti locali per discutere del futuro degli investimenti del Lingotto, dopo la decisione di trasferire la produzione della monovolume in Serbia.

"SERVE UN Sì O UN NO" - La questione, secondo Marchionne, è semplice: "Ci sono solo due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate: una è sì, l'altra è no". "Sì - spiega - vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana, no vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro. Se si tratta solo di pretesti per lasciare le cose come stanno è bene che ognuno si assuma la propria responsabilità, sapendo che il progetto "Fabbrica Italia" non può andare avanti e che tutti i piani e gli investimenti per l'Italia verranno ridimensionati".

POSSIBILE LA DISDETTA DEL CONTRATTO - La Fiat potrebbe lasciare Confindustria e disdettare il contratto di lavoro dei metalmeccanici, però solo alla sua scadenza fissata al 2012. "Si parla molto della possibilità che Fiat decida la disdetta dalla Confindustria e - ha detto Marchionne - quindi dal contratto dei metalmeccanici alla sua scadenza. Sono tutte strade praticabili, di cui si discuterà al nuovo tavolo convocato con il sindacato nazionale". Marchionne ha aggiunto che "se è necessario siamo disposti anche a seguire queste strade ma - ha concluso - non è questa la sede per entrare nei dettagli".

Sì DELLA CISL - "Noi diciamo a Marchionne che per la Cisl la risposta è sì. Senza se e senza ma. E questo vale anche per l'accordo su Pomigliano" ha detto il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, rispondendo all'ultimatum dell'amministratore delegato del Lingotto. "Ma - aggiunge il leader della Cisl - vogliamo che Marchionne faccia chiarezza sul fatto che le modalità dell'investimento rimarranno nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito".

Il tavolo a Torino (Ansa)

Il tavolo a Torino (Ansa)

I PRESENTI - Alla riunione hanno partecipato tutti quelli che erano annunciati: il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, i leader di Cgil, Cisl e Uil, Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, i segretari generali di Fiom, Fim, Uilm, Fismic e Ugl. Presenti anche i rappresentanti delle istituzioni locali, il presidente della Regione Roberto Cota, della Provincia Antonio Saitta e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino.

ANGELETTI: "LA PRODUZIONE RESTI IN ITALIA" - Per Angeletti, leader Uil, "noi oggi vogliamo riconquistare certezza e tranquillità che la produzione resti in Italia. A Mirafiori si devono fare vetture paragonabili alla "LO" o, meglio, anche di gamma più alta". Il segretario della Cgil Epifani torna anche su Pomigliano: "La cosa migliore prima di avventurarci su strade che non si sa dove possano portare è andare al confronto con la Fiom e lavorare per trovare una mediazione". Il leader della Cisl Bonanni ha invece invitato Fiat "a non perdere di vista che "Fabbrica Italia" non deve essere fatta a ’mo’ di caserma’ ma deve essere fatta in una realtà dove c’è coesione sociale, partecipazione e serenità: chi si pone fuori da questo si pone fuori da solo".

EPIFANI INSODDISFATTO: "GESTIAMO IL DISSENSO" - La Cgil non vuole conflitti permanenti ed è assolutamente interessata agli investimenti di Fiat in Italia. Lo ha detto Guglielmo Epifani. "Serve lavorare insieme a questo obiettivo senza carri armati riprendendo il confronto e gestendo l'eventuale dissenso. Non abbiamo avuto mai problemi a saturare gli impianti i Italia", ha commentato il leader Cgil. Epifani si chiede però il perché della delocalizzazione in Serbia: sarà "per convenienza economica, perché a Mirafiori non c'è un problema di gestione dell'azienda". "Nessuno vuole una conflittualità permanente - aggiunge - e il sindacato ha contribuito a salvare il gruppo. Se fosse stato riconosciuto il premio di risultato, questo sarebbe stato un segnale positivo". La Cgil chiede anche alla Fiat di "riaprire il confronto, a partire da Pomigliano, per trovare una soluzione condivisa tra tutti". A ribadire la richiesta è stato il segretario generale Guglielmo Epifani nel corso di una conferenza stampa al termine dell’incontro. Epifani si è detto "insoddisfatto" per l’esito della riunione che si è svolta nella sede della Regione Piemonte a Torino. Ma ha assicurato che "la Cgil è disponibile a fare questo passo" per trovare una soluzione condivisa per quanto riguarda tutti gli impianti italiani del Lingotto. "Ma chiediamo alla Fiat - ha proseguito il leader della Cgil - di fare un passo nella stessa direzione. Noi siamo pronti a risolvere i problemi nel rispetto dei contratti, delle leggi e della Costituzione. Per ora non ci sono state risposte. Spero che nelle prossime ore l’azienda rifletta con un’assunzione esplicita di responsabilità e buon senso".

CHIAMPARINO: "PIANO INSOSTENIBILE SENZA MIRAFIORI" - Il piano industriale "sarebbe insostenibile se dovesse venire meno Mirafiori dal punto di vista sociale ed economico" ha detto il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, intervenendo al tavolo presso la sede della Regione.

28 luglio 2010

 

 

 

 

 

La pigrizia di un sistema

La pigrizia di un sistema

La tambureggiante iniziativa di Sergio Marchionne, dopo aver affrontato i temi della contrattazione sindacale e della localizzazione degli impianti, è giunta al nodo della rappresentanza. L’ipotesi di disdettare o, come sembra, di derogare al contratto è destinata ad esercitare un impatto dirompente sul sistema delle relazioni industriali e sulla stessa "costituzione economica" italiana, incardinata ancora sul binomio grande impresa-grande sindacato.

È evidente che quel format non tiene più, non fotografa un Paese che ha acquistato una maggiore articolazione delle competenze e del lavoro in virtù della presenza di quattro milioni e mezzo di imprese, otto milioni di partite Iva e due milioni di professionisti. Ora però la contestazione di quel format viene anche dall’interno, è la Fiat a picconarlo, forse definitivamente. Bisognava in qualche maniera presagirlo perché la figura e il curriculum di Marchionne segnavano una evidente discontinuità con i suoi predecessori e con la grande cultura industriale torinese del secolo scorso.

In linea di principio rimescolare le carte, porsi domande nuove, non può che far del bene a un sistema di regole e di valori divenuto anacronistico. Pensiamo ai bizantinismi di quei congressi sindacali che durano mesi e alla fine si concludono con l’approvazione di pasticciate e deludenti mozioni. Pensiamo anche a certi convegni confindustriali privi di indicazioni forti e retrocessi loro malgrado a test del gradimento del politico di turno. Molti di questi riti, di queste ipocrisie — e l’elenco potrebbe essere lungo — hanno fatto il loro tempo ma limitarsi a sostenere che oportet ut Marchionne eveniant, che è bene che le contraddizioni esplodano, non può bastare.

Per quello che i posti di lavoro nell’auto e nell’indotto rappresentano per un’Italia affamata di occupazione c’è bisogno anche di delineare una pars construens. I modernizzatori che vogliono lasciare il segno abbattono il vecchio ma contribuiscono ad edificare il nuovo. E francamente l’idea di una società totalmente liquida, in cui i decisori scelgono di volta in volta sulle convenienze del momento, non costituisce la ricetta vincente. In fondo non deve pensarlo neanche Marchionne, se ha imbarcato nell’operazione di rilancio di Detroit il sindacato Uaw direttamente come azionista. I soggetti della rappresentanza dunque contano e, se vogliono, possono spostare anche le montagne. Se poi dalle vicende dell’auto ci spostiamo a considerare più in generale l’evoluzione della competizione globale non è pensabile che alla sfida cinese— basata su un mix formidabile fatto di capitalismo illiberale, strenua difesa degli interessi nazionali, assenza di vincoli e diritti — si possa rispondere con società atomizzate, totalmente prive di un'idea sistemica. Sarebbe un suicidio.

È quindi più che legittimo chiedersi cosa c’è dietro la curva, cosa si deve attendere non solo il mondo delle tute blu ma anche l’intera industria della componentistica che— non va dimenticato — in Italia vale 3-4 volte il fatturato del solo settore automobilistico. Fortunatamente nella società italiana, complice la Grande Crisi, accanto alle pigrizie vanno registrate anche segnali di novità. La recessione ha mostrato come stia crescendo, principalmente nelle Pmi e nel Nord Est, una complicità tra aziende e lavoratori che già si è dimostrata una risorsa importante e sulla quale si può investire. Sperando che un giorno alla testa della Cgil arrivi un Lama delle piccole imprese. Conosco già l’obiezione. Il capo della Fiat un modello in verità lo sta indicando e l’obiettivo dell’operazione è creare in Italia un sindacato all’americana. Purtroppo però se per gli esseri umani i trapianti si sono dimostrati una straordinaria occasione di allungamento della vita, la stessa cosa non avviene per le società. L’innesto di una tradizione totalmente diversa assai difficilmente riesce a produrre risultati positivi, molto più spesso genera l’indistinto. Se proprio vogliamo cercare dei modelli, dei punti di riferimento, è evidente che dobbiamo guardare alla tradizione sindacale tedesca e a quel tipo di "complicità organizzata". Agli occhi di un manager globale, legato a un timing stringente di decisioni, queste potranno apparire digressioni ma le forze che più si sono battute per modernizzare, a cominciare da Cisl e Uil, hanno bisogno di capire. Alla peggio si può imparare a vivere senza la Fiat, ma non si può vivere senza sapere in quale direzione spingere.

Fortunatamente nella società italiana, complice la Grande Crisi, accanto alle pigrizie vanno registrate anche segnali di novità. La recessione ha mostrato come stia crescendo, principalmente nelle Pmi e nel Nord Est, una complicità tra aziende e lavoratori che già si è dimostrata una risorsa importante e sulla quale si può investire. Sperando che un giorno alla testa della Cgil arrivi un Lama delle piccole imprese. Conosco già l’obiezione. Il capo della Fiat un modello in verità lo sta indicando e l’obiettivo dell’operazione è creare in Italia un sindacato all’americana. Purtroppo però se per gli esseri umani i trapianti si sono dimostrati una straordinaria occasione di allungamento della vita, la stessa cosa non avviene per le società. L’innesto di una tradizione totalmente diversa assai difficilmente riesce a produrre risultati positivi, molto più spesso genera l’indistinto. Se proprio vogliamo cercare dei modelli, dei punti di riferimento, è evidente che dobbiamo guardare alla tradizione sindacale tedesca e a quel tipo di "complicità organizzata". Agli occhi di un manager globale, legato a un timing stringente di decisioni, queste potranno apparire digressioni ma le forze che più si sono battute per modernizzare, a cominciare da Cisl e Uil, hanno bisogno di capire. Alla peggio si può imparare a vivere senza la Fiat, ma non si può vivere senza sapere in quale direzione spingere.

Dario Di Vico

28 luglio 2010

 

 

2010-07-27

La compagnia è interamente controllata dal Lingotto. gIOVEDì L'INCONTRO COI SINDACATI

Fiat, nuova società per Pomigliano

Si chiama Fabbrica Italia ed è stata iscritta al Registro delle imprese di Torino. Marchionne è il presidente

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Fiat, nuova società per Pomigliano

Si chiama Fabbrica Italia ed è stata iscritta al Registro delle imprese di Torino. Marchionne è il presidente

Sergio Marchionne

Sergio Marchionne

MILANO - Si chiama Fabbrica Italia Pomigliano ed è stata iscritta al Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino il 19 luglio. È controllata al 100% da Fiat Partecipazioni, ha un capitale di 50mila euro e il presidente è Sergio Marchionne. Si tratta di un atto formale previsto dal piano di rilancio dello stabilimento e che consente di superare l'impasse creata dalla mancata firma da parte della Fiom.

LO STATUTO - L'oggetto sociale della newco è "l'attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine può costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende". Inoltre la società "può compiere le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o società, anche intervenendo alla loro costituzione".

PROGETTO PANDA - La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5.000 lavoratori attuali della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo con i sindacati il 15 giugno, non firmato dalla Fiom.

SINDACATI CONVOCATI GIOVEDI' - La Fiat ha intanto convocato i sindacati metalmeccanici giovedì all'Unione Industriale di Torino, alle 9,30. All'ordine del giorno - secondo i sindacati - dovrebbe essere la comunicazione della disdetta degli accordi vigenti e, in particolare, del contratto nazionale di lavoro. Si parlerà inoltre di Pomigliano con i sindacati che hanno firmato l'intesa del 15 giugno. A questa seconda parte dell'incontro non dovrebbe quindi partecipare la Fiom.

FIM E UILM: "CONTRATTO NAZIONALE NON SI TOCCA" - La parola d'ordine dei sindacati, su questo tema, torna a essere unitaria: il contratto nazionale non si tocca. L'ipotesi secondo cui la Fiat, dopo la nascita di Fabbrica Italia, avrebbe intenzione di uscire da Federmeccanica e disdire il contratto nazionale di lavoro che regola il rapporto con i suoi dipendenti ha messo in allarme i sindacati di categoria. Non solo la Fiom che a partire dalla vertenza su Pomigliano si è posizionata sulla linea del "no" alle richieste dell'azienda, ma anche la Fim e la Uilm che invece quell'intesa l'hanno sostenuta, negoziata e firmata. La vigilia del tavolo a Torino tra le parti diventa quindi sempre più tesa. E mentre dalle tute blu della Cgil già si grida al "più grave attacco ai diritti dei lavoratori dal 1945 a oggi", la linea dei "colleghi" resta più equilibrata ma ugualmente chiara: vanno bene le richieste contenute nell'accordo su Pomigliano, passi anche la creazione di una newco - è il senso del discorso di Fim e Uilm - ma assolutamente non si può prescindere dall'intesa che regola il lavoro di tutte le fabbriche metalmeccaniche. Comunque, secondo il leader della Uilm, Rocco Palombella la costituzione di una newco per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco "non significa che c’è un percorso automatico secondo il quale l’azienda deciderà di disdettare il contratto nazionale di categoria".

FIOM: "SCELTE GRAVI" - Di diverso avviso la Fiom: "E’ in atto il tentativo di cancellare e superare il contratto nazionale, il diritto alla contrattazione collettiva in fabbrica". E’ quanto denuncia il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, che all’assemblea nazionale dei delegati di Unionmeccanica-Confapi a Reggio Emilia ha sottolineato che "siamo di fronte a un’accelerazione di questo processo, si deciderà nei prossimi mesi. Non avremmo quindi nessun secondo tempo per prendere delle decisioni. Chi pensava a successive verifiche, deve fare i conti con questa accelerazione. Se viene confermata l’ipotesi della newco a Pomigliano - ha proseguito Landini - e la non applicazione del contratto dei metalmeccanici, si tratterebbe di una scelta grave e non motivata da problemi di produttività.

Redazione online

27 luglio 2010

 

 

 

2010-07-25

Chiamparino: "Da Marchionne disponibilità senza facili ottimismi"

Berlusconi: "Fiat libera di produrre dove vuole, spero non a scapito dell'Italia"

"La nostra è libera economia in libero Stato"

E il ministro Saccconi convoca i sindacati a Torino

Chiamparino: "Da Marchionne disponibilità senza facili ottimismi"

Berlusconi: "Fiat libera di produrre dove vuole, spero non a scapito dell'Italia"

"La nostra è libera economia in libero Stato"

E il ministro Saccconi convoca i sindacati a Torino

MILANO - La Fiat è libera di produrre dove meglio crede, ma si spera che questo non vada a scapito dei lavoratori italiani. Lo ha detto Silvio Berlusconi rispondendo a una domanda nel corso della conferenza stampa con il presidente russo Dmitri Medvedev - parlando della decisione Fiat di spostare alcune produzioni in Serbia. "In una libera economia e in un libero Stato, un gruppo industriale è libero di collocare dove è più conveniente la propria produzione", ha affermato il presidente del Consiglio. "Mi auguro soltanto che questo non accada a scapito dell'Italia e degli addetti italiani a cui la Fiat offre il lavoro".

CHIAMPARINO - Secondo il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, non intenderebbe "pregiudicare quella 'T' che nell'acronimo Fiat rimanda a Torino". Il sindaco lo ha detto in Consiglio comunale dopo aver parlato per telefono con Marchionne e con il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. "A Marchionne ho chiesto che si possa affrontare il nodo Mirafiori e mi è sembrato di trovare da parte sua ampia disponibilità", ha reso noto il sindaco del capoluogo piemontese. "Dico questo senza indulgere a facili ottimismi". Quanto a Sacconi "ho apprezzato molto il suo gesto", ha detto Chiamparino riferendosi al tavolo che il ministro intende aprire. "Gli ho detto che però su quel tavolo deve mettere qualcosa in più della sua disponiblità. Non possiamo, né dobbiamo fare come la Serbia, e non aggiungo altro. Ma senza politica industriale non si va da nessuna parte".

SACCONI CONVOCA I SINDACATI - L'atteso intervento del governo sulla questione Fiat non si è fatto attendere. Il ministro del Welfare Sacconi ha convocato i vertici delle organizzazioni sindacali per mercoledì prossimo, 28 luglio.

L'ASSIST DI BONDI - Il ministro de Beni Culturali Sandro Bondi, coordinatore del Pdl, interviene in soccorso dei vertici Fiat pressati dai sindacati sul piede di guerra:"Marchionne non deve essere lasciato solo di fronte alle sfide innovative di cui è protagonista in Italia e nel mondo. La classe politica e soprattutto i sindacati siano all'altezza di queste sfide, pena il decadimento del nostro paese".

L'AVVISO DI BONANNI - "La Fiat deve fare chiarezza su tutto il progetto "Fabbrica Italia". Per questo all'amministratore delegato Marchionne diciamo: fermi le bocce, faccia luce sugli investimenti dell'azienda ed avvii una discussione aperta col sindacato, per tutti gli stabilimenti del Lingotto". E' la replica del leader della Cisl, Raffaele Bonanni, alle voci sul trasferimento della produzione in Serbia. "Occorre che la Fiat precisi il numero ed i nuovi modelli delle autovetture che intende produrre negli stabilimenti in Italia. Non aiutano in questo momento la confusione e le polemiche. Bisogna evitare di alimentare su questa delicata vicenda sindacale le strumentalizzazioni politiche che rischiano di scaricarsi sulla pelle dei lavoratori", conclude il sindacalista.

Redazione online

23 luglio 2010(ultima modifica: 24 luglio 2010)

 

 

 

sindacati: "Qualcuno dovrebbe imparare la differenza tra democrazia e anarchia"

Marchionne, avanti dopo lo strappo

"La strategia? Solo vendere auto"

"Siamo un'azienda, non possiamo essere vittime di altre logiche"

sindacati: "Qualcuno dovrebbe imparare la differenza tra democrazia e anarchia"

Marchionne, avanti dopo lo strappo

"La strategia? Solo vendere auto"

"Siamo un'azienda, non possiamo essere vittime di altre logiche"

Sergio Marchionne

Sergio Marchionne

MILANO — Sta ad Auburn Hills. E tace. Ma non si dica che è perché ha in mente soltanto Chrysler. Né si pensi che, annunciando la decisione di spostare da Mirafiori alla Serbia il prossimo investimento, ha solo buttato un sasso. Si commetterebbe lo stesso errore già visto con Termini Imerese. Ci vollero mesi, ci volle il fatto compiuto prima che politica e sindacati capissero che Sergio Marchionne non bluffava, che sarebbe bastata una manciata di incentivi e via, tranquilli, la Fiat avrebbe rinunciato a chiudere l'anticompetitivo stabilimento siciliano. La doccia fu fredda allora. Rischia di essere ben più gelata oggi.

La mossa serba — e quelle che ancora potrebbero seguire — comunicata l'altro ieri dal numero uno di Fiat e Chrysler non era del tutto imprevedibile. Bastava leggere le sue parole e, forse persino di più, i suoi silenzi. Si è brindato, anche in quel governo che oggi chiede ad alta voce "tavoli", all'accordo su Pomigliano come se bastasse quell'intesa a spazzare via tutte le difficoltà. Se ne è fatta — pure nell'industria e nel sindacato — una bandiera politica: per l'isolamento Fiom da un lato, per una riesumazione della "lotta di classe" dall'altro. Le questioni industriali, di competitività e sopravvivenza di un'azienda e di chi ci lavora, di sviluppo di un Paese in quel manifatturiero che ne è sempre stato l'unico concreto punto di forza non sono mai davvero finite in primo piano. E quello, invece, era "il" piano di Marchionne. Cui non piace essere tirato politicamente per la giacca. Non la porta apposta. Si è sgolato, anche dagli Usa, a dire: "La Fiat non fa politica. La Fiat fa automobili. E le deve vendere. Non può essere vittima di altre logiche". L'ha fatto ripetendo che l'arena per il Lingotto è il mondo aperto, non i salotti chiusi nelle ritualità italiane. Ci ha aggiunto che, però, poiché italiane restano le radici, qui rimane pronto a puntare 20 miliardi di investimento su 30. Senza chiedere un cent allo Stato ma a patto — e non è richiesta di ieri — che tutti facessero la loro parte.

Qualcuno ha risposto. Qualcun altro no. E poiché un'altra delle cose dette subito era che Pomigliano sarebbe stata il primo tassello e perciò il test cruciale per "Fabbrica Italia", si stupisce oggi, Marchionne, che la mossa serba stupisca. Dice ancora in questi giorni: "Io mi sono messo in gioco, e nel mio impegno non è cambiato nulla". Nel senso che è ancora pronto a rispettare il progetto "Fabbrica". Però non è un mistero che, fosse stato per lui, la scommessa su Pomigliano l'avrebbe fermata subito dopo il referendum e i quattro "no" ogni dieci lavoratori. Non è un caso che abbia aspettato un mese per confermare l'accordo "separato". Si è deciso, alla fine, perché la larga maggioranza del sindacato (e "a qualcuno occorrerebbe insegnare la differenza tra democrazia e anarchia") aveva fatto la battaglia con lui: sconfessarli avrebbe voluto dire mettere una pietra tombale sulle relazioni industriali Fiat in Italia. Gli è sempre stato chiaro, però, che le minacce di "ingovernabilità delle fabbriche", tutte, avrebbero con poco potuto bloccare tutto. Perciò ha usato il pugno di ferro. Magari la causa dei tre operai licenziati a Melfi perché bloccando un carrello hanno bloccato l'intera linea la perderà. Magari dovrà reintegrare anche il dipendente di Termoli che, chiesto un permesso ("Retribuito dall'azienda", sottolinea) per curare la figlia, è stato scoperto sui giornali a manifestare contro quella stessa azienda. Ma a chiedergli se non stia esagerando, la risposta è ovvia: "Se tollero una volta ho il caos assoluto, non gestisco più niente".

Ecco. Il nodo è questo. Microscioperi e microconflittualità ovunque, da settimane, e se adesso tanto il mercato non tira, quali saranno i danni — è il ragionamento — quando si tornerà a pieno ritmo? "Non posso far correre alla Fiat rischi non necessari, salterebbe tutto, lavoro per primo". E perché dovrei — continua il ragionamento — quando oltretutto produrre qui mi costa di più ma non chiedo un cent, mentre in Serbia, Polonia, Brasile, Messico, Usa alla Fiat "farebbero ponti d'oro" e a garantire la governabilità sono i sindacati stessi? E non sindacati qualsiasi: i mastini della Uaw in America, quella Solidarnosc che ha buttato giù il regime in Polonia? Alla fine, si può mettere così. Anche i 350 milioni che vanno a Kragujevac anziché a Mirafiori sono un test. Se in Italia, dice, si tratta anche duro ma si capisce quel che ha capito per esempio la Uaw, Fabbrica Italia potrà ripartire, quel che ora va in Serbia a Mirafiori potrà tornare "magari con l'Alfa". Sennò, pure Kragujevac sarà un primo tassello. Ma del "piano B" e di un'altra "Fabbrica". Fiat Mondo.

Raffaella Polato

23 luglio 2010

 

 

 

2010-07-22

Fiat, "Fabbrica Italia" perde pezzi

I fondi per Mirafiori? In Serbia

Paura dell'"effetto Pomigliano", a Kragujevac l'erede di Musa, Idea e Multipla

LA STRATEGIA

Fiat, "Fabbrica Italia" perde pezzi

I fondi per Mirafiori? In Serbia

Paura dell'"effetto Pomigliano", a Kragujevac l'erede di Musa, Idea e Multipla

Sergio Marchionne

Sergio Marchionne

DAL NOSTRO INVIATO

AUBURN HILLS (Michigan) — L'impegno è ribadito, su Pomigliano il Lingotto va avanti. Ma lì si ferma, per ora, la costruzione di Fabbrica Italia. Troppi blocchi, polemiche, soprattutto troppe le minacce targate Fiom (e i relativi primi assaggi) di "ingovernabilità degli stabilimenti". Risultato: la tabella di marcia degli investimenti Fiat prosegue come da previsioni, il secondo passo scatta subito, però non da noi. Le linee della "L-0" — nome in codice dell'auto che sostituirà Musa, Idea, Multipla — erano previste a Mirafiori. Andranno in Serbia. Insieme ai 350 milioni che Sergio Marchionne avrebbe voluto impiegare a Torino e che invece, adesso, saranno "dirottati" a Kragujevac. Dove, peraltro, il Lingotto potrà contare su fondi aggiuntivi destinati al rinnovo totale degli impianti. Non un euro di "aiuto" sarebbe stato chiesto al governo italiano. Duecentocinquanta milioni saranno, per contro, messi sul piatto dalle autorità di Belgrado. Duecentocinquanta milioni che, insieme ai 400 di finanziamenti Bei ottenibili per il lancio dello stabilimento, portano il totale a quota un miliardo. Non sono però i soldi pubblici a fare la differenza. L'offerta di Belgrado e l'accessibilità alla somma Bei erano sul tavolo anche quando, per il progetto "L-0", il Lingotto aveva scritto Mirafiori alla voce impianto di produzione. Poi c'è stata la battaglia per Pomigliano. C'è stato - e c'è - l'"ostruzionismo" Fiom. E se lì non si torna indietro, "confermiamo l'impegno preso con i sindacati che vogliono garantire la produzione della Panda, faremo insieme tutto il possibile per arrivare alle 270 mila auto previste", Marchionne non è disposto a correre altri rischi sul resto.

La mossa serba "non è — precisa da Auburn Hills, nell'incontro con gli analisti subito dopo il consiglio trimestrale-spin-off — un ritiro dal progetto Fabbrica Italia". Però, aggiunge, "decideremo impianto per impianto". Perché è inutile girarci intorno, il braccio di ferro con la Fiom rischia ("non per volontà nostra né degli altri sindacati") di inceppare il meccanismo. E se già a Pomigliano ci sono 700 milioni di investimenti ormai avviati, ma che potrebbero finire "bruciati" se l'accordo con Fim, Fismic, Uil e Ugl venisse vanificato da una catena di microconflitti, Marchionne vuole vedere come si evolverà la situazione. Vuole essere certo di "poter fare, tra un anno e mezzo, tutte le 270 mila Panda senza stop e senza interruzioni". Dunque: "Fino a quando la situazione non si sarà sbloccata con assoluta chiarezza", il piano da 20 miliardi di investimenti in Italia sarà deciso step by step, passo dopo passo, singolo impianto per singolo impianto. È perfettamente consapevole, Marchionne, che il tutto infuocherà il clima ancor più di quanto già non lo sia. Ma, dice, la colpa non può essere addossata al Lingotto: "La discussione si è inquinata sia in merito alle nostre intenzioni sia rispetto ai nostri obiettivi. La Fiat non può assumere rischi non necessari sui suoi progetti industriali, ne va della sopravvivenza". Per questo, lasciata passare qualche settimana, nel weekend è stata tutta la prima linea di manager torinesi (tutti in trasferta ad Auburn Hills) a decidere che di fronte al pericolo micro-conflittualità era Kragujevac, non Mirafiori, l'impianto in grado di garantire "senza problemi" la produzione di 190 mila "L-0" l'anno. Per questo Fabbrica Italia perde, intanto, la seconda tessera del puzzle e, quanto alle altre, "si vedrà di volta in volta: su Pomigliano lavoreremo con i sindacati che hanno firmato, ma il modello non è duplicabile, quello che dobbiamo fare per andare avanti è convincere tutti dell'assoluta necessità di modernizzare i rapporti industriali in Italia". Senza, possibilmente, strumentalizzazioni politiche ("l'inquinamento" cui si riferisce Marchionne).

Non è un caso che la mossa serba sia stata annunciata da Auburn Hills, dal consiglio che ha approvato un utile netto inatteso e, soprattutto, l'avvio del processo di addio alla "vecchia Fiat". Senza Chrysler, come regolarmente ripete anche il presidente John Elkann, lo spin-off non sarebbe stato possibile, qui a Detroit c'è un bel pezzo del valore che la scissione potrà liberare. C'è, insieme, la prova tangibile di quanto sia davvero "multinazionale" oggi Fiat. E c'è il contro-specchio, rispetto all'Italia, di quanto possa fare una vera alleanza con chi rappresenta i lavoratori. Cita sempre la United Auto Workers, Marchionne, come esempio di "sindacato responsabile". È la Uaw, ora, a citare Marchionne. Di Pomigliano, della Fiom, delle polemiche italiane non vogliono parlare. Cynthya Holland, presidente della Uaw per lo stabilimento di Jefferson, dice semplicemente: "Abbiamo capito, un anno fa, che eravamo all'ultima spiaggia. I sacrifici li abbiamo accettati per questo. Ma in cambio abbiamo trovato una partnership vera, non di facciata, e ne siamo grati a Sergio e alla Fiat".

Perché i risultati di quella partnership, sorride, li potete vedere già qui, Jefferson, Michigan, fabbrica della nuova Jeep Grand Cherokee: "Lunedì abbiamo avviato il secondo turno. Significa un quasi raddoppio dei dipendenti: 1.300 nuove assunzioni". Altre 1.700 sono arrivate nel resto del gruppo. "E, sapete? Non c'è l'azienda da una parte, il sindacato dall'altra. Siamo "uno", siamo Chrysler. E ne siamo orgogliosi".

Raffaella Polato

22 luglio 2010

 

 

 

Conti positivi nel secondo trimestre

La Fiat in utile, si "divide". E il titolo vola

Marchionne: "Oltre ogni aspettativa"

Piano per trasferire ad una società di nuova costituzione, Fiat Industrial S.p.A., alcuni elementi dell'attivo

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L'ad di Fiat, Sergio Marchionne (Eidon)

L'ad di Fiat, Sergio Marchionne (Eidon)

ROMA - La Fiat segna un passo positivo nei conti e annuncia piani radicali di riorganizzazione societaria: il via allo scorporo dell'auto dagli altri comparti. E il titolo vola a Piazza Affari: sale del 6,46% a 9,64 euro per azione. Grande la soddisfazione dell'amministratore delegato, Sergio Marchionne, secondo cui è stato un trimestre "eccezionale per il gruppo", che "ha superato quasi tutte se non tutte le attese del mercato". Non solo: il trimestre, ha rilevato l'ad, è andato "incredibilmente bene in tutti i settori", con particolare menzione per Cnh e Iveco. "Il business è in buona forma", ha aggiunto, e Fiat ha attese positive per il secondo semestre. Marchionne ha quindi sottolineato che le stime per il 2010 sono "decisamente sottostimate".

I NUMERI DELL'UTILE - I conti, presentati in mattinata e approvati dal consiglio di amministrazione, parlano di un utile netto a 113 milioni di euro, contro una perdita di 179 milioni di euro nel secondo trimestre 2009, utile della gestione ordinaria più che raddoppiato a 651 milioni, ricavi in rialzo del 12,5% a 14,8 miliardi di euro.

SCISSIONE PARZIALE - Il Cda del Lingotto ha anche approvato la scissione parziale proporzionale, con cui Fiat S.p.A. intende trasferire ad una società di nuova costituzione, Fiat Industrial S.p.A., alcuni elementi dell'attivo (prevalentemente partecipazioni) relativi ai business dei veicoli industriali, motori "industrial & marine", macchine agricole e per le costruzioni, oltre a debiti finanziari. "Con la scissione - spiega Fiat - queste attività saranno separate da quelle automobilistiche e dalla relativa componentistica, che includono Fiat Group Automobiles, Ferrari, Maserati, Magneti Marelli, Teksid, Comau e FPT Powertrain Technologies (attività di motori e trasmissioni per autovetture e veicoli commerciali leggeri)". Dalla data "di efficacia della scissione - prosegue Fiat - che si assume possa essere il 1 gennaio 2011, le azioni di Fiat Industrial saranno assegnate agli azionisti Fiat sulla base di un rapporto uno a uno".

L'ASSEMBLEA - Si terrà presumibilmente il prossimo 16 settembre l'assemblea degli azionisti Fiat chiamati ad approvare la scissione dei business veicoli industriali, macchine agricole e per le costruzioni dall'auto. La scissione approvata, oggi, dal cda, è, infatti, soggetta all'approvazione degli azionisti e ai provvedimenti autorizzativi delle autorità regolamentari.

LE BANCHE - Fiat Industrial Group ha ricevuto una "highly confident letter" firmata congiuntamente da Barclays Capital, BNP Paribas, Citi, Credit Agricole Corporate and Investment Bank, IntesaSanpaolo, Societè Generale Corporate & Investment Banking, The Royal Bank of Scotland e Unicredit Corporate Banking per un nuovo finanziamento sino a 4 miliardi di euro (che sarà reso disponibile con una combinazione di un finanziamento 'revolving' e di un finanziamento a termine) che ci si aspetta possa essere finalizzato prima della data di scissione. È quanto si legge nella nota del Lingotto.

Redazione online

21 luglio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-07-12

DOPO L'EDITORIALE DI SERGIO ROMANO SULLA CLASSE DIRIGENTE

Non chiediamo aiuti, ma riforme vere

La Fiat? Meglio oggi che in passato

DOPO L'EDITORIALE DI SERGIO ROMANO SULLA CLASSE DIRIGENTE

Non chiediamo aiuti, ma riforme vere

La Fiat? Meglio oggi che in passato

Caro Direttore,

accolgo con piacere l’invito lanciato ieri sul Corriere da Sergio Romano nell’articolo intitolato "La debolezza e la miopia". Chiedersi "dove sono andati gli industriali e i finanzieri che avevano uno sguardo nazionale e non esitavano a esprimere pubblicamente le loro idee?" significa interrogarsi su come l’intera classe dirigente italiana possa meglio contribuire alle scelte nazionali. È una domanda che coincide anche con l’essenza stessa del mandato di presidente di Confindustria che mi è affidato. Per questo, comprendo la nostalgia di forti individualità d'altri tempi che l'ambasciatore Romano esprime, scrivendo che "il panorama industriale italiano ha perduto molti dei suoi picchi ed è fatto principalmente di piccole colline da cui è difficile guardare lontano". Ma mi sembra utile richiamare alcune considerazioni, per comprendere meglio come gli industriali italiani parlino "meno di se stessi e più dell'Italia e dell'Europa".

Il mondo è cambiato. Non esiste più l'Italia della lira svalutabile, dei vincoli amministrativi sui flussi di capitale, del debito pubblico variabile indipendente. Alla globalizzazione tumultuosa, la crisi ha fatto seguire una mutazione che sarà di lunga durata, nelle gerarchie e nelle geografie produttive. Nel 2009 la Cina è leader della produzione industriale mondiale con la sua quota del 21,5%. Gli Stati Uniti dal 24,8% del 2001 sono scesi al 15%. Il Giappone si è quasi dimezzato, dal 15,1% all'8,5%. L'Italia nella peggior crisi del dopoguerra ha difeso il suo quinto posto, col 3,9%. Ma se la Germania è tra i "vecchi" Paesi avanzati l'unica a guadagnare spettacolarmente in avanzo commerciale e dei pagamenti, l'Italia è l'unica altra nazione del club alla quale è comunque riuscito di migliorare. Nella graduatoria dei manufatti sul commercio mondiale, siamo al 4,8%. Poco meglio del precrisi: ma meglio. È cambiato anche ciò che le imprese chiedono alla politica. Mi limito a un solo rilevante esempio. È preferibile la Fiat del passato, indotta dai sussidi pubblici offerti dalla politica ad aprire stabilimenti in cui la logica era di bruciare cassa pur di offrire lavoro considerato socialmente utile, in una logica assistenziale? Oppure la Fiat di oggi, che senza aiuti pubblici dice chiaro che Pomigliano non regge senza produttività comparabile a quella estera e che su questa base condivisa con i lavoratori riporta in Italia produzioni di massa già destinate alla Polonia? La risposta è libera. Ma io preferisco la Fiat di oggi. Che, da leader della manifattura nazionale, parla e agisce come migliaia di aziende italiane che si confrontano con l'aspra sfida e le grandi opportunità dei mercati globali. È cambiato, infine, anche il modo in cui la politica risponde alle sollecitazioni della società civile, imprese incluse.

Il sistema maggioritario della Seconda Repubblica ha creato una leadership individuale e riconosciuta dalla pubblica opinione, nell'alternarsi di maggioranza, che mancava nella Prima, i cui governi cadevano con patologica frequenza, ma i partner politici non cambiavano mai. Leadership personale e appello diretto al mandato popolare ispirano alla politica un senso di autosufficienza. I fatti si incaricano spesso di smentirla. Ma bipolarismo e premiership generano dialettiche con la società diverse dal proporzionalismo consociativo. Da queste tre osservazioni, traggo tre risposte a Sergio Romano. Prima che con le parole, le imprese rispondono con i fatti. Attenzione a guardare solo i dati della crisi nel nostro Paese, ai 6 punti di Pil persi, ai cali di ordini e fatturato che restano a doppia cifra. Se alziamo gli occhi alle performance dei nostri concorrenti nel mondo nuovo, scopriamo che c'è un'Italia manifatturiera che è già capace di far bene come la Germania. Talora meglio. Non basta da sola a trainare l'intera Italia a ritmi tedeschi. Ma assicura da sola il 70% della crescita potenziale nazionale. L'Italia delle "piccole colline" industriali sembra aver imparato la lezione dell'internazionalizzazione meglio dei grandi gruppi del passato. Alla politica, le imprese italiane non chiedono più interventi diretti discrezionali dei governi. Ma meno svantaggi competitivi nel fisco, nella pubblica amministrazione, nell'energia, nelle infrastrutture e nei trasporti. Non "stringere qualche vite, tappare qualche buco, cambiare qualche pezzo". A giugno, nella sua Assemblea annuale, Confindustria ha consegnato al governo e al Paese "Italia 2015". Un ampio documento che indica come si debba intervenire per più ricerca e migliore scuola e università, meno tasse per impresa e lavoratori, più flessibilità nel mercato del lavoro con diversi ammortizzatori, meno deficit energetico e più nucleare, più integrazione tra le aziende con reti d'impresa e più forte patrimonializzazione, più legalità dovunque nel Paese. Due punti di crescita di Pil l'anno, un punto di spesa pubblica primaria in meno ogni anno e per cinque anni.

Questo è l'interesse del Paese: crescere di più, più reddito ai lavoratori, oltre che alle imprese. Sono le posizioni che portiamo in Europa, con una presenza intensificata nella rete delle Confindustrie europee, a Bruxelles come al G10 e al G20, come nelle missioni internazionali. Infine, le riforme strutturali che chiediamo sono maturate in centinaia di incontri territoriali nei 22 mesi di crisi alle nostre spalle. La politica tanto si è accorta delle nostre proposte, che talora ha mostrato insofferenza. Come sulle tasse. O alla nostra Assemblea, quando migliaia di imprenditori hanno invocato con due minuti di applausi tagli energici ai costi della politica. Altre volte, le risposte sono invece state positive. Una settimana fa abbiamo scongiurato che nella manovra restassero norme fiscali che ledevano il diritto del contribuente al contraddittorio in contenzioso. Altro che tutela corporativa. Abbiamo difeso con successo tutele inviolabili per ogni cittadino. Quando il governo mi ha chiesto di diventare ministro delle Attività produttive, ho ringraziato ma declinato. Non credo affatto che alla fragilità di una politica spesso troppo sicura di sé la risposta giusta sia la confusione di ruoli. Il coraggio della critica non ci è mai mancato e basta guardare ai dati del nostro Centro Studi sull'evasione fiscale o all'impegno della nostra associazione contro la criminalità organizzata per riconoscere come, al di là della politica, ci siamo impegnati sui temi più rischiosi della nostra società. In ogni caso, saranno gli elettori, a tirare le somme. Ed è agli elettori, che deve chiedere consenso chi vuol cambiare le cose. Non ai salotti buoni. presidente di Confindustria

Emma Marcegaglia

12 luglio 2010

 

 

 

UN PAESE SENZA CLASSE DIRIGENTE?

La debolezza e la miopia

UN PAESE SENZA CLASSE DIRIGENTE?

La debolezza e la miopia

Se afasia significa mutismo e incapacità di parlare, quella denunciata da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 7 luglio può essere straordinariamente rumorosa. Mai gli italiani sono stati altrettanto loquaci. Mentre i politici si accusano pubblicamente di errori, bugie e malefatte, i loro elettori non smettono di protestare nelle piazze, nei blog, nelle lettere che inviano ai giornali. Per molto tempo ci siamo lamentati della scarsa attenzione che la stampa internazionale riservava all’Italia. Oggi non passa giorno senza che un grande quotidiano straniero non cerchi di penetrare il labirinto delle nostre chiacchiere per spiegare ai suoi lettori l’ennesimo pasticcio confezionato nelle cucine della penisola. Questo non ci rende maggiormente decifrabili. Ci rende, se mai, ancora più imprevedibili, incomprensibili e, in ultima analisi, irrilevanti. Anziché esportare buoni film, buoni romanzi, buone opere dell’intelligenza e della cultura, esportiamo beghe, trame giudiziarie e interminabili discussioni sulle intercettazioni telefoniche. Afasia? Ripeto: non ricordo una fase altrettanto verbosa della politica nazionale. Eppure Galli della Loggia ha ragione.

Quando parlano e protestano, gli italiani parlano quasi sempre di se stessi, vale a dire degli effetti che una legge o una manovra finanziaria potrebbero avere per le loro personali condizioni economiche o per quelle della corporazione — associazione di categoria, ordine professionale, famiglia politica — a cui appartengono. Non parlano dell’Italia e dell’Europa, vale a dire delle due grandi comunità da cui dipende in ultima analisi il loro futuro. Parlano sempre e soltanto di se stessi. Appare ogni tanto un libro in cui l’autore cerca di guardare un po’ più al di là del proprio naso e formula qualche considerazione d’ordine generale. Ma il tema rimane sul tavolo per due o tre settimane e scompare dal radar. Nell’orizzonte dell’attenzione nazionale c’è spazio soltanto per quello che potrebbe accaderci qui e ora. Spiace dirlo, ma questa amara riflessione vale anche per il mondo degli imprenditori. Dove sono andati gli industriali e i finanzieri che avevano uno sguardo nazionale e non esitavano a esprimere pubblicamente le loro idee? Quando Mussolini decise il ritorno della lira all’oro e fissò il cambio con la sterlina a una quota insostenibile, un grande industriale elettrico, Ettore Conti, andò al Senato per spiegare a un capo del governo accigliato ma attento che quella politica avrebbe provocato una catastrofica deflazione. Quando la crisi del 1929 arrivò in Europa, all’inizio degli anni Trenta, Alberto Beneduce e Raffaele Mattioli spiegarono a Mussolini che cosa bisognava fare per salvare le banche e le imprese. Quando fu chiamato all’Agip per liquidarla, Enrico Mattei ne fece uno strumento della politica nazionale. Quando scendeva a Roma per difendere gli interessi della Fiat, Vittorio Valletta aveva, per parafrasare De Gaulle, "una certa idea dell’Italia". Quando propose la riforma di Confindustria, Leopoldo Pirelli non pensava agli interessi di una corporazione, ma al miglior modo per rendere più efficace il ruolo degli industriali nella vita del Paese.

Oscar Sinigaglia, Cesare Merzagora, Enrico Cuccia, Adriano Olivetti, Guido Carli, Gianni e Umberto Agnelli (cito a caso, con molte omissioni) pensavano naturalmente alla loro azienda o alla loro istituzione, ma avevano convinzioni forti sul Paese in cui avrebbero voluto lavorare, e non mancavano di esprimerle. Mi rendo conto che i tempi sono cambiati. Il panorama industriale ha perduto molti dei suoi picchi ed è fatto principalmente di piccole colline da cui è difficile guardare lontano. L’economia è globale e l’imprenditore assume necessariamente la nazionalità del Paese in cui gli conviene operare. Come i direttori d’orchestra e gli allenatori delle squadre di calcio, i grandi manager sono una casta cosmopolita. Il sentimento dell’orgoglio nazionale si è ovunque affievolito, e l’Italia può sembrare oggi insoddisfatta della propria unità, delusa, priva di grandi ambizioni collettive. Ma gli imprenditori sanno meglio di altre categorie che da una crisi come quella in cui siamo sprofondati (la peggiore della storia, secondo Alan Greenspan) si esce soltanto in due modi. Si può tappare qualche buco, stringere qualche vite, cambiare qualche pezzo. E si può invece cogliere l’occasione per fare quello che in altre circostanze sarebbe stato molto più difficile realizzare: cambiare la forma dello Stato, il ruolo della burocrazia, le regole dell’economia. La prima garantisce un futuro mediocre e un progressivo declino. La seconda schiude nuove prospettive, suscita nuovi entusiasmi, risveglia energie sopite, crea un clima propizio alla innovazione e alla sperimentazione. La prima non richiede un particolare coraggio, la seconda ne esige molto. Quando hanno creato le loro aziende, gli imprenditori hanno dimostrato di averlo. Ora dovrebbero smetterla di misurare ogni provvedimento con il metro del loro interesse individuale e corporativo. Comincino a dirci quali sono le riforme economiche e sociali di cui il Paese ha bisogno e soprattutto quali sacrifici siano disposti a fare perché il Paese cambi. E abbiano soprattutto il coraggio della critica, senza qualunquismi e frasi fatte. Parlino meno di se stessi e più dell’Italia.

Sergio Romano

11 luglio 2010

 

 

 

 

2010-07-10

Elkann: vogliamo fare la nostra parte. Sacconi: decisione significativa per tutti

C’è l’accordo, la Panda va a Pomigliano

Vertice Fiat con Cisl e Uil, poi l’annuncio: il nostro piano andrà avanti

Elkann: vogliamo fare la nostra parte. Sacconi: decisione significativa per tutti

C’è l’accordo, la Panda va a Pomigliano

Vertice Fiat con Cisl e Uil, poi l’annuncio: il nostro piano andrà avanti

Operaio al lavoro nello stabilimento di Pomigliano (PhotoMasi)

Operaio al lavoro nello stabilimento di Pomigliano (PhotoMasi)

ROMA—Fiat produrrà la futura Panda a Pomigliano. Il gruppo torinese ieri, dopo il referendum sull’intesa che ha realizzato il 62% dei consensi tra i lavoratori, ha rotto gli indugi confermando l’accordo del 15 giugno scorso con Fim, Uil, Fismic e Ugl. Alla riunione attuativa dell’intesa, a Torino, erano presenti l’amministratore delegato, Sergio Marchionne, i segretari di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti e i segretari di categoria. Non c’era invece il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani (né tantomeno la Fiom che l’accordo non l’ha firmato), che ha giudicato "sbagliato" da parte della Fiat "scegliersi gli interlocutori al semplice scopo di farsi dare ragione". E ha affermato che tale atteggiamento "apre un problema formale nei rapporti fra Cgil e Fiat". "La decisione di procedere con gli investimenti programmati (700 milioni per Pomigliano, ndr) — ha detto il presidente Fiat, John Elkann — è un importante segnale di fiducia. Significa che crediamo nell’Italia e intendiamo fare fino in fondo la nostra parte. Molte cose stanno cambiando intorno a noi—ha proseguito — e oggi può essere l’inizio di una fase completamente diversa: il successo dipenderà da quanto ciascuno saprà essere protagonista di questo cambiamento".

Proprio a questo proposito Marchionne ha inviato a tutti i dipendenti dell’azienda una lettera in cui chiede a tutti di "accettare la sfida con il resto del mondo". Marchionne avrebbe esordito nell’incontro con i sindacati lamentando "un vuoto" della politica e descrivendo maggioranza e opposizione perse dietro a tutt’altri temi. Ma per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, l’intesa di ieri è "decisione altamente significativa per l’interesse nazionale e per quello in particolare del Mezzogiorno" anche perché "per la prima volta frutto dell’autonoma capacità delle parti sociali". Secondo Luigi Angeletti, "la Fiom ha sbagliato a non firmare perché l’intesa per la prima volta riporta una produzione in Italia, al Sud". Riferisce Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, che "Marchionne ha confessato durante l'incontro di essere stato molto combattuto in questi giorni" circa la decisione da prendere su Pomigliano. Da questo momento in poi, recita il comunicato Fiat sull’intesa, le parti "s’impegneranno per la sua applicazione con modalità che possano assicurare tutte le condizioni d i governabilità dello stabilimento ". Un riferimento forse rivolto all’ipotesi di costituire una newco, una nuova società che riassuma i lavoratori disposti a attuare l’intesa. Ipotesi che dovrebbe realizzarsi già nei prossimi 15 giorni.

Antonella Baccaro

10 luglio 2010

 

 

 

programmati 3.700 tagli entro i prossimi 11 mesi. In tutto si arriverà a 6.822 unità

Telecom, da lunedì via al piano esuberi Sacconi: "Difficile il dialogo sociale"

A breve le lettere con i licenziamenti. I sindacati: "Comportamento vergognoso". Preoccupato il ministro

programmati 3.700 tagli entro i prossimi 11 mesi. In tutto si arriverà a 6.822 unità

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MILANO - L'annuncio è arrivato venerdì nel pieno dello sciopero nazionale, mentre le lettere con i licenziamenti saranno sul tavolo dei sindacati lunedì. Telecom Italia comincia così le manovre per dare corso agli esuberi programmati nel piano triennale 2010-2012: in totale 6.822, di cui più della metà, 3.700, nel corso dei prossimi 11 mesi e cioè fino al 30 giugno del 2011. Una doccia fredda, sottolineano i sindacati, che viene letta dal segretario nazionale di Slc-Cgil, Alessandro Genovesi, come "un comportamento vergognoso da parte di un'azienda che ha registrato più di 1,5 miliardi di euro di guadagni netti, che ha già circa mille lavoratori in contratto di solidarietà e che continua a remunerare a peso d'oro dirigenti e manager". Genovesi chiede quindi al governo di affrontare la situazione e di convocare le parti sociali, perché "è in gioco il futuro di tutti gli oltre 50mila lavoratori di Telecom".

PREOCCUPATO IL MINISTRO - Il governo, per ora, si fa sentire con il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che si dice preoccupato e in una nota sottolinea che i licenziamenti rendono "più difficile il necessario dialogo sociale". Le posizioni di sindacati e azienda che dovranno sedersi attorno ad un tavolo al ministero del Lavoro sembrano però al momento distanti. "Noi siamo disponbili alla trattativa, speriamo che ci sia la stessa volontà da parte del gruppo telefonico", afferma il segretario generale della Fistel-Cisl, Vito Antonio Vitale. E Genovesi chiede a Telecom di cambiare "la propria strategia" e di dare "garanzie di sviluppo", avvertendo che se dovesse scegliere la strada del "muro contro muro, se ne assumerà tutte le responsabilità".

ESUBERI E NORME - La procedura prevista dalla legge che regola i licenziamenti collettivi dà 75 giorni ai sindacati per discutere con l'azienda e per chiedere una riduzione del numero degli esuberi o il ricorso a misure alternative come la cassa integrazione o la messa in mobilità. Intanto Telefonica, che detiene attraverso Telco oltre il 10% del capitale di Telecom Italia, è sempre più vicina all'operatore mobile brasiliano Vivo, controllato da Portugal Telecom, dopo che la Corte di Giustizia Ue ha bocciato la 'golden sharè portoghese per bloccare l'offerta del gruppo spagnolo. Il gigante guidato da Cesar Alierta ha offerto a Portugal Telecom 7,15 miliardi di euro per rilevare la quota del 50% che detiene in Brasilcel, la holding che controlla il 60% di Vivo. (fonte Ansa)

10 luglio 2010

 

 

 

2010-07-01

"inoltre va sciolto il nodo per Termini Imerese"

Pomigliano, Fiom pronta a riaprire

la trattativa: "Se Fiat rispetta le leggi"

Il sindacato chiede di "eliminare dall'accordo le clausole

che derogano il contratto e vanno contro la Costituzione"

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Il segretario della Fiom Landini (Fotogramma)

Il segretario della Fiom Landini (Fotogramma)

NAPOLI - Sullo stabilimento di Pomigliano d'Arco la Fiom è pronta a riaprire la trattativa "se la Fiat rispetta le leggi": lo ha detto il segretario generale Maurizio Landini all'assemblea del sindacato dei metalmeccanici.

CLAUSOLE - "Con il contratto nazionale del lavoro la Fiat può applicare i 18 turni e io so benissimo di cosa parliamo, diversamente da molti altri che non hanno idea di cosa significa lavorare sulle catene di montaggio - ha aggiunto Landini -. Per riaprire la trattativa la Fiat deve eliminare dall'accordo le clausole che derogano il contratto e vanno contro le leggi e la Costituzione". Inoltre, la Fiat "deve sciogliere il nodo per Termini Imerese in quanto la Fiom non è disposta ad accettare licenziamenti di massa dei lavoratori, in Sicilia come in Campania".

DOCUMENTO - L'assemblea della Fiom ha approvato all'unanimità il documento in cui si ribadisce il no all'accordo, "così com'è, per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco" e l'avvio di un'iniziativa itinerante che partirà da Termini Imerese per giungere a Roma alla presidenza del Consiglio dei ministri. Nel teatro Gloria di Pomigliano c'erano 1.500 persone tra delegati, operai, Rsu e segretari nazionali, regionali e provinciali. Nel documento la Fiom ha ringraziato gli operai "per non essersi piegati al ricatto della Fiat".

REFERENDUM - Dopo il referendum tra i lavoratori dello stabilimento, con poco più del 60% di sì all'intesa per sbloccare l'investimento della Fiat di 700 milioni di euro e il trasferimento in Campania delle linee produttive della nuova Panda, il già perplesso gruppo dirigente del Lingotto si è ulteriormente irrigidito. Secondo indiscrezioni, sarebbe stato disposto a lasciar perdere tutto se non fosse per le pressioni del governo e dei sindacati che si erano detti favorevoli all'accordo, Cisl e Uil. E il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha ribadito più volte: "Sono fiducioso sugli investimenti". Giovedì, intervistato da Radio2, ha detto che la Panda andrà a Pomigliano "nonostante tutto", dato che una maggioranza "netta e inequivoca" ha detto sì all'accordo al referendum, che "non è stato facile".

SACCONI - "Il ministro Sacconi non è super partes come dovrebbe essere - attacca Landini -. Il governo o è assente oppure, quando c'è, sostiene la Fiat e fa manovre che non stanno in piedi. Il governo faccia il suo mestiere e invece di sostenere che si vogliono agevolare i lavoratori che affronteranno a Pomigliano i turni notturni, agevoli le imprese in maniera differente. Ma non dia incentivi alle aziende senza condizioni, senza salvaguardare l'occupazione e i lavoratori così come hanno fatto in altri Paesi d'Europa".

Redazione online

01 luglio 2010

 

 

 

 

2010-06-23

Sacconi: "Sono fiducioso". Bonanni: "Il lingotto rispetti l'accordo".

Pomigliano, dopo il referendum resta il rebus sul futuro dello stabilimento

La Fiat: "Lavoreremo con chi ha firmato. Impossibile collaborare con chi ci ostacola in modo pretestuoso".

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Sergio Marchionne

Sergio Marchionne

MILANO - La questione Pomigliano è ancora lontana da una soluzione definitiva. Non è bastato il risultato del referendum tra i lavoratori dello stabilimento, dove una maggioranza di poco più del 60 per cento ha detto sì all'intesa con l'azienda, per sbloccare l'investimento della Fiat di 700 milioni di euro volto originariamente a permettere il trasferimento in Campania delle linee produttive della Panda.

LA NOTA - Prima il no della Fiom poi la concreta dimostrazione che, a fronte di una maggioranza di sì alle nuove condizioni di lavoro proposte dall'azienda torinese, esiste una forte minoranza che non sembra disponibile ad accettare l'accordo, hanno fatto irrigidire il già perplesso gruppo dirigente del Lingotto. Che, secondo indiscrezioni, sarebbe pronto anche a lasciar perdere tutto se non fosse per le pressioni del governo e dei sindacati che si erano detti favorevoli all'accordo: Cisl e Uil avrebbero fatto notare che, dopo tutto, la maggioranza dei lavoratori aveva approvato l'intesa e che una marcia indietro dell'azienda, a questo punto, avrebbe come risultato una sconfessione della linea sindacale più aperta alla trattativa. "Non voglio nemmeno ipotizzare che Fiat cambi idea" sottolineava il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. "Non ho parlato direttamente con Marchionne, ma ho sentito l'azienda dopo l'esito e sono fiducioso sugli investimenti su Pomigliano". "Le mie informazioni - aggiungeva - sono che il risultato del referendum è stato apprezzato dal Lingotto" e "non ci sono gli elementi per dire che l'azienda cambierà idea". A ogni modo, "un'ipotesi diversa dal rispetto dell'accordo sarebbe assurda. Fiat deve rispettare l'accordo. Credo che debba farlo, non solo dopo questo travagliato percorso, ma credo che lo voglia anche fare. Non voglio nemmeno pensare a un'ipotesi diversa, non ce ne sono le ragioni e sarebbe un'ipotesi assurda e molto grave". "Ora la Fiat, senza tentennamenti, senza se e senza ma, ribadisca l'investimento" gli faceva eco il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani.

Rinforzava il concetto il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, secondo il quale il Lingotto a questo punto "deve rispettare gli impegni". "Mi rifiuto di pensare che Marchionne non garantirà l'accordo - diceva Bonanni a margine di una conferenza stampa a Pomigliano (guarda il video) - se si dovesse verificare un'ipotesi del genere, con la stessa forza con la quale abbiamo difeso i posti di lavoro così saremo contro un abbozzo di ripensamento". Il leader sindacale affermava che "ci sono le condizioni per fare gli investimenti e garantire Pomigliano, anzi per garantire lo stabilimento e anche altri posti di lavoro". Da qui l'appello: "Chiediamo alla Fiat di procedere perché ha potuto contare su un vasto piedistallo su cui poter costruire prospettive".

Alla fine le pressioni portavano all'apertura di uno spiraglio nello scetticismo del Lingotto tanto che l'azienda automobilistica torinese rendeva pubblica una nota nella quale si leggeva che la "Fiat ha preso atto della impossibilità di trovare condivisione da parte di chi sta ostacolando, con argomentazioni dal nostro punto di vista pretestuose, il piano per il rilancio di Pomigliano. L'azienda apprezza il comportamento delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori che hanno compreso e condiviso l'impegno e il significato dell'iniziativa di Fiat Group Automobiles per dare prospettive allo stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano. L'azienda lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell'accordo al fine di individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri".

FIOM - Ma alla battaglia di Pomigliano, come è noto il fronte sindacale si presenta diviso. Così c'era ancora chi come la Fiom, per bocca del segretario generale Maurizio Landini, chiedeva invece al Lingotto, visti proprio gli esiti del referendum che non si era trasformato in un plebiscito a favore della Fiat, di fare un passo indietro e riaprire il negoziato. "Ci sia questa assunzione di responsabilità - affermava - perché il consenso è un punto decisivo". Landini (guarda il video) ringraziava " i lavoratori e le lavoratrici di Pomigliano perché hanno dimostrato una responsabilità e una dignità che deve essere di lezione per tutti. La Fiat voleva organizzare - continuava il sindacalista - un plebiscito con ricatto dei lavoratori. I lavoratori hanno detto che vogliono l'investimento, il lavoro ma anche i diritti e la dignità, che le questioni non sono scindibili". Per Landini a questo punto "è necessario che la Fiat rifletta con serietà perché per far funzionare la fabbrica bisogna avere il consenso attivo dei lavoratori". Insomma, "la Fiat voleva sentire la voce dei lavoratori? L'ha sentita, ora ne tenga conto".

 

 

CONFINDUSTRIA - A favore della necessità di un'intesa si schierava anche Confindustria . Con Emma Marcegaglia, che esprimeva il suo "supporto" e "apprezzamento" per la posizione espressa dal Lingotto. "Siamo soddisfatti che l’azienda voglia andare avanti con la maggioranza dei sindacati e dei lavoratori che hanno deciso di sostenere la Fiat - dichiarava la Marcegaglia - e condividere la sua iniziativa, e che continueranno a ragionare su come concretizzarla". Il presidente di Confindustria si diceva contenta del fatto che la maggioranza dei lavoratori e del sindacato comprendesser0 "la necessità di riportare Pomigliano, dopo tanti anni, in linea con la produttività non degli stabilimenti cinesi, ma degli altri italiani". Purtroppo, sottolineava con un'ultima frecciata Emma Marcegaglia, "c'è un sindacato e una parte dei lavoratori che, in base a principi astratti, non comprendono la sfida che abbiamo davanti".

Redazione online

23 giugno 2010

 

 

 

 

camusso (cgil): "I sì per il lavoro e i no per non cancellare i diritti"

Referendum di Pomigliano, vincono i sì

ma non c'è il plebiscito: i contrari al 36%

I voti favorevoli all'intesa sono stati il 62,2%, affluenza al 95%. Sacconi: "Ci sono condizioni per investimenti Fiat"

camusso (cgil): "I sì per il lavoro e i no per non cancellare i diritti"

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ma non c'è il plebiscito: i contrari al 36%

I voti favorevoli all'intesa sono stati il 62,2%, affluenza al 95%. Sacconi: "Ci sono condizioni per investimenti Fiat"

POMIGLIANO D'ARCO - Al referendum sull'accordo per il futuro di Pomigliano d'Arco hanno vinto i sì con il 62,2%, ma i voti contrari sono al 36%, probabilmente più di quanto la Fiat si aspettasse. Al termine del lungo scrutinio delle 4.642 schede (su 4.881 votanti) i favorevoli risultano 2.888, contro i 1.673 che hanno rispedito al mittente l'intesa siglata da azienda e sindacati (Fiom esclusa) il 15 giugno. Le schede nulle sono state 59 e 22 le bianche. Si votava anche al Polo di Nola, dove è arrivato un secco no: su 273 voti 77 sono stati favorevoli e 192 contrari. Il segretario della Uilm Campania Giovanni Sgambati ha sottolineato che "la partecipazione è stata altissima, pari al 95%. In tutta la giornata si è registrato un assenteismo pari al 4%. È un risultato che non si era mai registrato prima in consultazioni del genere".

SACCONI: ORA INVESTIMENTI - Soddisfatto il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, secondo cui è stata "isolata la logica del conflitto e prevale quella della collaborazione tra le parti". "La partecipazione al voto è stata straordinariamente alta. A questo punto - spiega - la Fiat non può che riconoscere che vi sono tutte le condizioni per realizzare il promesso investimento in un contesto di pace sociale. Da oggi il Paese si rivela ancora più moderno". "Ha vinto - aggiunge Sacconi - la volontà del Mezzogiorno di attrarre investimenti per consolidarsi come piattaforma produttiva per l'intero bacino del Mediterraneo. Cambiano con questo voto le relazioni industriali nelle quali si isola la logica del conflitto e prevale quella della collaborazione tra le parti nel nome del comune destino dell'impresa e del lavoro. Il baricentro dei nuovi rapporti sindacali diventano l'azienda e il territorio". Per Sacconi "a questo punto la Fiat non può che riconoscere che vi sono tutte le condizioni per realizzare il promesso investimento in un contesto di pace sociale che, sono convinto, tutti o quasi tutti sapranno garantire. Questo voto - conclude il ministro del Lavoro - è paragonabile al referendum sulla scala mobile che consolidò l'accordo di San Valentino".

La lunga notte degli operai di Pomigliano in attesa dei risultati del referendum (Ansa)

La lunga notte degli operai di Pomigliano in attesa dei risultati del referendum (Ansa)

SINDACATI - "I lavoratori di Pomigliano hanno compreso e condiviso le ragioni del nostro accordo" ha dichiarato il segretario generale della Uil Luigi Angeletti. Anche il segretario nazionale della Fim Cisl Bruno Vitale valuta "positivamente" il risultato di Pomigliano e chiede alla Fiat chiede di procedere con l'investimento. "I due terzi dei lavoratori hanno votato per il sì. Cosa ci si deve aspettare per Pomigliano? Bisogna chiederlo a Marchionne: sarebbe un Paese strano quello in cui si fa un accordo, si vince, e poi ci si comporta come se si fosse perso".

CGIL: DIRITTI - La vice segretaria generale della Cgil Susanna Camusso fa invece dei distinguo: "I sì per il lavoro e i no per non cancellare i diritti. La partecipazione al voto era prevedibile, come la prevalenza dei sì: i lavoratori di Pomigliano si sono ritrovati improvvisamente arbitri di una contesa che preme su di loro e sulle loro aspettative personali perché in quel territorio, caratterizzato da un'alta disoccupazione, uno stabilimento come quello della Fiat svolge un ruolo essenziale e non sostituibile". Secondo Camusso, "anche un voto così particolare, nella sua articolazione tra sì e no, dice che ci vuole una soluzione condivisa, come la Cgil ha sempre sostenuto. Tanto più che intese che cancellano diritti sono inefficaci in quanto illegittime. Per questo chiediamo a Fiat di confermare e avviare l'investimento e la produzione della nuova Panda a Pomigliano, di riaprire la trattativa per un'intesa condivisa da tutti". "Al governo - conclude Camusso -, che è stato ininfluente sulle scelte industriali, che ha voluto giocare una sua partita di divisione del sindacato, il voto dice che un Paese moderno difende i diritti dei lavoratori".

Redazione online

23 giugno 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

2010-06-22

Marcegaglia: "Serve responsabilità". Bersani: "la fiat mantenga gli impegni"

Referendum di Pomigliano, si profila

una netta vittoria del sì. Affluenza al 95%

Hanno votato 4.659 lavoratori su 4.881, urne aperte dalle 8 alle 21. Tensione e accuse all'esterno dello stabilimento

Marcegaglia: "Serve responsabilità". Bersani: "la fiat mantenga gli impegni"

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una netta vittoria del sì. Affluenza al 95%

Hanno votato 4.659 lavoratori su 4.881, urne aperte dalle 8 alle 21. Tensione e accuse all'esterno dello stabilimento

POMIGLIANO D'ARCO - Si profila una netta vittoria del sì nel referendum sull'accordo per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco. Su cento schede scrutinate 98 sono per il sì e 2 per il no, ha fatto sapere Giuseppe Terracciano, segretario della Fim Cisl di Napoli. Hanno votato 4.659 lavoratori su 4.881. Secondo il segretario della Uilm Campania Giovanni Sgambati la partecipazione è stata "altissima, pari al 95%". "In tutta la giornata si è registrato un assenteismo pari al 4% - aggiunge -. È un risultato che non si era mai registrato prima in consultazioni del genere".

IL REFERENDUM - I lavoratori erano chiamati a esprimersi sull'accordo separato tra azienda e sindacati: una scelta che potrebbe essere decisiva per il destino dello stabilimento, dei 700 milioni di investimenti per portare la produzione della Panda dalla Polonia a Pomigliano e, dunque, per il futuro lavorativo degli oltre 5mila Fiat e dei 15mila impiegati nell'indotto. L'intesa è stata siglata da Fim Cisl, Uilm Uil, Fismic e Ugl, mentre la Fiom Cgil non ha firmato contestando gli interventi che interferiscono con norme del contratto nazionale o della legislazione (assenteismo e vincoli al diritto di sciopero).

LA GIORNATA - Alle 8 sono partite le votazioni e le urne si sono chiuse alle 21; quindi è iniziato lo spoglio. Gli operai hanno votato nella sala dove si pagano gli stipendi: niente cassa integrazione, per un giorno, proprio per consentire a tutti le votazioni. Il quesito cui i lavoratori dovevano rispondere con una croce sul 'sì' o sul 'no' era: "Sei favorevole all'ipotesi d'accordo del 15 giugno 2010 sul progetto 'Futura Panda' a Pomigliano?". Dieci urne erano dentro la fabbrica; un'altra nello stabilimento di Nola, dove c'è il polo della logistica.

ACCUSE - Una giornata decisiva, per lo stabilimento Fiat. Quasi inevitabili i segnali di tensione e nervosismo all'esterno. Accuse reciproche vengono rivolte da una parte all'altra, perfino per interviste rilasciate alle tv. E così capita che il delegato provinciale della Fim, Michele Liberti, sindacato che ha firmato l'intesa, punti l'indice contro un esponente del Cobas ("mi hai rivolto accuse pesanti, inaccettabili") e, viceversa, il Cobas - rappresentato da Mimmo Mignano, ex operaio Fiat poi reintegrato - replichi "siete dei venduti". Parole grosse davanti allo stabilimento, il tutto mentre gli operai continuano a dire:"All'interno dello stabilimento i lavoratori sono sereni".

I COMMENTI - Sulla vicenda interviene intanto Emma Marcegaglia. "L'impressione è che i lavoratori mostreranno il senso di responsabilità che serve" - afferma il presidente di Confindustria da Bruxelles - e capiranno che in un'area delicata come quella di Pomigliano dire 'no' a un investimento di 700 milioni e al ritorno della produzione dalla Polonia sarebbe problematico. Sarebbe un segnale negativo per la capacità di attrarre investimenti nel nostro Paese". Secondo lo Slai-Cobas il referendum non finirà con "un plebiscito del sì". Vittorio Granillo, della dirigenza del sindacato, ha infatti affermato che il "60% dei lavoratori voterà sì mentre il 40% dirà no all’accordo". Una percentuale che "creerà un problema serio dal momento che non ci sarà l'80-85% auspicato da Marchionne". "Se vince il sì - commenta invece il segretario del Pd, Pierluigi Bersani - la Fiat mantenga l'impegno preso con i lavoratori: il loro sì sarebbe un sì alla Fiat". Bersani spiega che il referendum "è un passaggio molto delicato. Ora ci si deve riferire a quello, ma se i lavoratori sono andati a votare, il loro sarebbe un sì alla Fiat, per cui voglio credere che anche la Fiat darà seguito all'accordo e non seguirà altre ipotesi di cui si legge in queste ore".

Redazione online

22 giugno 2010

 

 

Pomigliano vota, a Torino non basta un sì

Marcegaglia: non tutelare gli assenteisti. E Termini sciopera contro le frasi di Marchionne

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Pomigliano vota, a Torino non basta un sì

Marcegaglia: non tutelare gli assenteisti. E Termini sciopera contro le frasi di Marchionne

MILANO — Alla vigilia del referendum sull’accordo per Pomigliano d’Arco si apre un altro fronte per la Fiat a Termini Imerese. Ieri gli operai dello stabilimento siciliano destinato alla chiusura nel 2012 hanno scioperato per un’ora a causa delle parole, ritenute offensive, di Sergio Marchionne che lunedì scorso aveva accusato i lavoratori di avere incrociato le braccia solo per poter vedere Italia-Paraguay.

Sergio Marchionne (Eidon)

Sergio Marchionne (Eidon)

"Gli operai di Termini hanno scioperato rispetto alla loro condizione e alla prospettiva dello stabilimento—ha spiegato il vicesegretario della Cgil, Susanna Camusso—. Condizioni che nulla c'entravano con la partita, e anche se per caso lo due cose avessero coinciso non si possono confondere le ragioni di uno stabilimento condannato alla chiusura con una polemica che considero un po’ gratuita".

Ieri hanno scioperato anche i lavoratori delle carrozzerie di Mirafiori, per solidarietà con i colleghi di Pomigliano, dove a meno di ventiquattr’ore dal referendum il clima resta incandescente, con la Fiat che non arretra di un millimetro, forte anche del via libera di Fim, Uilm, Fismic e Ugl, e la Fiom ferma nel ribadire il no incondizionato all’accordo. L’amministratore delegato della Fiat vuole la garanzia della "praticabilità" dell'intesa firmata il 15 giugno. Praticabilità che, in sostanza, significa sterilizzare i microconflitti che potrebbero nascere in fabbrica dopo il no della Fiom.

L’auspicio, condiviso da molti, resta certamente quello di una vittoria dei sì, ma ancor più importante è la "gestibilità" dell’accordo, senza la quale gli investimenti rimangono a rischio. Si tratta di "fare in modo che le parti si adattino a ciascuna dimensione aziendale reciprocamente, flessibilmente e utilmente" ha spiegato ieri il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, e "credo ha aggiunto — ci siano le condizioni per un largo consenso, senza né vinti né vincitori, se non l'unica vittoria, affidata agli investimenti e ai posti di lavoro". Che è ciò che più conta anche per l’opposizione. Enrico Letta ieri è stato netto sul suo sostegno al sì, auspicando una vittoria "in modo convinto e largo". Ma lo è stato altrettanto anche sulla posizione del Pd, che ritiene "quell'accordo un unicum. Non può essere ripetibile ".

Per il vicesegretario del Pd Pomigliano è una situazione particolare e va trattata come tale. Emma Marcegaglia, che ieri ha fatto appello al "grande senso di responsabilità" dei lavoratori, chiedendo alla Fiom se "tutelare i finti malati o gli assenteisti cronici significa tutelare i lavoratori? ", ha ricordato che in ballo ci sono "700 milioni di investimento e un'azienda che porta produzione dalla Polonia all'Italia, una cosa che non succede quasi mai". Bisogna solo decidere "se si vuole uno stabilimento competitivo che dia un futuro a 5 mila lavoratori più altri 10 mila nell' indotto oppure no". La presidente di Confindustria è consapevole tuttavia che quella della Fiom è "una posizione molto problematica " che rischia di rendere ingestibile Pomigliano.

Per ovviare al problema ieri è spuntata l’ipotesi di un "piano C" messo a punto dal Lingotto, che vedrebbe la Fiat creare una nuova società con le attività di Pomigliano e l’assunzione dei lavoratori uno a uno con un nuovo contratto. "Un'ipotesi intermedia— ha rivelato il segretario generale della Fismic, Roberto Di Maulo—già ventilata durante la trattativa che abbiamo chiesto di accantonare perché preferiamo che una vittoria schiacciante dei sì riduca il pericolo da microconflittualità". Tuttavia, ha ammesso, "se le cose non dovessero andare bene non è detto che anche noi, piuttosto che mandare la produzione della Panda in Polonia, non possiamo richiedere che sia usata questa ipotesi".

Federico De Rosa

22 giugno 2010

 

 

 

la fiom: "questa è la nostra risposta"

Fiat: sciopero improvviso a Termini Imerese per protesta contro Marchionne

Agli operai non sono piaciute le parole dell'ad che aveva parlato di uno sciopero per vedere Italia-Paraguay

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Sergio Marchionne (Eidon)

Sergio Marchionne (Eidon)

MILANO - Ancora acque agitate in casa Fiat. Questa mattina c'è stato infatti uno sciopero improvviso allo stabilimento Fiat di Termini Imerese.

LE RAGIONI DELLA PROTESTA - Gli operai hanno deciso di fermare la produzione per protesta contro le parole dell'amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne che aveva criticato i lavoratori siciliani accusandoli di avere scioperato lunedì scorso solo per poter vedere la partita di calcio dei Mondiali Italia-Paraguay.

FIOM - "Questa è la risposta a Marchionne". Così il segretario della Fiom di Palermo, Roberto Mastrosimone, commenta lo sciopero alla Fiat di Termini Imerese. "Qui c'è gente che lavora da trent'anni - aggiunge Mastrosimone - Il signor Marchionne non solo sta chiudendo lo stabilimento ma addirittura adesso cerca di screditare il lavoro degli operai. Eppure era stato proprio lui a lodare la professionalità dei lavoratori di Termini Imerese, spiegando che la scelta di chiudere dipendeva da altre cose".

Redazione online

21 giugno 2010

 

 

 

 

sullo stallo in corso sull'accordo per L'IMPIANTO NEL NAPOLETANO

Fiat, l'allarme di Marchionne: "Senza accordo non esisterà più industria"

"A Termini Imerese hanno scioperato per la nazionale". La denuncia Fiom: "Fiaccolata sabato sera a Pomigliano. L'azienda vuole replicare la marcia dei 40mila"

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Sergio Marchionne (Eidon)

Sergio Marchionne (Eidon)

MILANO - Da una parte l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, che lancia un avvertimento chiaro: "Senza accordo non esisterà più industria". Dall'altra la denuncia dei segretari generali della Fiom: "L'azienda sta organizzando una fiaccolata per domani sera "precettando" i lavoratori alla partecipazione". Le posizioni di azienda e metalmeccanici su Pomigliano d'Arco restano distanti. Marchionne è caustico sullo scontro sindacale e le polemiche suscitate dopo l’accordo separato per il rilancio dello stabilimento nel Napoletano. Se si continua così, sostiene l'ad del Lingotto, "l’Italia non avrà un futuro a livello manifatturiero, l’industria non esisterà più: se la vogliamo ammazzare me lo dite. Lo facciamo - aggiunge con sarcasmo - sono disposto a fare quello che vogliono gli altri". "Il problema - ha detto il numero uno del Lingotto al termine della lectio magistralis di Mario Draghi per il master honoris causa conferitogli dalla fondazione Cuoa - è che stiamo cercando di portare avanti un progetto industriale italiano che non ha equivalenti nella storia dell’Europa. Non conosco nemmeno un’azienda in Europa che è stata disposta, capace, e ha avuto il coraggio di spostare la produzione da un paese dell’Est di nuovo in Italia". "Stiamo facendo discussioni su tv e giornali - ha concluso Marchionne - su principi di ideologia che ormai non hanno più corrispondenza con la realtà. Parliamo di storie vecchie di 30-40-50 anni fa: parliamo ancora di padrone contro il lavoratore, cose che non esistono più". Poi ha aggiunto: "Non mi riconosco, come industriale, nei discorsi che vengono fatti dalla Fiom. Questa non è la Fiat che gestiamo noi, non è la Fiat che esiste, parliamo di mondi diversi: è un proprio un discorso completamente sballato". "Noi abbiamo bisogno come in America di un solo interlocutore con cui parlare e non di dodici. Anche il fatto che i nostri operai si siano divisi in gruppetti ci costringe a parlare dà fastidio e non è la cosa più efficiente", ha detto il manager italo-canadese. "Non si può andare avanti così se per portare una macchina in italia bisogna parlare con 10 persone. È una cosa incredibile, mai vista", ha aggiunto Marchionne.

LO SCIOPERO PER LA NAZIONALE - Poi ha concluso: "Cerchiamo di smetterla di prenderci per i fondelli" riferendosi in particolare allo sciopero di lunedì scorso a Termini Imerese indetto perché "l'unica ragione è che stava giocando la nazionale italiana". Alla fine risponde con una battuta ad una domanda dei cronisti su una recente dichiarazione dell'ex leader della Cgil, Sergio Cofferati che ha affermato che Marchionne è peggio di Cesare Romiti. "Non conoscevo Romiti, può darsi che aveva ragione: non lo so".

"LAVORATORI PRECETTATI" - I dirigenti Fiom, dal canto loro denunciano che l'azienda sta organizzando per sabato sera una fiaccolata per "precettare" i lavoratori di Pomigliano d’Arco alla partecipazione. Dicono Maurizio Mascoli e di Napoli, Massimo Brancato: "Ci giunge notizia che l’azienda, attraverso i suoi "capi", stia organizzando una marcia a favore dell’intesa separata sottoscritta il 15 giugno, a cui tutti i lavoratori sono "invitati" a partecipare. Emergono - sottolineano in una nota - le peggiori tradizioni della Fiat, che ripropone a distanza di trent’anni una marcia dei 40mila in sedicesimo". Secondo quanto denunciato dalla Fiom, inoltre, "viene impedito l’accesso allo stabilimento per i soli delegati Fiom della linea 147 (che in questi giorni non lavora), mentre non avviene altrettanto per i delegati delle altri organizzazioni sindacali". Per lunedì, inoltre, l’azienda starebbe "invitando volontariamente" i lavoratori a presentarsi in stabilimento affinché possa provvedere" a illustrare i contenuti dell’accordo sottoscritto dalle altre organizzazioni sindacali.

FIOM - Il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini invita l'azienda a riflettere "sull'opportunità di imporre a Pomigliano un referendum sotto ricatto, il cui esito è già scritto". "Quando le lavoratrici ed i lavoratori della Fiat si possono liberamente esprimere, lo fanno per contrastare l'accordo separato di Pomigliano". "Mirafiori - dice Landini - si ferma, a Melfi la Fiom torna ad essere il primo sindacato nelle elezioni delle Rsu, alla Sevel i lavoratori scioperano e firmano l'appello rivolto a Marchionne, appello che stanno firmando anche a Cassino. L'assemblea degli iscritti Fiom di Pomigliano e i Comitati direttivi dei metalmeccanici Cgil di Napoli e della Campania hanno condiviso all'unanimità il giudizio espresso dal Comitato Centrale della Fiom, quindi l'impossibilità di firmare il testo imposto dalla Fiat e l'illegittimità di un referendum che avviene sotto il ricatto dei licenziamenti e viola norme della Costituzione". "Per far funzionare meglio le imprese - sottolinea il numero uno della Fiom - sono decisivi il consenso delle lavoratrici e dei lavoratori e il confronto negoziale fondato sulla pari dignità delle parti. La decisione della Fiat di cancellare i diritti fondamentali e di costruire rapporti fondati sul ricatto, anzichè sul consenso, costruisce solo conflitto e malcontento. La Fiat ascolti la voce libera dei suoi dipendenti che, in questi giorni, si stanno esprimendo e vogliono lavoro e diritti".

TERMINI IMERESE - In precedenza il segretario della Fiom di Palermo, Roberto Mastrosimone aveva lanciato il suo j'accuse ai vertici della fabbrica torinese e non solo: "Per salvare lo stabilimento di Pomigliano la Fiat ha sacrificato 2.200 lavoratori di Termini Imerese. È bene dirlo a quanti in queste ore stanno enfatizzando l'accordo per Pomigliano, penso al ministro Sacconi, al presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, al Pd, al segretario della Cisl Raffaele Bonanni, alla Fim e alla Uilm. Alcuni di questi sanno benissimo cosa c'è dietro la vicenda". Per Mastrosimone "la scelta di chiudere Termini Imerese rientra in una precisa strategia messa a punto dalla Fiat sotto le pressioni della politica e delle lobbies preoccupate per il futuro dei 15 mila lavoratori di Pomigliano, che è ovvio che andavano tutelati ma non sacrificando altri operai". "La Fiat aveva firmato un accordo con il sindacato che prevedeva la produzione a Termini Imerese della nuova Lancia Ypsilon - dice Mastrosimone, ex delegato Fiat nella fabbrica - L'investimento programmato era di 550 milioni di euro, 100 milioni furono spesi per l'acquisto di un capannone e per la formazione degli operai. All'improvviso l'ad Sergio Marchionne cambia rotta, non rispetta gli impegni. Il motivo è che per trasferire dalla Polonia a Pomigliano la Panda era necessario assegnare un'altra vettura allo stabilimento di Tichy. Quale? La Fiat ha scelto la Lancia, scrivendo la parola fine sulla storia della fabbrica di Termini Imerese". "Sacconi, Marcegaglia, Bersani lo sanno questo? - conclude -. Cosa dicono alle 2.200 famiglie di altrettanti operai che a fine 2011 non saranno più dipendenti della Fiat? Oppure vogliono continuare a raccontare la storiella che nella loro fabbrica si gireranno film per il cinema o si costruiranno le auto elettriche?".

Redazione online

18 giugno 2010

 

 

 

 

Tremonti: "L'accordo è la rivincita dei riformisti"

Pomigliano, la Marcegaglia attacca : "Incredibile il no della Fiom"

Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato il nuovo documento Fiat, la Fiom no. Referendum il 22 giugno

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I sindacati riuniti per la firma dell'accordo su Pomigliano (Lapresse)

I sindacati riuniti per la firma dell'accordo su Pomigliano (Lapresse)

MILANO - Il no della Fiom all'accordo per lo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco "è incredibile". Lo ha detto la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, commentando la bocciatura dei metalmeccanici della Cgil al documento del Lingotto, che martedì ha portato all'intesa separata sul sito campano. "Secondo noi - ha spiegato Marcegaglia - è incredibile che davanti a un'azienda che va contro la storia prendendo le produzioni dalla Polonia e riportandole in Italia, e che investe 700 milioni di euro, ci sia un no". Ora "vediamo cosa succede il 22 giugno", giorno in cui si terrà il referendum allo stabilimento, "attendiamo di capire cosa vogliono fare i lavoratori".

ACCORDO SEPARATO - Martedì c'era stato l'accordo separato sullo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco. Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato il documento, integrato, presentato dal Lingotto (LEGGI). La Fiom ha confermato il suo no. Al documento la Fiat ha stato aggiunto un sedicesimo punto, relativo all'istituzione di una commissione paritetica di raffreddamento sulle sanzioni, come richiesto dalle organizzazioni sindacali che venerdì avevano già dato un primo via libera al testo. È stata inoltre stabilita la data del referendum tra i lavoratori: martedì 22 giugno. "Mi auguro che la Fiom e la Cgil non vogliano ostacolare questo percorso" ha detto il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Per il collega dell'Economia Tremonti "l'accordo su Pomigliano è la rivincita dei riformisti su tutti gli altri".

LA FIOM - "È un testo irricevibile, che va oltre le questioni relative allo stabilimento, che pone problemi seri di contrasto alla Carta costituzionale per quanto riguarda il diritto di sciopero e deroga alle leggi e al contratto nazionale - aveva spiegato il responsabile del settore auto della Fiom, Enzo Masini -. I lavoratori sono messi in condizione di ricatto. E anche un referendum non è possibile sotto la minaccia di chiusura di uno stabilimento. Questo è un referendum anomalo, nel senso che viene fatto: "Vuoi lavorare o vuoi essere licenziato?"". Al momento della firma Masini si è alzato ed ha lasciato il tavolo. Del referendum "discuteremo mercoledì - aveva aggiunto -, abbiamo convocato l'assemblea degli iscritti della Fiom a Pomigliano". I punti del testo, ha inoltre sottolineato, "non sono assolutamente cambiati. Il testo è lo stesso e la minaccia di licenziare i singoli lavoratori non è cambiata, c'è tutta. È stata solo istituita una commissione paritetica". Per Masini, il negoziato non è stato "paritario".

REAZIONI - Con la Fiom si era schierata l'Italia dei Valori, secondo cui è stata firmata "un'intesa che riduce drasticamente i diritti individuali e collettivi previsti dalla Costituzione e dalle leggi e mettono sotto ricatto i lavoratori di Pomigliano". Secondo il segretario del Pd Pier Luigi Bersani "si poteva arrivare, con la buona volontà di tutti, a un accordo sull'assenteismo e sulla flessibilità senza sfiorare delicate questioni giuridiche. A questo punto bisogna valutare l'esito del referendum tra i lavoratori e bisogna fare in modo, e lo dico in particolare al governo, che questa vicenda eccezionale non prenda il carattere di esemplarità". Il sindaco di Pomigliano d'Arco, Lello Russo, pensa al 22 giugno: "Dai risultati del referendum emergerà la stragrande maggioranza della classe operaia è sana, non è fatta di scioperanti a oltranza, di assenteisti, di fannulloni, ma di persone serie, lavoratori che vogliono dimostrare ai colleghi del nord che qui da noi ci sono eccellenza e produttività".

Redazione online

15 giugno 2010(ultima modifica: 16 giugno 2010)

 

 

 

Il sindaco russo: il referendum avrà un risultato positivo

Pomigliano, accordo separato e "no"

della Fiom. Il 22 si tiene il referendum

Il Lingotto ha aggiunto un sedicesimo punto all'intesa in cui si stabilisce il varo di una commissione paritetica

NAPOLI - Accordo separato sullo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco e referendum martedì 22. Fim, Uilm, Fismic e Ugl hanno firmato il nuovo documento, integrato, presentato dal Lingotto. La Fiom ha confermato il suo no.

La Fiat ha sottoposto ai sindacati dei metalmeccanici un nuovo documento in cui viene aggiunto il sedicesimo punto relativo alla istituzione di una commissione paritetica di raffreddamento sulle sanzioni, come era stato richiesto dalle organizzazioni che venerdì scorso avevano già dato un primo ok.

IL SINDACO - Nei giorni più tesi della vicenda Fiat-Pomigliano fa sentire la sua voce anche il neosindaco della città, Lello Russo, che prevede un’affermazione netta del sì all’accordo e non usa mezze misure per illustrare la sua posizione: "L’amministrazione comunale di Pomigliano d’Arco è accanto agli operai ed io non riesco a comprendere la posizione della Fiom. Il referendum avrà un risultato positivo, oserei dire scontato, a favore dell’accordo, emergerà la stragrande maggioranza della classe operaia che è sana, che non è fatta di scioperanti ad oltranza, di assenteisti, di fannulloni, ma di persone serie, lavoratori che vogliono dimostrare ai colleghi del nord che qui da noi ci sono eccellenza e produttività".

Russo è inevitabilmente preoccupato delle ricadute occupazionali della vicenda: "Ritengo che la produzione della nuova Panda possa incrementare l’occupazione e attrarre investimenti. Il risultato, anche quello che auspico scontato, del referendum, non può che vederci speranzosi in un’ inversione di tendenza, una stretta sui problemi che attengono alla legalità del lavoro".

Carlo tarallo

15 giugno 2010

REPUBBLICA

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.repubblica.it/

2010-08-20

INCHIESTA ITALIANA

Tangenti, truffe, poco lavoro

La formazione è una fabbrica di precari

Ci sono 2,3 milioni di persone in cerca di un posto, un mercato enorme per i professionisti dei corsi. Gli unici a godere dei fondi stanziati sono gli organizzatori e negli ultimi anni i casi di raggiro si sono quintuplicati. Centinaia di iniziative ma senza reali sbocchi

di DAVIDE CARLUCCI e ANTONIO FRASCHILLA

Tangenti, truffe, poco lavoro La formazione è una fabbrica di precari

Ogni uomo che perde il lavoro per loro è una straordinaria opportunità. Ogni donna che non riesce a trovarlo per loro è una risorsa. I precari sono il loro target, gli operai in esubero il loro pane quotidiano. Sono i professionisti della disoccupazione. Organizzano corsi di formazione, a volte finti, spesso inutili. E mai come ora fanno affari: con la crisi, secondo le ultime rilevazioni Istat, il numero degli italiani in cerca di lavoro è salito alla cifra record di 2,3 milioni, e altri 230mila posti si bruceranno, secondo Confindustria, entro il 2010: per loro è una manna dal cielo. Quanti sono gli enti che utilizzano i fondi per la ricollocazione dei lavoratori solo per giustificare la loro esistenza? Quali risultati hanno prodotto finora, quante persone hanno reinserito? Per rispondere a queste domande bisogna prima descrivere un sistema che attira ogni anno - oltre agli investimenti privati delle famiglie per corsi di avviamento al lavoro - finanziamenti pubblici per quasi 20 miliardi di euro.

LA TORTA

Alla cifra si arriva sommando la metà dei "32 miliardi di euro nel biennio" che secondo il ministro del Welfare Maurizio Sacconi sono a disposizione, tra fondi nazionali e comunitari, per gli ammortizzatori sociali e i 2,5 miliardi destinati alla formazione professionale. Di quest'ultima somma, una parte consistente viene destinata ai corsi per disoccupati, apprendisti, giovani alla prima esperienza o lavoratori a rischio di esclusione: a tutte queste attività, secondo l'ultimo rapporto Isfol, hanno partecipato 360mila persone. La Lombardia, tra le regioni più colpite dalla crisi, ha stanziato nel 2009 112 milioni di euro per le "doti formative". Sicilia e Campania, afflitte da disoccupazione cronica, spendono 500 milioni di euro all'anno. Tutto questo fiume di denaro alimenta gli appetiti degli speculatori?

LE INCHIESTE

"Development enterprise tourism", "cooperazione internazionale", "business administration & finance": leggendo l'elenco delle materie che s'insegnavano ai corsi formativi organizzati a Padova da alcune cooperative della Compagnia delle Opere sembrava di essere ad Harvard. Ma per la procura era una gigantesca montatura, così come erano gonfiate le ore di lezione e di lavoro svolte e il numero dei docenti impegnati: tutto per arrivare a rendicontare 561mila euro, la cifra intascata dal ministero, dall'Unione europea e dalla Regione Veneto. Pensava in grande anche Tonino Tidu, un tempo assessore Dc sardo e presidente dell'Enaip, tuttora nel consiglio nazionale delle Acli, imputato in un processo a Cagliari: avrebbe gestito, secondo l'accusa, 358mila euro di finanziamenti regionali per corsi per "operatore su pc", "addetto alle piante aromatiche e officinali" e "orticoltore" senza produrre un posto.

Di inchieste così se ne trovano in tutti i palazzi di giustizia italiani. A novembre si apre a Roma il processo al deputato Pdl Giorgio Simeoni, accusato di aver ricevuto, da assessore regionale alla Scuola, nel 2005, una tangente da 100mila euro dai titolari di una società per chiudere un occhio sui corsi di formazione inesistenti, ma regolarmente finanziati con contributi comunitari, da loro organizzati. In Liguria ogni partito aveva il suo consorzio da spingere, come sta dimostrando un'inchiesta della procura di Genova che vede coinvolti, tra gli altri, l'assessore regionale alla Pesca Giancarlo Cassini e il consigliere Vito Vattuone, del Pd, e Nicola Abbundo, del Pdl, teorico, nei tempi in cui era assessore, del "modello ligure dell'eccellenza formativa". E se in Campania gli stage dei mille partecipanti al progetto "Isola" avvenivano solo sulla carta, in Puglia, ai tempi del centrodestra, i fondi per l'inserimento dei disabili finivano in tasca ad assessori, funzionari regionali e imprenditori: così sono spariti cinque milioni di euro, assicurano i magistrati nel processo tuttora in corso. Dopo gli scandali, le giunte di Vendola hanno cercato di far pulizia tra i cosiddetti enti storici della formazione. Tra ottobre e dicembre del 2009 sono stati sospesi gli accreditamenti per quattro agenzie. Come il Cefop, il centro europeo per la formazione ed orientamento professionale, che era stato ammesso a finanziamenti per 4,2 milioni di euro per corsi come "operatore audiovisivo" e "animatore di villaggi turistici". "Ora - spiega l'assessore regionale Alba Sasso - rivedremo tutti i criteri per l'accreditamento e cercheremo di recuperare i debiti, per decine di milioni di euro, che gli enti hanno accumulato verso la Regione". Molto rigoroso nel valutare i risultati della formazione professionale attraverso monitoraggi periodici è il Friuli-Venezia Giulia. La percentuale di inserimento dei cassintegrati e dei disoccupati friulani è molto alta. Ma è così in tutt'Italia?

IL CASO SICILIA

La risposta della procura della Corte dei conti siciliana è no: per ogni corso di formazione solo un disoccupato e mezzo trova effettivamente lavoro. I costi della collettività per ogni occupato, secondo i calcoli dei magistrati contabili, ammontano a 72mila euro. Soldi che in Sicilia vanno a 400 enti privati i quali danno lavoro a 7300 persone, ai quali andrebbero aggiunti i 1800 impiegati agli sportelli multifunzionali affidati ai privati dalla Regione, che nel frattempo spende altri 60 milioni di euro per finanziare i centri per l'impiego pubblici. L'isola è tra la regioni con il più alto tasso di disoccupazione, il doppio rispetto alla media italiana. E così l'Europa attraverso il Fondo sociale dal 2003 al 2010 ha fatto piovere in Sicilia 1,5 miliardi di euro per finanziare i corsi. Il risultato? Un boom di enti che fanno capo a politici targati Mpa, Pdl, Pd e Udc, sindacati (Cisl e Uil ricevono la gran parte dei finanziamenti) e associazioni cattoliche (dai salesiani alle Acli). Tutti enti accreditati dalla Regione per far diventare i disoccupati siciliani marinai, artigiani, parrucchieri, esperti informatici, colf o badanti.

La maggior parte dei formatori sono stati assunti tra il 2006 e il 2008, a ridosso delle grandi tornate elettorali che hanno portato sul trono della Regione prima Salvatore Cuffaro e poi Raffaele Lombardo. Un ginepraio che garantisce un sussidio che va dai 400 ai 1.000 euro al mese per oltre quarantamila corsisti che ogni anno si siedono sui banchi d'oro pagati dalla Regione. Gli assessori che hanno guidato la Formazione, da Francesco Scoma a Santi Formica entrambi del Pdl, sono diventati i re dei consensi. Nella formazione la politica la fa da padrone: i nomi di Francantonio Genovese e Gaspare Vitrano del Pd, oppure quelli di Lino Leanza, numero due dell'Mpa di Lombardo, o Nino Dina dell'Udc sono a dir poco conosciuti in decine di enti di formazione. Ma anche i sindacati la fanno da padrone, in questo settore, dove si trovano a difendere i lavoratori ma anche i padroni, che sono loro stessi. Lo Ial della Cisl e l'Enfa della Uil ricevono ogni anno oltre 30 milioni di euro. Poi ci sono le associazioni cattoliche: i salesiani gestiscono ad esempio il Cnos Fap, mentre tra gli enti finanziati c'è l'Efal, che fa capo al Movimento cristiano lavoratori finito nell'occhio del ciclone per l'arresto di uno dei suoi dirigenti, l'architetto Giuseppe Liga, accusato dai pm di Palermo di essere l'erede dei boss Lo Piccolo.

I magistrati hanno scoperto che nel 2010 l'Efal, l'ente di formazione del movimento, ha ricevuto dalla Regione un sostegno di sei milioni e 336 mila euro. Fino a pochi giorni fa l'architetto era un insospettabile, ma è stata un'anticipazione dell'inchiesta finita sui giornali che aveva indotto l'Mcl a sospendere il professionista. Anche la Corte dei conti e la Guardia di finanza da tempo indagano sul business della formazione siciliana. I magistrati contabili hanno contestato a diversi enti corsi fantasma e somme non rendicontate. E ci sino stati i primi arresti, come quello di un insospettabile professore di Palermo, condannato in primo grado a 8 anni per aver intascato, attraverso conti all'estero, 9 milioni di euro dai 20 milioni ricevuti per corsi di formazione con i fondi europei.

IL NORD "EFFICIENTE"

La montagna ha partorito un topolino anche nell'efficiente Lombardia, dove 64mila persone hanno beneficiato, nel 2010, della "dote lavoro", per un totale di 45,8 milioni di euro impegnati. La metà dei fondi tuttavia, sono stati gestiti da dieci operatori. Chi sono? I soliti noti, enti di area Cl - o più in generale cattolica - come l'Enaip, lo Ial-Cisl, Obiettivo Lavoro. La maggior parte dei servizi svolti riguarda il colloquio di accoglienza di primo livello, il bilancio di competenze, il coaching e i corsi di formazione: le cifre dei destinatari, per queste voci, oscillano tra i 34mila e i 62mila. Ma se poi si passa dall'orientamento all'accompagnamento concreto al lavoro i numeri si abbassano penosamente: solo 168 allievi hanno avuto un supporto per l'autoimprenditorialità, in 94 sono stati accompagnati agli stage, 22 al tirocinio e appena 5 al "training on the job". Ma lo storico paradosso dei formatori - che non riescono a lenire la disoccupazione altrui, ma intanto trovano un posto a sé stessi - non regge più come una volta. Gigi Rossi, della Cgil, segnala il fenomeno del "precariato nei sistemi regionali della formazione professionale. E soprattutto al Nord, con la crisi - aggiunge - è diffuso l'uso, da parte degli enti, di invitare caldamente i collaboratori a trasformarsi in finti imprenditori con partita Iva".

MONTAGNE DI CARTA

Gli enti di formazione servono davvero a qualcosa o hanno finito per creare una "sovrastruttura" - come scrive l'Isfol nel suo ultimo rapporto - sganciata dalle esigenze reali del mercato del lavoro? Armando Rinaldi, dell'Atdal over 40, un'associazione che cerca di tutelare i diritti di chi perde il lavoro in età matura, assicura che "se ci fossero dati disponibili si scoprirebbe che la media dei disoccupati ha un bagaglio di ore di formazione triplo rispetto a quello di un lavoratore. Invece di un'occupazione ha trovato sulla sua strada decine di proposte formative". La Regione Lombardia ha commissionato un'indagine a un istituto di ricerca. Trenta disoccupati ultraquarantenni hanno tenuto un diario nel quale raccontavano le loro esperienze. È emerso che nelle rare occasioni in cui riuscivano a trovare lavoro i corsi di formazione non c'entravano nulla: era tutto merito delle loro conoscenze personali. Lo studio non è stato mai pubblicato.

Secondo Rinaldi per ogni corso organizzato in Lombardia 3000 euro vanno (nell'arco di sei-nove mesi) al candidato, mentre gli altri 7000 vanno agli organizzatori. "Si comincino a ribaltare le modalità di distribuzione dei fondi, erogando ai destinatari il 60-70 per cento dei finanziamenti sotto forma di reddito di sostegno". Si potrebbe trovare un utilizzo diverso dei capitali in modo da sostenere direttamente il reddito delle persone in difficoltà?

Per ottenere i contributi oggi basta - oltre a una buona capacità di lobby - compilare un formulario in cui, tra l'altro, si dimostra il fabbisogno nel territorio di competenza della figura professionale che s'intende formare. "Per esempio - scrive l'Atdal - se si propone di formare addetti al check-in aeroportuale si ricercano i dati sul traffico aereo della regione e si dice che data la crescita del traffico aereo occorre formare nuovi operatori". Angela, diplomata, ha 47 anni e da dodici frequenta corsi di formazione professionale in Lombardia. Non è mai riuscita a ottenere altro che qualche lavoretto di poche settimane all'anno in fabbrica. "Nell'ultimo corso che ho seguito, per lavorare in un asilo privato, il colloquio orientativo si è svolto tre giorni prima della fine dei corsi. Un'altra volta mi hanno costretto a scrivere un sacco di bugie sulla relazione finale. Ad esempio che avevo trovato lavoro in una fabbrica. In realtà era la mia vecchia azienda che mi richiamava". L'importante, insomma, è giustificare le spese. I risultati non contano.

(20 agosto 2010)

 

 

 

CRISI

Le aziende ripartono dal lavoro migrante

181mila assunzioni previste nel 2010

Il personale straniero coprirà il 22,6% del totale dei nuovi posti. Il grosso della domanda viene da imprese con più di 50 dipendenti e dal settore dei servizi. La ricerca della fondazione Moressa indica in Parma, Forlì-Cesena e Prato le province che puntano di più sugli immigrati

Le aziende ripartono dal lavoro migrante 181mila assunzioni previste nel 2010 Un bracciante agricolo di origine straniera durante la raccolta dei pomodori in Campania

* Crisi, crollo dei precari "stabilizzati" addio al posto fisso nelle piccole aziende

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Crisi, crollo dei precari "stabilizzati" addio al posto fisso nelle piccole aziende

* Cig, nuovo balzo a luglio: +9,8% I sindacati: "Il 2010 sarà un anno record"

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* Crisi, in calo anche le raccomandazioni ma metà degli assunti passa ancora da lì

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Crisi, in calo anche le raccomandazioni ma metà degli assunti passa ancora da lì

* Melfi, reintegrati gli operai licenziati Il giudice: "Provvedimento antisindacale"

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Melfi, reintegrati gli operai licenziati Il giudice: "Provvedimento antisindacale"

* Operai reintegrati, la Fiat fa ricorso "Hanno bloccato le linee di montaggio"

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Operai reintegrati, la Fiat fa ricorso "Hanno bloccato le linee di montaggio"

* Lavoro, la discriminazione femminile meno posti e stipendi più bassi del 21,4%

articolo

Lavoro, la discriminazione femminile meno posti e stipendi più bassi del 21,4%

VENEZIA - Saranno complessivamente 181mila i nuovi assunti stranieri nelle aziende italiane previsti nel 2010 (22 mila in più rispetto al 2009) e copriranno il 22,6% delle assunzioni complessive. Lo rileva un'indagine della Fondazione Leone Moressa di Venezia che ha analizzato i dati Excelsior-Unioncamere sulle previsioni di assunzione per il 2010. Sono prevalentemente le imprese sopra i 50 dipendenti (41,7%) a ricercare manodopera straniera da impiegare nei servizi (21,8%), richiedendo lavoratori con esperienza nel settore (54,6%) e qualificati nel commercio e nei servizi (27%).

Parma, Forlì-Cesena e Prato sono le province con il maggior peso di assunti stranieri rispetto al totale delle assunzioni previste, con incidenze pari, rispettivamente, a 41,9%, 38% e 32,3%. Nel 2010 le imprese italiane assumeranno in prevalenza nuova manodopera straniera per ricoprire lavori non stagionali (105 mila unità), mentre per le mansioni a carattere stagionale si tratta di 75 mila nuovi posti. Ma il peso maggiore delle nuove assunzioni avviene tra i lavori a tempo determinato dove il peso dei contratti stagionali sottoscritti dagli stranieri sarà il 30% del totale, contro il 19,2% delle mansioni non stagionali.

La propensione all'assunzione di manodopera straniera è più elevata nelle aree del Nord e del Centro rispetto al Sud: infatti, se in Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Toscana l'incidenza dei nuovi assunti stranieri supera il 25% del totale, in Puglia, Sardegna e Basilicata si tratta appena del 12,8%, 13,6% e del 13,8%.

Per quanto riguarda le assunzioni non stagionali prevale la richiesta di manodopera straniera nei servizi (trasporti, assistenza sanitaria, istruzione) specie in Emilia Romagna (28,8%), Piemonte e Valle d'Aosta (20,9%). Vi è più probabilità di assunzione nelle aziende dei servizi alle imprese se gli stranieri sono residenti in Basilicata (51,1%), Lombardia (26,9%), Toscana (24,7%) e Trentino Alto Adige (21,9%). Al Sud la richiesta prevalente sarà nel settore delle costruzioni, mentre in Veneto e nelle Marche viene dal settore manifatturiero. Il comparto del turismo risulta pèrevalente per le assunzioni in Friuli Venezia Giulia (23,3%) e in Sardegna (27,8%).

Infine, mentre al Nord sono le imprese di più grande dimensione a ricercare manodopera di origine stranera, al Centro e al Sud, secondo la ricerca, la maggiore richiesta proviene dalle imprese più piccole (da 1 a 9 dipendenti). In generale, il mercato richiede sia uomini che donne. Solo in regioni come il Molise o la Campania le aziende preferiscono il sesso forte nel 61% dei casi. Più ricercati sono i lavoratori che hanno già esperienza nel settore e le figure professionali qualificate soprattutto nel commercio e nei servizi. Le professioni non qualificate sono richieste invece in prevalenza in Toscana, Basilicata e Calabria.

(20 agosto 2010)

 

2010-08-18

CRISI

Lavoro, la discriminazione femminile

meno posti e stipendi più bassi del 21,4%

I dati di Bankitalia e dell'Istat fotografano una realtà che mette l'Italia in fondo alle classifiche europee. Nel tasso di occupazione solo Malta fa peggio. In busta paga 1.221 euro di media contro i 1.553 dei colleghi uomini

Lavoro, la discriminazione femminile meno posti e stipendi più bassi del 21,4%

ROMA - Meno opportunità di occupazione e stipendi più bassi. E' la realtà femminile nel mondo del lavoro come l'ha fotografata un rapporto della Banca d'Italia che ha preso in esame i dati relativi al 2008. Le donne si trovano in condizione di disparità rispetto agli uomini, non solo perché ancora maggiormente pressate dagli impegni familiari, ma anche perché sono spesso relegate in posizioni lavorative di basso livello, di retribuzione inferiore e incontrano più ostacoli di carriera pur essendo più preparate.

Secondo le cifre di Bankitalia, la busta paga media delle donne è del 21,4% più bassa rispetto a quella degli uomini, con 1.221 euro al mese contro 1.553 (nel 1998 la differenza era del 19,1%) e in due anni la retribuzione femminile è scesa del 4,6%, al di sotto della media che oltretutto colloca l'Italia al terzultimo posto nella classifica dei paesi occidentali più industrializzati. Le donne dunque pagano di più la crisi e sono più esposte a marginalità e povertà come evidenziano anche i dati Istat secondo i quali, in Italia ''il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni è sceso nel 2009 al 46,4%''. In Europa solo Malta fa peggio.

Il Mezzogiorno, inoltre, dove già il tasso di occupazione femminile era molto basso, ha assorbito quasi metà del calo nazionale delle occupate (-105mila donne) causato dalla crisi. Nel 2009 in Italia soltanto il 28,7% delle donne con licenza media aveva un'occupazione, contro il 37,7% medio dell'Ue. Nel nostro paese solo le laureate "storiche" riescono a raggiungere i livelli europei, mentre le neolaureate continuano a trovare enormi difficoltà a entrare nel mercato del lavoro.

La situazione è ancora peggiore per le donne sposate e con figli: ''Considerando le 25-54enni e assumendo come base le donne senza figli - spiega l'Istat -, la distanza nei tassi di occupazione è di quattro punti percentuali per quelle con un figlio, di 10 per quelle con due figli e di 22 punti per quelle di tre o più figli". Inoltre, il peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro ha rallentato l'inserimento delle donne nelle professioni più qualificate e riavviato un fenomeno di "marginalizzazione" verso occupazioni già relativamente molto "femminilizzate".

(18 agosto 2010)

 

 

 

2010-08-12

"Fabbricare in Italia?

Impossibile per l'auto"

Il presidente della Federauto, associazione concessionari Italiani: "Produrre da noi non conviene più. E in questo contesto la strategia Fiat è una manna dal cielo".

"Fabbricare in Italia? Impossibile per l'auto"

*

Dossier

* BLOG, dite la vostra

Il numero uno dei concessionari italiani, Filippo Pavan Bernacchi, presidente della neonata Federauto, l'associazione dei concessionari d'auto di tutti i brand commercializzati in Italia, entra sul tema caldo del mondo dell'auto in Italia. Un'analisi che arriva dal rappresentante di una categoria che ha in mano il rapporto con i Clienti sia per la vendita delle vetture e dei ricambi sia per l'assistenza. Insomma da chi conosce bene il settore perché dietro un colosso come la Fiat ci sono migliaia di piccole aziende dell'indotto. Ecco la sua lettera, che riceviamo e pubblichiamo integralmente. (v.bo.)

"In Europa Occidentale produrre non conviene più. Questo è la madre di tutti i problemi. I fattori sono molteplici. Prima di tutto vi è il costo del lavoro; se paragonato a quello di Cina e India, non c'è match. Battuti in partenza. Ma anche verso i paesi dell'Europa dell'Est, o della ex-Jugoslavia, c'è un abisso. Poi c'è l'aspetto della produttività. Quei popoli hanno fame, anche di lavorare, per cui nel lavoro ci mettono l'anima e sono disponibili a sacrifici su turni notturni o festivi. Come noi nel dopoguerra, per intenderci. Si passa poi agli aspetti sindacali. I sindacati, da noi, sono stati importantissimi in passato per tutelare i lavoratori che non beneficiavano neppure dei diritti elementari. Ora però si invertito il rapporto di forza. I lavoratori sono iper-tutelati e licenziare qualcuno quando l'azienda naviga in cattive acque, o che: rema contro, non produce, si dà malato strumentalmente...

è quasi impossibile. E se un imprenditore ci prova il giudice del lavoro, molto spesso, reintegra il dipendente nel suo ruolo comminando all'azienda pesanti sanzioni. Si aggiunga l'estrema facilità con cui si può venire in possesso di un certificato medico che esime il beneficiario dal presentarsi al lavoro e il gioco è fatto. D'altronde questo è il Paese dei falsi invalidi. Poi ci sono le regole per la sicurezza sul lavoro e contro l'inquinamento. Sono sacrosante, ma in un mondo globalizzato o le adottano tutti i paesi, affrontandone i costi - che poi fanno salire i prezzi dei prodotti - oppure chi le applica è tagliato fuori dal Mercato. E quindi molte leggi dovrebbero essere paradossalmente adottate a livello mondiale: tutela lavoratori, tutela ambiente, orario settimanale, straordinari, cuneo fiscale, lavoro minorile, donne e maternità. Solo così si potrebbe competere ad armi pari. Utopia, certo, ma così stanno le cose.

E così le aziende produttrici che vogliono sopravvivere in questo mercato competitivo devono delocalizzare. Si chiudono le fabbriche in Italia, licenziando centinaia di migliaia di lavoratori, e si riaprono in Polonia, Slovenia o, perché no, in Cina o Romania. Quei paesi fanno ponti d'oro alle imprese perché gli insediamenti produttivi portano benessere e danno posti di lavoro. E quindi via agli sgravi fiscali, ad aiuti di stato, a contratti per i lavoratori "light", a occhi chiusi su molti aspetti, e chi più ne ha più ne metta.

"In questo contesto arriva un "pazzo" vero, di nome fa Sergio Marchionne. Cosa vorrebbe fare costui? Potenziare la produzione del Gruppo Fiat in Italia! Controtendenza rispetto a quasi tutte le aziende che se ne vanno bellamente all'estero. Certo, vuole anche chiudere degli stabilimenti. Ma che matrice hanno certe fabbriche? Sono state insediate per soddisfare logiche industriali o "politiche"? La risposta è la seconda. Si pensi solo ai costi logistici e di trasporto. Certo, la Fiat in passato è stata aiutata tantissimo dai Governi in carica. Come pure tutti i produttori esteri nei mercati domestici. Ma ora che lo Stato si è sfilato non ci si meravigli se Marchionne, calcolatrice alla mano, spiega che non conviene e che si deve chiudere. Non dimentichiamo anche che al Sud operano le varie mafie, e che non è pensabile che queste si fermino fuori dai cancelli degli stabilimenti. Un altro grosso problema per chi vuole fare impresa."

"Ecco perché Marchionne è un "pazzo" vero. Ma come, quasi tutti i produttori, dal tessile alla componentistica, sognano di lasciare il sacro suolo, e lui cosa vorrebbe fare? Investire una valanga di milioni di euro in Italia, potenziare gli stabilimenti, aumentare la produttività. Certo, chiede anche sacrifici (remunerati) ai lavoratori, e un nuovo approccio al bene primario e irrinunciabile che è il Lavoro. No, è troppo. Certi sindacati preferiscono non considerare che il mondo non è più quello di tre anni fa. Allora meglio contratti d'acciaio, blindati, tutelatissimi, intoccabili, nei secoli dei secoli. Peccato che ne beneficeranno sempre meno dipendenti perché gli imprenditori che possono, da qualche anno, se ne vanno all'estero. Quelli che non falliscono, ben inteso. E quindi propongo di cambiare l'articolo 1 della Costituzione da: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" in : "L'Italia è una Repubblica democratica, un tempo fondata sul lavoro".

"Ma se nessuno lavorerà, venendo meno la capacità di spesa e la propensione all'acquisto delle famiglie, come sopravvivrà la nostra economia?"

(12 agosto 2010) Tutti gli articoli di Attualità

 

 

 

 

12

ago

2010

Fabbricare in Italia? Impossibile

Il numero uno dei concessionari italiani, Filippo Pavan Bernacchi, presidente della neonata Federauto, l’associazione dei concessionari d’auto di tutti i brand commercializzati in Italia, entra sul tema caldo del mondo dell’auto in Italia. Un’analisi che arriva dal rappresentante di una categoria che ha in mano il rapporto con i Clienti sia per la vendita delle vetture e dei ricambi sia per l’assistenza. Insomma da chi conosce bene il settore perché dietro un colosso come la Fiat ci sono migliaia di piccole aziende dell’indotto. Ecco la sua lettera, che riceviamo e pubblichiamo integralmente. (v.bo.)

"In Europa Occidentale produrre non conviene più. Questo è la madre di tutti i problemi. I fattori sono molteplici. Prima di tutto vi è il costo del lavoro; se paragonato a quello di Cina e India, non c’è match. Battuti in partenza. Ma anche verso i paesi dell’Europa dell’Est, o della ex-Jugoslavia, c’è un abisso. Poi c’è l’aspetto della produttività. Quei popoli hanno fame, anche di lavorare, per cui nel lavoro ci mettono l’anima e sono disponibili a sacrifici su turni notturni o festivi. Come noi nel dopoguerra, per intenderci. Si passa poi agli aspetti sindacali. I sindacati, da noi, sono stati importantissimi in passato per tutelare i lavoratori che non beneficiavano neppure dei diritti elementari. Ora però si invertito il rapporto di forza. I lavoratori sono iper-tutelati e licenziare qualcuno quando l’azienda naviga in cattive acque, o che: rema contro, non produce, si dà malato strumentalmente… è quasi impossibile. E se un imprenditore ci prova il giudice del lavoro, molto spesso, reintegra il dipendente nel suo ruolo comminando all’azienda pesanti sanzioni. Si aggiunga l’estrema facilità con cui si può venire in possesso di un certificato medico che esime il beneficiario dal presentarsi al lavoro e il gioco è fatto. D’altronde questo è il Paese dei falsi invalidi. Poi ci sono le regole per la sicurezza sul lavoro e contro l’inquinamento. Sono sacrosante, ma in un mondo globalizzato o le adottano tutti i paesi, affrontandone i costi – che poi fanno salire i prezzi dei prodotti – oppure chi le applica è tagliato fuori dal Mercato. E quindi molte leggi dovrebbero essere paradossalmente adottate a livello mondiale: tutela lavoratori, tutela ambiente, orario settimanale, straordinari, cuneo fiscale, lavoro minorile, donne e maternità. Solo così si potrebbe competere ad armi pari. Utopia, certo, ma così stanno le cose.

E così le aziende produttrici che vogliono sopravvivere in questo mercato competitivo devono delocalizzare. Si chiudono le fabbriche in Italia, licenziando centinaia di migliaia di lavoratori, e si riaprono in Polonia, Slovenia o, perché no, in Cina o Romania. Quei paesi fanno ponti d’oro alle imprese perché gli insediamenti produttivi portano benessere e danno posti di lavoro. E quindi via agli sgravi fiscali, ad aiuti di stato, a contratti per i lavoratori "light", a occhi chiusi su molti aspetti, e chi più ne ha più ne metta.

"In questo contesto arriva un "pazzo" vero, di nome fa Sergio Marchionne. Cosa vorrebbe fare costui? Potenziare la produzione del Gruppo Fiat in Italia! Controtendenza rispetto a quasi tutte le aziende che se ne vanno bellamente all’estero. Certo, vuole anche chiudere degli stabilimenti. Ma che matrice hanno certe fabbriche? Sono state insediate per soddisfare logiche industriali o "politiche"? La risposta è la seconda. Si pensi solo ai costi logistici e di trasporto. Certo, la Fiat in passato è stata aiutata tantissimo dai Governi in carica. Come pure tutti i produttori esteri nei mercati domestici. Ma ora che lo Stato si è sfilato non ci si meravigli se Marchionne, calcolatrice alla mano, spiega che non conviene e che si deve chiudere. Non dimentichiamo anche che al Sud operano le varie mafie, e che non è pensabile che queste si fermino fuori dai cancelli degli stabilimenti. Un altro grosso problema per chi vuole fare impresa."

"Ecco perché Marchionne è un "pazzo" vero. Ma come, quasi tutti i produttori, dal tessile alla componentistica, sognano di lasciare il sacro suolo, e lui cosa vorrebbe fare? Investire una valanga di milioni di euro in Italia, potenziare gli stabilimenti, aumentare la produttività. Certo, chiede anche sacrifici (remunerati) ai lavoratori, e un nuovo approccio al bene primario e irrinunciabile che è il Lavoro. No, è troppo. Certi sindacati preferiscono non considerare che il mondo non è più quello di tre anni fa. Allora meglio contratti d’acciaio, blindati, tutelatissimi, intoccabili, nei secoli dei secoli. Peccato che ne beneficeranno sempre meno dipendenti perché gli imprenditori che possono, da qualche anno, se ne vanno all’estero. Quelli che non falliscono, ben inteso. E quindi propongo di cambiare l’articolo 1 della Costituzione da: "L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" in : "L’Italia è una Repubblica democratica, un tempo fondata sul lavoro".

"Ma se nessuno lavorerà, venendo meno la capacità di spesa e la propensione all’acquisto delle famiglie, come sopravvivrà la nostra economia?"

12 agosto 2010 alle 10:16

 

 

 

Ichino: "Il diritto di sciopero

va limitato da accordi sindacali"

Il giuslavorista e senatore Pd: "La nostra cultura del diritto del lavoro è arretrata, ancor più della legge". "Giusto un contratto per il settore auto: le norme per i metalmeccanici sono le stesse dal 1972"

di PAOLO GRISERI

Ichino: "Il diritto di sciopero va limitato da accordi sindacali" Pietro Ichino

Pietro Ichino, senatore del Pd, è uno dei principali esperti italiani di diritto del lavoro.

Professor Ichino, si aspettava che la Fiat di Marchionne potesse essere condannata per comportamento antisindacale?

"Sono cose che accadono anche nelle migliori famiglie. Del resto, la Fiat avrebbe potuto anche vincere la causa: il giudice ha ritenuto, in via provvisoria, il licenziamento ingiustificato solo perché ha considerato che l'istruttoria sommaria non avesse dimostrato il dolo dei lavoratori, cioè la loro volontà di ostruire il flusso dei carrelli automatici. Con questo, lo stesso giudice implicitamente avverte che, se invece nel giudizio di merito quella volontà risultasse dimostrata, il licenziamento potrebbe essere convalidato".

Il Lingotto chiede ai sindacati la certezza che il ciclo produttivo si possa svolgere senza interruzioni. È possibile in una democrazia occidentale avere questa certezza?

"Certo che sì: proprio a questo serve la clausola di tregua sindacale, che in quasi tutti gli altri Paesi occidentali vincola non soltanto il sindacato stipulante, ma anche i singoli lavoratori cui il contratto si applica. Se Italia questa regola non vale, non è perché lo stabilisca la legge, ma perché nella nostra cultura giuslavoristica prevale ancora un'idea vecchia. Molti giuslavoristi, comunque, non la condividono più".

Quale idea?

"Quella secondo cui il contratto collettivo non può disporre del diritto del singolo lavoratore di aderire in qualsiasi momento a qualsiasi sciopero, anche se proclamato da un mini-sindacato. È l'idea della "conflittualità permanente", i cui fasti si sono celebrati negli anni '70, e che oggi in Italia è praticata ancora soltanto nel settore dei trasporti e in quello metalmeccanico. Dobbiamo chiederci se ci conviene continuare a difendere questa peculiarità del sistema italiano di relazioni industriali. La sfida di Marchionne ha il merito di farci toccare con mano quanto questa idea possa essere costosa per gli stessi lavoratori".

In questi giorni i tecnici di Federmeccanica stanno preparando un'ipotesi di contratto nazionale del solo settore auto. La considera una strada praticabile?

"Mi sembra una scelta non solo praticabile, ma anche auspicabile, oggi il contratto nazionale dei metalmeccanici si applica ad aziende diversissime, dal settore aerospaziale, alle fonderie e alle case di software. E, nella sua parte normativa, quel contratto è rimasto fermo al 1972".

Quali sono gli attuali diritti dei lavoratori che una nuova normativa contrattuale nelle fabbriche potrebbe modificare e quali invece quelli che, a suo parere, sono intoccabili?

"Di regola, il contratto collettivo può disporre di tutto ma non di diritti o standard di trattamento garantiti ai lavoratori da una legge".

Nel caso dell'accordo di Pomigliano questi diritti sono stati toccati?

"No. Si può rifiutare quell'accordo perché non lo si ritiene abbastanza vantaggioso per i lavoratori, ma non perché esso violi la legge, né nella parte sulle punte di assenza per malattia, né nella parte sulla tregua sindacale".

Ma deroga al contratto nazionale del settore.

"Questo è il problema: nel nostro sistema attuale non sono chiari i requisiti e le condizioni per la validità della contrattazione al livello aziendale di deroghe rispetto al contratto nazionale. Questo è un grave difetto del sistema, che dobbiamo correggere al più presto, se non vogliamo che le divisioni tra i sindacati paralizzino la sperimentazione di piani industriali innovativi".

(12 agosto 2010)

 

 

 

 

2010-08-10

Stop alla Fiat, il giudice reintegra i tre operai licenziati

Il licenziamento di tre operai dello stabilimento di Melfi (Potenza) della Fiat (due dei quali delegati della Fiom), deciso dall'azienda il 13 e 14 luglio scorso, ha avuto carattere di ''antisindacalita''' ed e' quindi stato annullato dal giudice del lavoro, che ha ordinato l'immediato reintegro dei tre nel loro posto. Lo si e' appreso stamani. La notizia e' stata confermata dal segretario regionale della Basilicata della Fiom, Emanuele De Nicola, secondo il quale ''la sentenza indica che ci fu da parte della Fiat la volonta' di reprimere le lotte a Pomigliano d'Arco e a Melfi e di 'dare una lezione' alla Fiom''.

I tre operai - Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino (entrambi delegati della Fiom) e Marco Pignatelli - furono licenziati perche', durante un corteo interno, secondo l'azienda bloccarono un carrello robotizzato che portava materiale ad operai che invece lavoravano regolarmente. In seguito prima alla sospensione, l'8 luglio scorso, e poi al licenziamento dei tre operai vi furono a Melfi scioperi e proteste. I tre operai licenziati - uno dei quali si e' sposato cinque giorni fa - occuparono per alcuni giorni il tetto della Porta Venosina, un antico monumento situato nel centro storico di Melfi: vi fu anche una manifestazione promossa dalla Fiom-Cgil. Secondo De Nicola, ''la sentenza dimostra che le lotte democratiche dei lavoratori non hanno nulla in comune con il sabotaggio. Il teorema 'lotte uguale eversione o sabotaggio' e' stato di nuovo smontato e ci aspettiamo le scuse di quanti vi hanno fatto riferimento, a cominciare da personalita' istituzionali o rappresentanti degli imprenditori. Speriamo - ha concluso il dirigente lucano della Fiom - che la Fiat torni al tavolo per discutere dei temi che stanno a cuore ai lavoratori, a cominciare dai diritti e dai carichi di lavoro''.

10 agosto 2010

 

 

 

 

L'ANALISI

Pericolo ricorsi

di PAOLO GRISERI

La sentenza del tribunale di Melfi, emessa con tempestività nonostante il periodo estivo, è qualcosa di più della normale decisione di un giudice che sceglie quale delle due parti in causa abbia ragione. Nel corso del suo secolo di vita la Fiat è stata portata in tribunale altre volte per episodi analoghi, in alcuni casi uscendone condannata, in altri assolta. Quel che colpisce è che ad essere condannata per comportamento antisindacale sia la Fiat di oggi, quella di Sergio Marchionne. Non quella di Valletta o di Romiti che a questo tipo di accuse erano abituati. Solo pochi anni fa una condanna di Marchionne per aver violato le leggi che garantiscono ai sindacati di svolgere la loro attività, sarebbe stata impensabile. Il manager che nei discorsi pubblici citava Karl Popper non sembra lo stesso che in questi mesi ha ingaggiato un duro braccio di ferro con i sindacati (o con alcuni di essi).

La Fiat commenterà la sentenza quando saranno note le motivazioni. Ma non è sull'episodio specifico che merita soffermarsi quanto sul colpo d'immagine che subisce il Lingotto. E su una considerazione solo in apparenza secondaria: la sentenza dice chiaramente quale sia l'atteggiamento della magistratura che si occupa di lavoro in Italia. Gli sherpa che in questi giorni stanno studiando la possibilità di far uscire Pomigliano o tutta Fiat auto dal contrato dei metalmeccanici devono mettere in conto che un passo falso potrebbe provocare una valanga di ricorsi e di sentenze contrarie alle scelte di Torino.

(10 agosto 2010)

2010-08-04

BANCHE

Unicredit annuncia 4.700 esuberi

Il sindacato: "Contagiati da effetto Fiat"

Oggi l'incontro tra l'ad Alessandro Profumo e i sindacati. Lando Sileoni (Fabi): "Si vuole modificare il contratto nazionale di lavoro. Prevediamo da settembre un aspro e duro confronto"

Unicredit annuncia 4.700 esuberi Il sindacato: "Contagiati da effetto Fiat"

ROMA - Unicredit prevede di tagliare 4.700 posti di lavoro nel 2011-2013. Lo rende noto Lando Sileoni della Federazione Autonoma Bancari Italiana (Fabi), dopo un incontro tra l'amministratore delegato del gruppo bancario, Alessandro Profumo, e i sindacati. "L'effetto Marchionne Fiat ha purtroppo contagiato, come un effetto domino, anche il Gruppo Unicredit - commenta Sileoni - Proprio qualche giorno fa il presidente dell'esecutivo dell'Abi, Francesco Micheli, e il neo presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari, prendevano pubblicamente le distanze dal nuovo modello di relazioni sindacali e industriali inaugurato da Marchionne nella Fiat, che scarica solo sui lavoratori il costo delle riorganizzazioni e delle fusioni".

L'incontro di oggi ha rappresentato l'inizio del confronto per definire il percorso teso a raggiungere l'obiettivo di tagli del personale previsto nel piano di riorganizzazione noto come Banca Unica, Bancone, Insieme per i clienti o One 4C, tagli mai quantificati dal gruppo.

Secondo Sileoni si vuole "modificare profondamente l'attuale contratto nazionale di lavoro che da settembre le organizzazioni sindacali dovranno discutere in Abi. Delle due l'una: o Profumo pensa di farsi un contratto nazionale a parte, perché intende in questo piano industriale modificare profondamente le attuali previsioni contrattuali in tema di assetti inquadramentali, mobilità territoriale e professionale, nuove flessibilità d'ingresso sul lavoro, oppure ha deciso di imporre al settore del credito quel modello organizzativo che ha presentato oggi a Milano alle organizzazioni sindacali", aggiunge Sileoni.

E ha concluso il rappresentante sindacale: "Non condividiamo comunque i 4.700 esuberi che secondo Unicredit esistono all'interno del Gruppo. Non abbiamo sentito una parola sulla conferma a tempo pieno dei lavoratori precari presenti attualmente nel gruppo, né sulle politiche d'assunzione del gruppo per i prossimi anni, come non esiste per la seconda volta dal 2007 ad oggi un vero piano industriale, peraltro previsto per legge, che garantisca i lavoratori e le organizzazioni sindacali", conclude. Alla luce di ciò "prevediamo da settembre, quando inizierà la trattativa con le organizzazioni sindacali, un aspro e duro confronto non solo sui numeri ma soprattutto su quel modello organizzativo che dal 2007 ad oggi ha prodotto esclusivamente la fuoriuscita dal gruppo di 10mila lavoratori oltre ai 4700 dichiarati oggi, e di altri 1500 lavoratori che hanno seguito la cessione ad altre banche di 500 sportelli Unicredit".

(04 agosto 2010)

 

OCCUPAZIONE

Telecom, raggiunto l'accordo

3.900 uscite in mobilità volontaria

Dopo 20 ore di trattativa serrata tra governo, azienda e sindacati trovata un'intesa che prevede anche la riconversione professionale e contratti di solidarietà per oltre 2000 dipendenti

Telecom, raggiunto l'accordo 3.900 uscite in mobilità volontaria Il tavolo delle trattativa al ministero dello Sviluppo economico

ROMA - E' stato firmato l'accordo sugli esuberi Telecom al tavolo governo-azienda-sindacati. L'intesa, raggiunta dopo 20 ore di negoziato ininterrotto 1, prevede 3.900 uscite in mobilità volontaria nel triennio. Lo ha annunciato il segretario generale della Fistel Cisl, Vito Vitale. Delle 3.900 uscite, 3.700 sono nuove e 200 sono rimanenze del precedente accordo del 2008. L'accordo prevede anche riconversione professionale e contratti di solidarietà per oltre duemila dipendenti.

Il negoziato 2, partito a metà luglio, è stato molto serrato all'indomani dell'annuncio dell'azienda di 6.800 licenziamenti nei prossimi due anni (3.700 dei quali entro giugno 2011). Dopo 24 ore di confronto al ministero dello Sviluppo Economico, è stata trovata l'intesa: tra le novità la formazione e la mobilità volontaria. Per 3.900 dipendenti si prevede l'attivazione di una mobilità ordinaria su base volontaria nel biennio 2010-2012. Per altri 2.220 invece si ricorrerà a percorsi di formazione con contratti di solidarietà per consentire il reinserimento in settori strategici dell'azienda, in particolare nella rete. Si tratta di 1.300 dipendenti che non erano coperti da alcuna tutela e che saranno reinseriti in Telecom, di 470 dipendenti del '1254' e 450 di SSC. Alle 12 firma ufficializzata alla presenza del ministro del Welfare Maurizio Sacconi e del sottosegretario allo Sviluppo economico Paolo Romani.

(04 agosto 2010)

 

2010-07-30

FIAT

Federmeccanica: "Aprire subito un tavolo"

Fiom: "E' la fine del contratto nazionale"

Il presidente degli industriali del settore, Ceccardi, ipotizza un incontro già la prossima settimana. Disponibili Fim, Uilm, Fismic e Ugl. L'organizzazione della Cgil: "Strada pericolosissima"

Federmeccanica: "Aprire subito un tavolo" Fiom: "E' la fine del contratto nazionale"

TORINO - Federmeccanica propone a Fim, Uilm e Fismic di aprire al più presto il tavolo per definire rapidamente una nuova normativa per il settore auto. E i sindacati chiamati in causa apprezzano l'impegno, mentre la Fiom ribadisce la sua posizione di netto rifiuto verso qualsiasi ipotesi che possa minare il contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Uno scontro che si gioca su tempi strettissimi, quelli dettati dalla necessità di dare risposte ai problemi di produttività e ispetto degli accordi posti dalla Fiat evitando la disdetta del contratto nazionale.

In un'intervista al Sole 24 ore, il presidente di Federmeccanica, Pier Luigi Ceccardi, prospetta un incontro già la prossima settimana e spiega che una commissione ad hoc è al lavoro "per adattare il contratto nazionale alle innovazioni introdotte con la riforma della contrattazione firmata ad inizio 2009". "La Fiat - afferma - è la nostra principale associata, vogliamo individuare tutti gli strumenti necessari per garantire l'efficienza delle fabbriche e renderle più competitive. Abbiamo lavorato in questi giorni in perfetta sintonia con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, e con il suo staff per trovare una soluzione ai problemi posti dal gruppo torinese".

I sindacati sono divisi anche sull'iniziativa di Federmeccanica. "Le altre organizzazioni sindacali hanno perso il senso della misura. E' la fine del contratto nazionale. E' necessario che se ne rendano conto e si fermino perché questa strada sarebbe pericolosissima", commenta Enzo Masini, responsabile auto della Fiom. "Il tentativo di fare saltare il contratto - replica il numero uno della Fim, Giuseppe Farina - lo ha fatto la Fiat e sarebbe stato un atto destabilizzante. Sono state Fim e Uilm a fermarlo opponendosi in modo drastico e costringendo la Fiat a fare un passo indietro. Non è stato certo merito della Fiom".

Alle parole di Ceccardi plaude il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: "Siamo disponibili a incontrarci e a trovare soluzioni pur di lasciare inalterata la funzione del contratto nazionale. Faremo tutti gli sforzi necessari perchè le deroghe servano per Pomigliano e si salvi il contratto nazionale". "Siamo pronti a discutere la modifica della normativa contrattuale che oggi è troppo estesa, comprende troppe categorie fra loro diverse e non permette di premiare realmente le professionalità e di distribuire gli utili ai lavoratori", aggiunge Roberto Di Maulo, segretario generale Fismic. Anche l'Ugl apprezza l'impegno di Federmeccanica e spera che Fiat si convinca a mantenere la newco nel sistema confindustriale.

La posizione della Fiom viene ribadita dal segretario generale Maurizio Landini: se si "accettano le condizioni di Fiat" e quindi se si crea, attraverso deroghe, un contratto ad hoc il settore auto, "si cancella del tutto il contratto nazionale". "Fare cose di questo genere - aggiunge il numero uno della Fiom - vuol dire cancellare semplicemente il contratto nazionale di lavoro. Per noi c'è ed è quello del 2008 che è ancora in vigore ed è stato stipulato unitariamente da tutti". Per Landini fare "deroghe o contratti di settore significa cancellare il contratto nazionale: se poi questa richiesta nasce per dare una legittimità alle deroghe contrattuali, legislative e alla violazione della Costituzione che è contenuta nella cosiddetta intesa di Pomigliano noi, che non abbiamo firmato quell'intesa, non abbiamo certo intenzione di firmare addirittura deroghe di quella natura a livello nazionale". La Fiom ribadisce anche che "i problemi di utilizzo degli impianti di produttività e di più efficiente gestione delle imprese si possono risolvere applicando il contratto nazionale in vigore, le leggi e la Costituzione".

(31 luglio 2010)

 

 

 

 

 

2010-07-29

FIAT

Pomigliano, newco fuori da Confindustria

Disdetti accordi su monte ore e permessi

I lavoratori saranno riassunti a settembre, ma lo stabilimento campano non sarà iscritto all'Unione Industriali. Sospesa per due mesi la decisione sulla permanenza del Lingotto nell'associazione imprenditori. Incontro con i sindacati, la Fiom non c'è

Pomigliano, newco fuori da Confindustria Disdetti accordi su monte ore e permessi

TORINO - Fabbrica Italia Pomigliano, la nuova compagnia 1 nella quale saranno riassunti i lavoratori dello stabilimento campano Fiat, non sarà iscritto a Confindustria. È uno dei punti emersi dall'incontro a Torino tra i rappresentanti di Fiat (la delegazione è guidata dal capo delle relazioni industriali Paolo Rebaudengo) e dei sindacati dei metalmeccanici. Nel corso del vertice, i rappresentanti del Lingotto hanno reso noto, attraverso una lettera, di voler mette in stand by la decisione di uscire dalla Confindustria e di disdire il contratto nazionale. I rappresentati Fiat hanno affermato che l'applicazione di questa determinazione viene rinviata di due mesi, anche alla luce dell'incontro di ieri tra l'amministratore delegato Sergio Marchionne e il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. L'azienda ha comunicato anche la disdetta degli accordi sul monte ore dei permessi sindacali negli stabilimenti di Pomigliano e di Arese.

Fabbrica Italia al centro dell'incontro. All'ordine del giorno dell'incontro di oggi il progetto 'Fabbrica Italia' sul quale ieri l'amministratore delegato del Lingotto ha chiesto al sindacato un sì o un no 2. Al centro della riunione anche le problematiche relative allo stabilimento di Pomigliano d'Arco, dopo la costituzione di una newco registrata alla Camera di commercio di Torino il 19 luglio.

La newco fuori da Confindustria. Roberto Di Maulo, poi, ha comunicato che la newco Fabbrica Italia non sarà iscritta all'Unione Industriale di Napoli. Della nuova compagnia, controllata da Fiat Partecipazioni, faranno parte anche i mille lavoratori della Ergom, azienda dell'indotto Fiat. All'incontro non ha partecipato la Fiom. Da fine settembre tutti i lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano saranno riassunti dalla newco costituita per gestire l'accordo del 15 giugno. ''Sono partiti gli ordini degli investimenti - ha aggiunto Di Maulo -. Ad agosto verrà avviata la pulitura dell'area della nuova lastratura per la Panda a Pomigliano e da fine settembre la newco potrà assumere il personale. Non ci saranno licenziamenti - ha spiegato - e il personale passerà da Fiat Group Automobiles alla newco''. Ai lavoratori di 'Fabbrica Italia Pomigliano' non sarà dunque applicato il contratto nazionale dei metalmeccanici. Resta comunque vincolante per l'azienda riassumere tutti i lavoratori in organico, con l'eccezione di quelli in mobilità, ai quali sarà garantita la continuità di trattamento per quanto riguarda l'anzianità.

"Fiat non rinuncia a Confindustria". "La Fiat non rinuncia ad essere associata a Confindustria e non cerca strade al di fuori delle relazioni industriali". Lo aveva detto in mattinata il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che si è dichiarato molto soddisfatto in merito all'incontro di ieri sul futuro del sito di Mirafiori e del progetto Fabbrica Italia "perché ha riconfermato che c'è una piattaforma riformista pronta a sostenere le politiche di investimento nel nostro Paese. Una piattaforma - ha proseguito il ministro a margine di un incontro a Unioncamere - fatta da tutte le grandi organizzazioni sindacali e vorrei tanto che partecipasse anche la Cgil. E poi, in relazione all'incontro di oggi, il ministro auspica che "le parti firmatarie vadano avanti per individuare modi e tempi in cui effettuare l'investimento e insieme affidabili relazioni industriali e un pieno utilizzo dell'impianto".

Fiom: "Deroghe a contratto nazionale? Terreno non praticabile". "La Fiat pensa che il modello Pomigliano debba valere per tutti, conferma l'idea che sia stata una prova generale. Su questo non li seguiamo. Così l'azienda rischia di buttare benzina sul fuoco''. Enzo Masini, responsabile Auto della Fiom, commenta così quanto discusso nel corso della prima parte dell'incontro odierno.''Per noi quello delle deroghe al contratto nazionale - ha aggiunto - non è un terreno praticabile, ci sono le condizioni per affrontare i problemi di flessibilità e raffreddamento del conflitto. Dobbiamo costruire insieme un meccanismo''. Masini ha aggiunto che si rischia di avere una situazione di conflittualità alta negli stabilimenti: "Fiat - ha aggiunto - sta usando nel modo del tutto spregiudicato la crisi per cambiare i rapporti di forza tra azienda e sindacati".

Uilm: "Flessibilità e 18 turni per tutti''. La Uilm, attraverso il responsabile Auto, Eros Panicali, fa sapere che, nel corso dell'incontro, è è stata ribadita la disponibilità a rivedere organizzazione di lavoro e turni: "Abbiamo ribadito alla Fiat - dice Panicali - la nostra disponibilità fino a un massimo di 18 turni, a una nuova organizzazione del lavoro e alla flessibilità necessaria per i picchi di mercato. Partiremo a settembre da Mirafiori per raggiungere accordi che non saranno una fotocopia di quello di Pomigliano''. I sindacati hanno chiesto anche all'azienda un incontro a settembre per ridiscutere le nuove regole dopo la disdetta dell'accordo sul monte-ore di permessi sindacali che sarà valida dal primo gennaio 2011.

(29 luglio 2010)

 

 

 

 

IL COMMENTO

I rischi del Lingotto

di LUCIANO GALLINO

Da qualche tempo le mosse di Fiat Auto stanno diventando frenetiche. A fine aprile è arrivato il piano per trasferire a Pomigliano una quota della produzione della Panda che ora si fa in Polonia. Una settimana fa, l'annuncio che un modello di notevole peso industriale e commerciale sarebbe stato costruito in Serbia e non a Mirafiori. Poco dopo si è saputo che è già stata costituita una nuova società per gestire lo stabilimento campano, nonché per assumere con un nuovo contratto i lavoratori che accetteranno in toto di lavorare secondo i drastici standard indicati nel piano di aprile. Infine ieri l'Ad di Fiat ha avanzato come affatto realistica l'ipotesi di uscire dal contratto nazionale dei metalmeccanici, ed ha ribadito che ciò che vuole sono comportamenti dei lavoratori che non mettano mai, in nessun modo, a rischio la produzione e l'azienda.

In altre parole, niente scioperi, niente vertenze sindacali, assenteismo meglio se vicino a zero, massima disciplina in fabbrica. A queste condizioni Fiat auto potrebbe anche restare in Italia.

La sequenza di queste mosse rientra chiaramente in una precisa strategia: portare per quanto possibile nel nostro Paese le condizioni di lavoro dei paesi emergenti, e in prospettiva i salari che in quelli prevalgano, perché ciò appare indispensabile allo scopo di reggere alla competizione internazionale. Se questa come sembra è la strategia Fiat, bisogna chiedersi dove essa potrebbe portare il Paese, ma anche la Fiat, e se la strategia stessa non avesse o non abbia ancora delle alternative.

Nel nostro Paese la strategia Fiat potrebbe in realtà non diminuire, grazie agli investimenti promessi, bensì aumentare il rischio di un marcato inasprimento e diffusione del conflitto sociale. Non può esservi dubbio, quali che siano le previsioni in contrario di questo o quel ministro o sindacalista, che migliaia di aziende le quali hanno sussidiarie all'estero chiederanno quasi subito, ove la strategia del Lingotto si affermasse, di adottarle a loro volta. è vero che c'è la crisi, che ha indebolito allo stesso tempo i sindacati e i singoli lavoratori; per cui molti di questi, dinanzi allo spettro della disoccupazione, accettano qualsiasi condizione pur di mantenere od ottenere un lavoro.

Tuttavia non è affatto detto che in tutte le categorie, in tutte le zone industriali, in tutte le fabbriche e in tutti gli uffici, la grande maggioranza dei lavoratori accetti senza fiatare i dettami dell'organizzazione del lavoro "di classe mondiale". Ivi compreso il divieto di far sciopero, di manifestare, di aprire vertenze e perché no di ammalarsi. È questo uno scenario che l'amministratore delegato Sergio Marchionne parrebbe aver notevolmente sottovalutato, nella sua foga di giocatore che punta soprattutto a vincere la partita, quali che siano le conseguenze per gli spettatori. Dovrebbe essere il governo a ricordarglielo con una certa fermezza; ma dove stiano il governo, i ministri competenti, i politici che non si limitino a dire di supporre che tutto finirà bene, nessuno lo sa.

Avrebbe potuto adottare altre strategie la Fiat, dinanzi a quella che senza perifrasi va definita come la crisi mondiale dell'autoindustria? La risposta è sì, alla quale è doveroso aggiungere che forse è troppo tardi. In primo luogo, anziché battersi per portare da noi le aspre condizioni di lavoro, i bassi salari, l'assenza di diritti dei paesi emergenti, Fiat avrebbe potuto battersi per addivenire ad accordi internazionali intesi a portare gradualmente in questi ultimi condizioni di lavoro, salari e diritti vigenti nei nostri paesi. Non è roba da fantapolitica. In molti settori, dall'abbigliamento all'industria mineraria, accordi del genere sono stati sottoscritti, e miglioramenti non trascurabili conseguiti per i lavoratori di entrambe le sponde. Naturalmente, in una simile operazione strategica Fiat avrebbe dovuto di nuovo avere dietro o accanto un governo capace di muoversi su questa complessa scacchiera.

Anche in tema di strategie industriali la Fiat avrebbe potuto imboccare strade diverse. L'autoindustria mondiale soffre di tre gravi problemi: un eccesso enorme di capacità produttiva, un serio ritardo tecnologico, e una sostanziale incapacità di affrontare lo snodo cruciale della mobilità sostenibile (ad onta di quel che dice il sito dell'Associazione europea costruttori d'auto). In una simile situazione l'autoindustria avrebbe dovuto scegliere la strada schumpeteriana della concorrenza cooperativa, in luogo della concorrenza distruttiva. La prima prevede lo sviluppo di oligopoli che sappiano mettere in comune piani di produzione e tecnologie, oltre a dividersi saggiamente aree di mercato. La seconda prevede la guerra di tutti contro tutti, nella quale mors tua vita mea.

Anche in questo caso la Fiat non poteva sviluppare da sola forme di cooperazione internazionale, ma con il suo peso industriale e il suo prestigio poteva almeno provarci. Per contro ha imboccato con eccezionale tenacia e durezza la strada della guerra a oltranza dei costruttori. Essere costretti a sperare, come capita ora con le sue ultime mosse, che Fiat nei prossimi anni vinca almeno qualche battaglia, se non la guerra, non aiuta a formarci una visione serena né di quel che resta o potrebbe restare dell'industria italiana, né delle virtù competitive di cui parrebbe doversi universalmente dotare la società in cui viviamo. Quella che si diceva fosse fondata sul lavoro.

(29 luglio 2010)

 

2010-07-28

FIAT

Marchionne: "Avanti con Fabbrica Italia

Ora i sindacati dicano sì o no al futuro"

Al tavolo convocato dal ministro Sacconi. L'ad Fiat ribadisce la volontà del Lingotto: aumentare i volumi produttivi degli stabilimenti italiani, anche al di fuori di Confindustria e del contratto nazionale. "Investiamo 20 miliardi, gli impianti devono poter funzionare". Assicura che la scelta serba non limita le prospettive di Mirafiori. Disponibilità da Cisl e Uil. Epifani: "Poche novità, restano le incertezze"

Marchionne: "Avanti con Fabbrica Italia Ora i sindacati dicano sì o no al futuro" La protesta dei lavoratori dell'Usb

TORINO - Dire sì o no alla modernizzazione, alla realizzazione di una rete produttiva italiana in grado di assicurare un salto di qualità nei volumi di produzione. Senza usare pretesti per lasciare le cose come stanno, senza accettare che il sistema industriale continui a essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro. Ovviamente, dire no al nuovo scenario vuol dire anche che tutti i piani e gli investimenti per l'Italia verranno ridimensionati. Questo l'ultimatum che l'amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne, mette davanti ai sindacati al tavolo organizzato alla Regione Piemonte dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, presenti i leader di Cgil, Cisl e Uil, Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, i segretari generali di Fiom, Fim, Uilm, Fismic e Ugl, il governatore Roberto Cota, il presidente della Provincia Antonio Saitta e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino.

Marchionne non usa giri di parole per confermare la determinazione con cui Fiat intende perseguire i propri obiettivi di mutazione delle relazioni industriali per reggere alla sfida della crisi dell'auto e alla competizione sui mercati internazionali. Mutazione che da ieri è simboleggiata dalla nascita della società controllata Fabbrica Italia, un progetto e un piano che l'ad conferma al tavolo. "Siamo l'unica azienda ad investire 20 miliardi nel Paese - afferma - Non chiediamo aiuti o incentivi, ma dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare". E per funzionare, le regole devono necessariamente cambiare.

A cominciare dalla praticabilità di un'uscita di Fiat da Confindustria e soprattutto dal contratto nazionale dei metalmeccanici una volta raggiunta la sua scadenza, opzione ventilata nei giorni scorsi e ribadita all'incontro di oggi. "Si parla molto di questa possibilità - dice Marchionne - Sono tutte strade praticabili, di cui si discuterà domani al nuovo tavolo convocato col sindacato nazionale. Se è necessario siamo disposti anche a seguire queste strade. Ma non è questa la sede per entrare nei dettagli".

"Fabbrica Italia non è un accordo, è un nostro progetto, non è stato concordato né con il mondo politico né con il sindacato - tiene a chiarire Marchionne - Per questo è incredibile la pretesa che ho sentito più volte rivolgere alla Fiat di rispettare un presunto accordo". L'unico accordo firmato è quello su Pomigliano, sulla cui modalità di realizzazione "non esistono preconcetti". Ma Marchionne avverte i sindacati: "Non si fanno gli interessi dei lavoratori usandoli per interessi politici. Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda".

L'ad passa quindi a illustrare la visione Fiat sullo spostamento in Serbia della produzione della nuova monovolume, il modello LO. "Assegnarlo a Mirafiori, come era stato anticipato a dicembre nell'incontro di Palazzo Chigi, era una delle tante possibilità sul tavolo - dice - La scelta che abbiamo fatto di portarlo in Serbia è nata considerando i tempi stretti che avevamo a disposizione per iniziare i lavori e adeguare le linee di produzione. Il progetto doveva partire al più presto, sia per ragioni commerciali, sia per ragioni industriali". Scelta che non pregiudica le prospettive di Mirafiori. "La gamma dei prodotti prevista nel piano quinquennale del gruppo è talmente ampia che ci sono altre possibilità a disposizione - garantisce il manager - Considerando sia i prodotti Fiat sia i modelli Chrysler, esistono altre alternative che possono portare lo stesso risultato e garantire gli stessi volumi di produzione previsti".

I sindacati. La reazione delle organizzazioni sindacali non è univoca. Bonanni è per il "sì, senza se e senza ma, e questo vale anche per l'accordo su Pomigliano". "Ma - aggiunge il leader della Cisl - vogliamo che Marchionne faccia chiarezza sul fatto che le modalità dell'investimento rimarranno nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito".

Anche il leader della Uil Angeletti si dice pronto "ad accettare e a praticare le sfide necessarie", chiedendo a Marchionne di confermare l'impegno a incrementare la produzione negli stabilimenti italiani. "La Fiat ci dica quali sono le condizioni per cui questo progetto si implementi sicuramente. La stragrande maggioranza dei lavoratori è preoccupata solo di avere il suo posto di lavoro e a condizioni normali".

Epifani è insoddisfatto. "Oggi ho sentito troppo ottimismo, la verità è che non ci sono patti nuovi - dice il leader Cgil -. L'azienda ha riconfermato gli obiettivi del piano 'Fabbrica Italia', che la Cgil condivide. Il problema è trovare gli strumenti contrattuali per raggiungerli". Da Epifani, un appello ai vertici del Lingotto: "La Cgil è convinta che si possa riaprire il confronto a partire da Pomigliano per trovare una soluzione condivisa. Siamo disponibili a fare questo passo ma chiediamo alla Fiat di fare lo stesso". Cgil non ha interesse in una "conflittualità permanente" assicura Epifani, che poi contesta a Marchionne il senso dell'opzione serba. "Il sindacato non ha mai avuto problemi a saturare gli impianti" ammonisce Epifani, secondo cui spostare la monovolume LO a scapito di Mirafiori è una scelta dettata solo da "convenienza economica", perché per il leader Cgil, "non c'è problema di gestione dell'azienda".

Giovanni Centrella, segretario generale di Ugl, esprime invece le perplessità sull'ultimatum di Marchionne. "Non è giusto - dice - che pretenda da noi oggi un sì o un no. Ci dica prima con chiarezza entro quale sistema di regole la Fiat intende far funzionare tutti i suoi progetti".

Per Giuseppe Farina, segretario generale della Fim-Cisl, "non serve la disdetta del contratto nazionale". "Siamo pronti - dice il numero uno dei metalmeccanici della Cisl - a trovare una soluzione al problema sollevato da Marchionne sulla esigibilità degli accordi su Fabbrica Italia, a partire da quello di Pomigliano, trovando una soluzione all'interno del sistema contrattuale nazionale".

Marchionne lascia il tavolo per partire alla volta di Roma, dove vedrà la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. L'incontro di Torino si chiude nella prospettiva di nuove riunioni dedicate alla situazione dei singoli stabilimenti, coordinati dal ministero del Welfare. A questo proposito, il ministro Sacconi anticipa che "il governo continuerà il percorso in atto sulla reindustrializzazione di Termini Imerese e le parti saranno convocate, di intesa con la Regione Sicilia, entro il 15 settembre, per discutere di tutte le proposte che Invitalia sta esaminando".

Sacconi giudica l'incontro di oggi "utile, costruttivo, che ci consente di procedere lungo la via dell'ulteriore consolidamento e sviluppo della capacità produttiva degli impianti Fiat in Italia, con conseguenti garanzie sui livelli occupazionali". Secondo il ministro, "si vogliono realizzare accordi di stabilimento, sul modello di Pomigliano. Questo non significa lo stesso accordo, ma verificare la convergenza delle parti sugli investimenti e l'organizzazione del lavoro", con l'obiettivo della "saturazione degli impianti e la piena efficienza degli stessi".

"Il governo - conclude il ministro - ha sollecitato le parti a restare nell'alveo delle tradizionali relazioni industriali, che hanno dimostrato un'ampia capacità di rigenerazione. Atti unilaterali nel sistema delle relazioni industriali sarebbero inopportuni. Per questo le parti sono state invitate a trovare modalità con le quali adattare le relazioni industriali ad esigenze attuali".

(28 luglio 2010)

 

 

 

 

 

 

Diretta - Economia

Fiat, incontro con sindacati e governo

Marchionne: "Si può dire solo sì o no"

Alla Regione Piemonte il tavolo convocato dal ministro Sacconi dopo l'annuncio della delocalizzazione in Serbia. L'ad assicura che questo "non toglie prospettive a Mirafiori" e conferma il piano di Fabbrica Italia. Poi lancia l'ultimatum: "Senza un sì convinto, meno investimenti". E definisce "una strada praticabile" la disdetta del contratto nazionale

15:00 Marchionne incontra Marcegaglia

Incontro riservato, a margine della conferenza degli ambasciatori alla Farnesina, tra Marchionne e la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia

14:57 Di Pietro: "Si difenda il contratto"

Il leader dell'Idv e il responsabile lavoro del partito Zipponi: "Come volevasi dimostrare, la riunione di oggi con il ministro della Disoccupazione, Sacconi si è rivelata un disco rotto senza nessun intervento da parte della presidenza del consiglio che dovrebbe essere l'attore principale. L'Italia dei Valori considera il contratto nazionale una garanzia imprescindibile per i lavoratori e per questo deve essere difeso"

14:15 Senatori Pd: "Il governo è inadeguato"

I senatori del Pd componenti della Commissione lavoro denunciano "la grave inadeguatezza dell`iniziativa del governo di fronte alle sfide che la vicenda Fiat pone al Paese" e chiedono che "il governo riferisca immediatamente al Senato, informando sull`andamento del confronto con Fiat e chiarendo come intenda procedere rispetto alle gravi scelte poste in atto dall'azienda (costituzione della newco, minaccia di uscita dal contratto nazionale nonostante l`esito del referendum di pomigliano), che riguardano il futuro della produzione in italia, i diritti contrattuali dei lavoratori e il sistema delle relazioni sindacali"

13:31 Landini: "Pronti al confronto"

Il segretario generale della Fiom: "Abbiamo ribadito che siamo più di loro interessati affinchè in Italia si continui a produrre auto. Siamo pronti a trattare per rendere efficienti gli stabilimenti, ma all'interno delle leggi che ci sono gli strumenti per trovare soluzioni". "Il governo convoca tavoli per dirci di rinunciare ai diritti e non fa quello che si fa negli altri Paesi dove per fare politica industriale si usano anche i soldi pubblici", dice Landini, secondo cui oggi "non stati fugati i dubb" e sulla disdetta del contratto si apre "un quadro pericoloso".

13:28 Epifani: "Non ci sono fatti nuovi"

Il leader Cgil: "Ho sentito molto ottimismo ma in realtà non ci sono fatti nuovi. Le incertezze che avevamo già dopo l'incontro di palazzo Chigi, aumentate dopo l'annuncio dello spostamento in Serbia, ci sono tutte"

13:03 Sacconi: "Entro 15 settembre incontro su Termini Imerese"

Sacconi: "Il governo continuerà il percorso in atto sulla reindustrializzazione di Termini Imerese e le parti saranno convocate, di intesa con la Regione Sicilia, entro il 15 settembre, per discutere di tutte le proposte che Invitalia sta esaminando"

12:51 Sacconi: "Altri accordi sul modello Pomigliano"

Sacconi: "Si vogliono realizzare accordi di stabilimento, sul modello di Pomigliano. Questo non significa lo stesso accordo, ma significa verificare la convergenza delle parti sugli investimenti e l'organizzazione del lavoro". L'obiettivo è quello della "saturazione degli impianti e la piena efficienza degli stessi"

12:49 Chiamparino: "Confermate prospettive Mirafiori"

Il sindaco di Torino: "Avevo dubbi che si trattasse di un impegno di facciata, ma sono contento di essere stato smentito. Abbiamo avuto con chiarezza la conferma che per Mirafiori nella programmazione quinquennale dei modelli Fiat ne sono previsti altri, forse anche di gamma più adeguata ad uno stabilimento che comunque è il quartier generale europeo del gruppo"

12:40 Sacconi: "Incontro utile"

Il ministro: "E' stato un incontro utile, costruttivo, che ci consente di procedere lungo la via dell'ulteriore consolidamento e sviluppo della capacità produttiva degli impianti Fiat in Italia, con conseguenti garanzie sui livelli occupazionali". Di incontro "produttivo e positivo" parla anche il governatore Cota

12:39 Sacconi: "No ad atti unilaterali"

Sacconi nella conferenza stampa dopo l'incontro: "Il governo ha sollecitato le parti a restare nell'alveo delle tradizionali relazioni industriali che hanno dimostrato un'ampia capacità di rigenerazione. Atti unilaterali nel sistema delle relazioni industriali sarebbero inopportuni. Per questo le parti sono state invitate a trovare modalità con le quali adattare le relazioni industriali ad esigenze attuali"

12:14 Concluso l'incontro: previsti vertici su singoli stabilimenti

Si è concluso l'incontro di Torino sulle prospettive del gruppo Fiat. Secondo quanto si è appreso, ci saranno altri incontri specifici sulla situazione dei singoli stabilimenti. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha detto che il governo si impegna a coordinare le trattative che proseguiranno ora a livello di singoli stabilimenti. L'ad di Fiat, Sergio Marchionne, ha lasciato Torino alla volta di Roma

12:09 Farina: "Uscire dal contratto nazionale non è necessario"

"Non serve la disdetta del contratto nazionale". Lo afferma il segretario generale della Fim-Cisl, Giuseppe Farina, partecipando al tavolo Fiat in corso a Torino. "Siamo pronti a trovare una soluzione al problema sollevato da Marchionne sulla esigibilità degli accordi su Fabbrica Italia, a partire da quello di Pomigliano, trovando una soluzione all'interno del sistema contrattuale nazionale", aggiunge il numero uno dei metalmeccanici della Cisl.

12:08 Centrella: "Prima di ultimatum Marchionne dica quali regole vuole"

"Non è giusto che Marchionne pretenda da noi oggi un sì o un no. Ci dica prima con chiarezza entro quale sistema di regole la Fiat intende far funzionare tutti i suoi progetti che comunque non possono essere cambiati in corso d'opera". Lo ha detto Giovanni Centrella, segretario generale dell'Ugl, intervenendo al tavolo a Torino. Centrella ha chiesto che sia garantita la piena saturazione degli impianti.

12:04 Angeletti: "No alibi, Fiat confermi impegno per stabilimenti italiani"

L'obiettivo di aumentare la produzione dell'auto in Italia "è così importante che non andiamo a cercare alibi o scuse per non raggiungerlo". Lo afferma il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, intervenendo al tavolo Fiat in corso a Torino. "Noi non abbiamo problemi ad accettare e a praticare le sfide necessarie. Abbiamo bisogno di vedere riconfermato l'impegno ad incrementare gli stabilimenti italiani: la Fiat ci dica quali sono le condizioni per cui questo progetto si implementi sicuramente. La stragrande maggioranza dei lavoratori è preoccupata solo di avere il suo posto di lavoro e a condizioni normali"

11:58 Epifani: "Serbia solo per convenienza, Mirafiori non ha problemi di gestione"

"Nessuno vuole una conflittualità permanente" e il sindacato non ha "mai avuto problemi a saturare gli impianti in Italia". Così il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Che a proposito dello spostamento in Serbia della produzione del nuovo monovolume LO a scapito dello stabilimento di Mirafiori, parla di una scelta dettata solo da "convenienza economica", perché per il leader Cgil, "non c'è problema di gestione dell'azienda"

11:51 Marchionne: "L'opzione serba non toglie prospettive a Mirafiori"

Riguardo alla scelta di portare la produzione del modello L0 in Serbia, Marchionne ha spiegato: "Assegnarlo a Mirafiori, come era stato anticipato a dicembre nell'incontro di Palazzo Chigi, era una delle tante possibilità sul tavolo. La scelta che abbiamo fatto di portarlo in Serbia è nata considerando i tempi stretti che avevamo a disposizione per iniziare i lavori e adeguare le linee di produzione. Il progetto doveva partire al più presto, sia per ragioni commerciale, sia per ragioni industriali. Avevamo la necessità di scegliere un impianto che ci desse la garanzia di rispondere alle esigenze del mercato". Una scelta che per Marchionne non toglie prospettive allo stabilimento torinese: "Ne ha eliminata una tra molte. La gamma dei prodotti prevista nel piano quinquennale del gruppo è talmente ampia che ci sono altre possibilità a disposizione. Considerando sia i prodotti Fiat sia i modelli Chrysler, esistono altre alternative che possono portare lo stesso risultato e garantire gli stessi volumi di produzione previsti".

11:49 Marchionne: "Praticabile uscita da contratto nazionale metalmeccanici"

"Si parla molto della possibilità che la Fiat decida la disdetta dalla Confindustria e quindi dal contratto dei metalmeccanici alla sua scadenza. Sono tutte strade praticabili, di cui si discuterà domani al nuovo tavolo convocato col sindacato nazionale. Se è necessario siamo disposti anche a seguire queste strade. Ma non è questa la sede per entrare nei dettagli"

11:46 Bonanni: "Cisl per il sì, ma entro regole del nuovo sistema contrattuale"

"Noi diciamo a Marchionne che per la Cisl la risposta è sì. Senza se e senza ma. E questo vale anche per l'accordo su Pomigliano". Lo afferma il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, rispondendo all'ultimatum dell'amministratore delegato del Lingotto. "Ma - aggiunge il leader della Cisl nel corso del tavolo a Torino - vogliamo che Marchionne faccia chiarezza sul fatto che le modalità dell'investimento rimarranno nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito"

11:44 Marchionne: "Opportunità di aumentare volumi produttivi"

L'ad di Fiat spiega ancora: "Abbiamo l'opportunità di costruire una rete industriale in Italia che sia in grado di aumentare in modo significativo gli attuali volumi di produzione. Non sprechiamo questa opportunità. La sfida è possibile unendo le forze, le intelligenze e le risorse. Lo è dividendo i compiti i sacrifici e le responsabilità. Vorremmo che per una volta fosse l'Italia a diventare l'esempio di come questi cambiamenti possano realizzarsi con successo"

11:41 Marchionne: "Meno investimenti se 'Fabbrica Italia' non va avanti"

"Se si tratta solo di pretesti per lasciare le cose come stanno è bene che ognuno si assuma la propria responsabilità sapendo che il progetto 'Fabbrica Italia' non può andare avanti e che tutti i piani e gli investimenti per l'Italia verranno ridimensionati". Lo ha detto l'ad Fiat Sergio Marchionne al tavolo sulle prospettive sul Gruppo

11:36 Marchionne: "E' il momento di dire sì o no alla modernizzazione"

"Ci sono solo due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate. Una è sì, l'altra è no. Sì vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana, no vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui a essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro"

11:28 Marchionne: "Le nostre non sono minacce"

Marchionne ha sottolineato che l'azienda non ha "nessun preconcetto su come rendere praticabile l'accordo a Pomigliano. Non si fanno gli interessi dei lavoratori usandoli per interessi politici. Le nostre non sono minacce, ma non siamo disposti a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda"

11:24 Marchionne dà un ultimatum ai sindacati

Dopo aver confermato il piano per Fabbrica Italia ("unica azienda ad investire 20 miliardi nel Paese, ma dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare"), l'ad del Lingotto dà un ultimatum ai sindacati ad accettare in toto il piano industriale e avverte il governo che non si farà coinvolgere dalle polemiche perché la Fiat non è un soggetto politico. "Non c'è stato accordo al di là di Pomigliano. Fabbrica italia è stata una nostra iniziativa. Non l'abbiamo concordato né con la politica né con i sindacati. Non agiamo come soggetto politico e non intendiamo farci coinvolgere. Vogliamo sapere o sì o no. Non chiediamo aiuti o incentivi, ma dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare"

11:23 Marchionne: "Mirafiori ha prospettive"

All'incontro in corso alla sede della Regione Piemonte, l'ad di Fiat Marchionne assicura che la produzione della monovolume 'L0' in Serbia "non toglie prospettive a Mirafiori" "Esistono alternative per garantire i volumi di produzione" nella fabbrica torinese

 

 

 

 

2010-07-27

LA TRATTATIVA

Sacconi: "Su Fiat partita aperta"

Nasce Fabbrica Italia Pomigliano

"Per la Cgil è occasione di rientrare in gioco", dice il ministro, "ma non potrà essere possibile per una parte sola di mettere il veto sugli altri". Marchionne presidente della newco. Giovedì l'azienda incontra i sindacati

Sacconi: "Su Fiat partita aperta" Nasce Fabbrica Italia Pomigliano Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi

ROMA - Nasce Fabbrica Italia Pomigliano, società iscritta al Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino il 19 luglio e controllata al 100% da Fiat Partecipazioni, con un capitale di 50.000 euro, presidente Sergio Marchionne. La notizia arriva alla vigilia dell'incontro tra azienda, sindacati e governo convocato a Torino dopo che è scoppiato il caso Serbia. E in vista di quell'incontro a Torino, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi appare fiducioso: "La partita è quanto mai aperta e sono ottimista per la soluzione".

Una newco per Pomigliano. La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5.000 lavoratori della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo 1con i sindacati il 15 giugno. L'accordo non è stato firmato dalla Fiom. La Fabbrica Italia Pomigliano ha come oggetto sociale "l'attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine può costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende. Può compiere le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o società, anche intervenendo alla loro costituzione".

Fiat convoca i sindacati, giovedì l'incontro. La Fiat ha convocato giovedì a Torino i sindacati metalmeccanici. L'incontro si svolgerà all'Unione Industriale alle 9.30. All'ordine del giorno - secondo le organizzazioni dei lavoratori - dovrebbe essere la comunicazione della disdetta degli accordi vigenti e, in particolare, del contratto nazionale di lavoro. Si parlerà anche di Pomigliano con i sindacati che hanno firmato l'intesa del 15 giugno. A questa seconda parte dell'incontro, quindi, non dovrebbe prendere parte la Fiom.

Sacconi ottimista. "Vedo la possibilità della convergenza tra le parti, mi auguro di tutte, dobbiamo fare quanto possibile perché siano tutte, ma in ogni caso non potrà essere possibile per una parte sola di mettere il veto sugli altri, si deve andare avanti", ha detto Sacconi parlando poi espressamente dell'isolamento della Cgil in questo tavolo. "Per la Cgil è una occasione di rientrare in gioco e mi auguro che voglia sfruttare questa occasione riflettendo sull'autoisolamento di questo periodo nella vicenda Fiat. Sono ottimista perché credo nella volontà degli attori e credo nella loro consapevolezza di quanto sia alta la posta in gioco".

Sacconi ha ribadito che l'obiettivo è verificare l'impegno di Fiat a investire in Italia fino a saturare gli impianti esistenti e che a questo tavolo "la posta in gioco è ancora più alta... serve a dimostrare che l'Italia può rimanere una grande piattaforma produttiva anche per l'industria dell'auto".

Sacconi non ha risposto direttamente alla domanda se Fiat possa cercare di fare un contratto diverso da quello nazionale del settore 2 e uscire dalla Federmeccanica, associazione delle imprese meccaniche di Confindustria. "Dovranno essere le parti tra di loro a definire i modi con cui regolare questo processo. La soluzione deve essere comunque condivisa", ha risposto in proposito il ministro. "Quello che ci interessa è che nel quadro dell'organizzazione del gruppo Fiat ci siano missioni produttive sostenibili nel tempo nei siti italiani, tra i quali Mirafiori".

Pd: "Preoccupa l'assenza del governo". Si dice preoccupato per le scelte della Fiat Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni Economiche del gruppo Pd alla Camera: "Le scelte della Fiat, compresa quella più recente di dar vita alla nuova fabbrica di Pomigliano, dovrebbero essere valutate alla luce di una politica industriale del governo che in questo momento manca completamente". L'assenza di un ministero rappresenta, secondo Boccia, il sintomo più evidente del disinteresse del governo "per un impegno forte a sostegno del nostro sistema economico e produttivo in vista di un credibile superamento della crisi". E, incalza il coordinatore, "vogliamo che il governo spieghi agli italiani in diretta televisiva quali iniziative intenda assumere per avviare un confronto ai massimi livelli istituzionali con il gruppo torinese, per assicurare la permanenza di un forte e innovativo insediamento produttivo nazionale nel comparto automobilistico, anche sollecitando la presentazione di un piano complessivo che chiarisca il ruolo che la Fiat intende avere nel nostro Paese".

(27 luglio 2010)

 

 

 

 

2010-07-25

L'INTERVISTA / 1

Epifani: "Fiat, ridiscutiamo tutto

Pomigliano e investimenti"

Il leader della Cgil dopo l'annuncio del trasferimento in Serbia e la convocazione del governo: ecco le condizioni per il disgelo di ROBERTO PETRINI

Epifani: "Fiat, ridiscutiamo tutto Pomigliano e investimenti"

ROMA - Dovremo rassegnarci ad una Torino senza Fiat, sebbene, come dice Chiamparino, la "T" è parte integrante del marchio automobilistico. Finirà così?

"Non può finire così - risponde il segretario della Cgil Guglielmo Epifani - e non deve finire così. Leggo in questi giorni tante teorie sull'impresa globale ma se poi vai a guardare le altre imprese globali quasi tutte hanno un rapporto con un territorio, con una identità e con una memoria. Vale per le aziende tedesche, francesi, giapponesi ed anche per quelle americane e coreane. Non si capisce perché non debba valere solo per le imprese nate e cresciute in Italia. Vedo, dietro questa rottura con l'identità territoriale, più un'idea finanziaria che industriale".

Sergio Marchionne sembra scaricare la responsabilità sui sindacati: dice che all'estero farebbero ponti d'oro alla sua azienda.

"In Serbia per la verità i ponti d'oro sono quelli fatti dal governo: finanziamenti, detassasione per 10 anni, sconti sul costo del lavoro, ingresso dello Stato nella società con Fiat con il 25%. Semmai c'è da dire che la differenza la fa il comportamento dei governi. E i governi intervengono attivamente anche in Francia e in Usa".

Il ministro del Welfare Sacconi vi ha convocati a Torino. Andrà?

"Sì certo, anche se la sede e la forma dell'incontro sono poco convenzionali. Era meglio una sede istituzionale, come Palazzo Chigi".

C'è la possibilità di un disgelo?

"A due condizioni. Che l'incontro possa portare a dare certezze sugli investimenti in Italia e la difesa dell'occupazione. Inoltre bisogna trovare una modalità per riaprire il confronto su tutti gli stabilimenti italiani, Pomigliano compreso. Non mi convince il fatto che per non provare a riaprire il confronto con Fiom e Cgil si cerchino artifici formali per rendere esigibile l'accordo; artifici che avrebbero più costi e più problemi di quelli che si potrebbero conseguire riaprendo il confronto".

Allude alla costituzione di una new company per Pomigliano, con l'obiettivo di azzerare tutto, estromettere la Fiom, e ricominciare senza il "vincolo" del contratto nazionale?

"Sarebbe un atto grave e miope. Non riesco a trovare infatti una convenienza a seguire questa strada. Anche perché sono anni che sindacati e Confindustria ragionano su una prospettiva di contratti nazionali più larghi, oltre i settori merceologici, per tenere conto delle trasformazioni e dell'espandersi delle filiere produttive. Su questo ricordo l'impegno prima di Montezemolo e oggi della Marcegaglia".

Le sembra che Marchionne chieda per Mirafiori quello che ha ottenuto a Pomigliano? Rinuncia a diritti sulla malattia e lo sciopero oppure si va in Serbia?

"Non so cosa voglia davvero la Fiat. Ricordo che solo qualche settimana fa Marchionne aveva detto che si sarebbero prodotte 1,6 milioni vetture in Italia: non si può cambiare idea ogni tre mesi. Vorrei provare una volta tanto a discutere seriamente su "Fabbrica Italia": è una formula suggestiva che per me vuol dire più investimenti, più qualità nei prodotti, più professionalità, difesa dei diritti e adesione esplicita ai doveri che ne conseguono. Per essere chiari anche sulla produttività e l'efficienza. Ma se, arrivati al dunque, dietro la formula "Fabbrica Italia" si nasconde l'intenzione di toccare dei diritti fondamentali, come quello della responsabilità individuale nel caso di malattia o sciopero, si va oltre il contratto. Si fa una strappo alle leggi e alla Costituzione".

Il caso dei licenziamenti alla Fiat rappresenta un ostacolo?

"I licenziamenti fatti non sono in realtà motivati. Non sono stati messi in atto comportamenti tali che li giustifichino e anche questo è un tema che va ripreso e su cui anche il governo deve fare la propria parte".

(25 luglio 2010)

 

 

 

L'INTERVISTA / 2

Chiamparino e il caso Fiat

"Sindacati siano affidabili"

Il sindaco di Torino: siamo indietro di trent'anni. "Senza garanzie il Lingotto sarà americano" di SALVATORE TROPEA

Chiamparino e il caso Fiat "Sindacati siano affidabili"

TORINO - "Il fatto è che pensiamo ancora come negli anni Settanta, siamo fermi a quell'epoca e a quel mondo. Non solo la Fiom, ma tutta la politica italiana, a destra e a sinistra, dalla Lega che continua a dire che dopo trent'anni di contributi la Fiat non può andare fuori, a chi pensa semplicemente che si possa andare avanti senza regole o con regole messe continuamente in discussione. Se è così chi glielo fa fare a Marchionne di investire 20 miliardi in un paese in cui, bene che vada, è sopportato. Poi però bisogna pur convincerlo a rinunciare alla linea dura e a pensare a qualcosa di alternativo per Mirafiori".

Sindaco di Torino, esponente di spicco del Pd, amico ma non solo per questo interlocutore privilegiato del numero uno del Lingotto col quale è stato il primo a parlare dopo la bomba Mirafiori-Serbia, Sergio Chiamparino, la dice così come la pensa.

Già, signor sindaco, ma lei crede possibile una soluzione per Mirafiori?

"Sono convinto che si potrà aggiustare. Ho visto il programma che per quanto riguarda la fabbrica torinese, da qui al 2013, indica una produzione annua di 250 mila vetture. Ne ho parlato con Marchionne anche nel colloquio telefonico di venerdì e non credo possa essere cancellato. Quanto a cosa produrre, come avete scritto su Repubblica, ci sono la MiTo che comunque rimane e altri modelli dello stesso marchio. So anche che la L0, che si vuole dirottare in Serbia, prevede una famiglia di vetture alcune delle quale possono essere prodotte a Mirafiori. Dunque gli spazi per assicurare la continuità produttiva ci sono".

Sarà questa la richiesta di partenza nella riunione di mercoledì prossimo?

"Non solo. Mi auguro che non sia un tavolo di chiacchiere. C'è il rischio il rischio che finisca in cinematografo e questo non va bene. Il fatto che l'annuncio del vertice congiunto sia arrivato dopo che le agenzie avevano diffuso la notizia del mio colloquio con Marchionne mi fa temere che possa trattarsi di qualcosa messo assieme affrettatamente e per non restare indietro. Potrà essere un tavolo importante se il governo convincerà la Fiat a provarci ancora su Torino e, più in generale, a non rinunciare alla sfida lanciata con Fabbrica Italia".

Come?

"Mettendo per esempio dei soldi per la ricerca e la produzione del motore pulito. Una cosa che si può fare solo a Torino perché qui ci sono le capacità tecniche per poterla fare. E' questo un elemento aggiuntivo che però presuppone una chiara scelta di politica industriale che sinora è mancata".

Al tavolo ci saranno anche i sindacati, compresa la Cgil, e il caso Mirafiori incrocerà quello Pomigliano riproponendo i motivi di rottura già noti e sui quali anche il suo partito si è espresso con toni critici nei confronti di Marchionne.

"Se vogliamo cancellare la distanza che ci vede indietro di trent'anni, i sindacati devono garantire l'affidabilità, devono assicurare il funzionamento della fabbrica. Questo in America è stato fatto e se non provvediamo a farlo anche qui il rischio sarà quello di dover parlare fra non molto non di Fiat-Chrysler ma di Chrysler- Fiat".

L'Italia però non è l'America.

"E' vero. Ma io mi domando dove c'è uno che investe 20 miliardi e sposta pezzi importanti di produzione dall'estero? Io in Italia non lo vedo, salvo forse qualche piccolo imprenditore. Perciò se fossi al posto di Marchionne direi: io devo fare tante vetture, fate voi le proposte su come evitare di perderci tutti. Ma questo da noi è purtroppo difficile. In America Obama andrà tra qualche giorno a visitare la Chrysler rilanciata in appena un anno con l'impegno dell'azienda, dei sindacati, del governo. Da noi siamo ancora fermi al tiro al bersaglio dei partiti che urlano inseguendo ognuno propri interessi di provincia e di parrocchia politica".

(25 luglio 2010)

 

 

 

La vera storia del caso Marchionne

di EUGENIO SCALFARI

La vera storia del caso Marchionne Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat

ROMA - Fa piacere a tutti quelli che fanno il mio mestiere poter dire ogni tanto: "l'avevo scritto prima di tutti" anche se molte volte ci sbagliamo nelle previsioni e nei giudizi. E allora: quando Marchionne annunciò che la Fiat aveva conquistato il controllo della Chrysler, gran parte della stampa magnificò quell'operazione come un'offensiva in grande stile della società torinese per proporsi come uno dei quattro o cinque gruppi automobilistici mondiali che sarebbero sopravvissuti nell'economia globale. Io scrissi invece che l'operazione di Marchionne era puramente difensiva. La Fiat stava affondando; aggrappata alla Chrysler sarebbe sopravvissuta, sia pure con connotati industriali e territoriali completamente diversi.

Ma perché proprio la Chrysler e non invece la Peugeot e magari la General Motors che sembrava anch'essa sull'orlo del disastro? La Peugeot non si poneva il problema di sopravvivenza planetaria e non stava affatto affondando; quanto alla GM, aveva un programma di rilancio che infatti è andato a buon fine con l'aiuto dei fondi messi a sua disposizione dal governo Usa. Chrysler era completamente decotta e il governo americano non l'avrebbe rifinanziata, l'avrebbe lasciata fallire. L'arrivo della Fiat e del piano industriale di Marchionne la salvò, Obama decise il rifinanziamento e in questo modo tenne a galla Chrysler e indirettamente la stessa Fiat. Il capolavoro di Marchionne è stato questo. Ma poi arrivarono allo stesso pettine altri nodi.

Massimo Giannini, trattando ieri questo stesso tema, ha scritto che la questione di Pomigliano è stata una "provocazione" di Marchionne per saggiare la risposta dei sindacati. L'errore dei sindacati (Cisl e Uil) - ha scritto - è stato di pensare che la provocazione riguardasse soltanto Pomigliano; invece no, riguardava l'assetto di tutto il gruppo Fiat a cominciare dal Lingotto. In effetti è così. È vero che nell'accordo firmato con Cisl e Uil la Fiat ha preso l'impegno che le nuove regole non saranno applicabili in nessuno degli altri suoi stabilimenti in Italia; Marchionne infatti non ne applicherà ma semplicemente trasferirà in Serbia l'attuale lavoro previsto per Mirafiori.

Ma perché in Serbia? La differenza di costo salariale tra la Serbia e Torino è molto forte ma la componente salariale non pesa più dell'8 per cento sul prodotto finale. La ragione del trasferimento dunque non è questa; la ragione sta nel fatto che lo stabilimento Fiat in Serbia sarà pagato per tre quarti dall'Unione europea e per il resto da incentivi fiscali del governo di Belgrado. Quello stabilimento non costa nulla alla Fiat; per di più la sua gestione è vantaggiosa e genera utili. Perché Marchionne dovrebbe rinunciarvi?

Quanto al governo italiano, non ha assolutamente nulla da dare alla Fiat. L'azionista della società torinese non ha soldi per nuovi investimenti automobilistici; tanto meno ne ha il governo Berlusconi-Tremonti. Quindi liberi tutti, checché ne pensino Chiamparino e la Regione Piemonte a guida leghista. Bossi vuole il federalismo, della Fiat non gliene frega niente. Il tavolo aperto dal ministro Sacconi per mercoledì prossimo si limiterà ad auspicare qualche dettaglio; sotto l'auspicio niente.

Tutto questo era prevedibile ed infatti era stato previsto. Come era stata prevista la mossa fondamentale di scorporare l'automobile dalla Fiat e quindi dal gruppo Agnelli. In gergo borsistico quest'operazione è stata chiamata "spin off", un termine che richiama in qualche modo lo "spinnaker", la vela di prua che viene alzata quando il vento soffia da poppa. Se quel vento è forte la barca vola sulle onde. Infatti la Borsa ha accolto con molto favore lo scorporo. Il significato strategico è chiaro a tutti: gli azionisti del gruppo e "in primis" la famiglia Agnelli, vogliono disfarsi dell'automobile. Lo "spin off" serve appunto a questo: predisporre la vendita dell'automobile ex Fiat a chi vorrà comprarlo. Nel frattempo preparare la fusione con la Chrysler. La Fiat resta a Torino, ma senza più l'auto. Questa è la prospettiva del futuro prossimo.

Fin qui abbiamo considerato la questione Fiat misurandola su tre dimensioni successive: Pomigliano, Lingotto, scorporo dell'auto. Ma c'è una quarta dimensione ancora più importante e ancora più globale. Ne scrissi due mesi fa e non l'ho chiamata "provocazione" ma "apripista". Il caso Pomigliano cioè, e ciò che ne sta seguendo, funziona da caso "apripista" per un'infinità di operazioni analoghe che possono coinvolgere l'intero apparato industriale italiano, soprattutto quello delle imprese medio-piccole e piccole, quelle che occupano tra i 300 e i 20 dipendenti e che rappresentano il vero ed unico tessuto industriale italiano soprattutto nel nord della Lombardia, nel Triveneto, nell'Emilia-Romagna, nelle Marche, in Puglia, in Campania, nel Lazio.

Queste imprese esportano nell'euro e fuori dall'euro. Avevano registrato una grave crisi nel 2007-2008, poi si sono riprese, aiutate dalla svalutazione dell'euro, dal lavoro nero e precario e dal lassismo fiscale. Non sappiamo quanto reggeranno all'"austerity" di Tremonti e alla ripresa dell'euro nei confronti del dollaro. Il rischio è che adottino anch'esse la delocalizzazione di cui Pomigliano ha funzionato come apripista. Nelle imprese medio-piccole e piccole il sindacato è molto più debole che nelle grandi e grandissime. Quindi il problema non è di disciplinare il sindacato, ma di disciplinare direttamente i dipendenti. La minaccia della delocalizzazione servirà a questo e sarà estremamente difficile resistervi. Andiamo dunque verso un rapido azzeramento delle conquiste sindacali e dell'economia sociale di mercato degli anni Sessanta fino all'inizio di questo secolo?

Io temo di sì. Temo che la direzione di marcia sia proprio quella ed ho cercato di definirla parlando della legge chimico-fisica dei vasi comunicanti. In ogni sistema globalmente comunicante il liquido tende a disporsi in tutti i punti del sistema allo stesso livello, obbedendo all'azione della pressione atmosferica. In un'economia globale questo meccanismo funziona per tutte le grandezze economiche e sociali: il tasso di interesse, il tasso di efficienza degli investimenti, il prezzo delle merci, le condizioni di lavoro.

Tutte queste grandezze tendono allo stesso livello, il che significa che i paesi opulenti dovranno perdere una parte della loro opulenza mentre i paesi emergenti tenderanno a migliorare il proprio standard di benessere. La prima tendenza sarà più rapida della seconda. Al termine del processo il livello di benessere risulterà il medesimo in tutte le parti, fatte salve le imperfezioni concrete rispetto al modello teorico. La Fiat ha fatto da apripista. Marchionne disse all'inizio di questa vicenda che lui ragionava e operava nell'epoca "dopo Cristo" e non in quella "ante Cristo". Purtroppo il "dopo Cristo" è appena cominciato.

C'è un modo per compensare la perdita di benessere che il "dopo Cristo" comporta per i ceti deboli che abitano paesi opulenti? Certo che sì, un modo c'è ed è il seguente: far funzionare il sistema dei vasi comunicanti non solo tra paese e paese, ma anche all'interno dei singoli paesi. L'Italia è certamente un paese ricco. Anzi fa parte dei paesi opulenti del mondo, che sono in prevalenza in America del nord e nella vecchia Europa. Ma l'Italia è anche un paese dove esistono sacche di povertà evidenti (e non soltanto nel Sud) e dislivelli intollerabili nella scala dei redditi e dei patrimoni individuali.

Tra l'Italia dei ceti benestanti e quella dei ceti poveri e miserabili il sistema dei vasi comunicanti è bloccato, non funziona. Il benessere prodotto non viene redistribuito, rifluisce su se stesso e alimenta il circuito perverso e regressivo dell'arricchimento dei più ricchi e dell'impoverimento dei poveri. Una politica che volesse perseguire il bene comune dovrebbe dunque smantellare il circuito perverso e far funzionare il circuito virtuoso. Attraverso una riforma fiscale che sbloccasse il meccanismo e redistribuisse il benessere. E poiché la mente e lo stomaco dei ceti poveri e medi reclamano un meccanismo meno iniquo dell'attuale, la riforma del fisco può e deve essere anticipata da misure specifiche di pronta attuazione, stabilite dalla concertazione tra governo e parti sociali che funzionò egregiamente tra il 1993 e il 2006, finché fu abolita con un tratto di penna all'inizio di questa legislatura.

Le opposizioni dovrebbero a mio avviso concentrarsi su questo programma. Bersani ne ha parlato recentemente, ma le opposizioni dovrebbero convergere su un programma concreto con questo orientamento per uscire da una situazione caratterizzata da vergognosi privilegi e diseguaglianze. Si parla molto di riforme. Questa delle ingiustizie sociali da combattere è la madre delle riforme. Perciò mi domando: che cosa aspettate? Che la casa vi crolli addosso?

(25 luglio 2010)

 

 

Verso una newco per Pomigliano

e un nuovo contratto nazionale auto

Marchionne vuole abbandonare quello dei metalmeccanici. A un passo dalla decisione, prevista per la prossima settimana.Vertice con Marcegaglia per cercare di evitare l'uscita da Confindustria

di ROBERTO MANIA

ROMA - Una new company della Fiat, ma diversa dalla Fiat, per applicare senza ostacoli sindacali (leggi Fiom) il nuovo accordo sull'organizzazione del lavoro nello stabilimento Gian Battista Vico di Pomigliano d'Arco. Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo del Lingotto, è a un passo dalla decisione. Le carte dovrebbero essere scoperte la prossima settimana, ma l'orientamento del pool di giuristi che il manager ha messo al lavoro è ormai netto: fondare una nuova società (forse è già stata anche registrata) e riassumere i cinquemila lavoratori con il nuovo contratto, frutto dell'intesa separata con Fim-Cisl, Uilm-Uil, Fismic e Ugl, senza i metalmeccanici della Cgil. Infine, non aderire alla Confindustria per non dover applicare le regole e le rigidità del contratto nazionale dei metalmeccanici. Un contratto che al Lingotto appare ormai incompatibile con il mercato globale e il progetto "Fabbrica Italia".

È uno schema pensato per Pomigliano ma destinato potenzialmente ad estendersi a tutto il pianeta auto della Fiat italiana. Un nuovo - ancorché annunciato - strappo di Marchionne, dopo lo shock provocato dalla scelta di produrre in Serbia e non a Mirafiori la prossima monovolume, proprio per la mancanza di "serietà" (così ha detto l'ad) di una parte del sindacato. Una exit strategy aggressiva dall'impasse determinata dall'esito del referendum di giugno tra gli operai di Pomigliano dove quattro su dieci hanno detto no al nuovo modello di lavoro fatto di più turni, meno pause, meno scioperi e meno assenteismo. Marchionne ha confermato gli investimenti (700 milioni di euro) per trasferire dalla Polonia in Italia la fabbricazione della Nuova Panda, e ha chiesto un nuovo "patto sociale" con i sindacati firmatari dell'accordo. Un patto perché Pomigliano, che dovrà sfornare 280 mila auto l'anno a partire dalla seconda metà del 2011, non si inceppi più.

L'incognita (neanche tanto) è la Fiom. Nelle ultime settimane ha proclamato, per ragioni diverse, una raffica di scioperi. La Fiat ha riscoperto il vecchio modello anni Cinquanta di Vittorio Valletta: ha licenziato cinque operai, tra i quali alcuni delegati della Cgil. Un muro contro muro che potrebbe proseguire ancora. E gli uomini del Lingotto si sono ormai convinti che l'unico modo per depotenziare la Fiom, per evitare una sorta di "guerriglia sindacale", sia appunto quello di creare una nuova società con il nuovo contratto di lavoro (lo stesso modello adottato già nel caso del passaggio dell'Alitalia dallo Stato alla cordata di Roberto Colaninno) così da impedire qualsiasi ricorso giudiziario per chiedere, per esempio, il rispetto del contratto nazionale, derogato dall'intesa per Pomigliano. E poi i diritti sindacali (dai permessi alle trattenute in busta paga per l'iscrizione al sindacato) finirebbero per essere riconosciuti solo alle organizzazioni che hanno sottoscritto l'intesa. La Fiom, come i Cobas, ne starebbero fuori.

Ma non basta. L'altro passo necessario, secondo la Fiat e i suoi consiglieri giuridici, sarebbe quello di non iscrivere la newco all'Unione industriale di Napoli. La tesi è che se si è iscritti all'associazione industriale si è praticamente obbligati ad adottare il contratto nazionale. Dunque, nessuna iscrizione. Sarebbe l'unica soluzione dal risultato certo che vedono a Torino. Tanto che, per evitare probabili contenziosi visto che la newco sarebbe comunque della Fiat che a sua volta aderisce alla Confindustria, si è ipotizzato anche un'uscita tecnica e temporanea del settore auto della Fiat dalla Confindustria, in attesa che, dopo il 2012 (quando scadrà l'attuale contratto dei metalmeccanici, anche questo senza la firma della Fiom), si possa definire un nuovo contratto per il solo settore automobilistico. Un ridisegno complessivo delle regole del gioco: fine del contratto Moloch che resiste solo tra i metalmeccanici e che tiene forzatamente insieme i piccoli orafi con le grandi multinazionali. Un progetto che la Confindustria condivide ma che nello stesso tempo teme perché proprio l'organizzazione degli industriali ne potrebbe uscire ridimensionata nel ruolo e nell'appeal politico.

Così, lontano dai riflettori, l'operazione Pomigliano è da tempo allo studio degli esperti di Viale dell'Astronomia. I contatti tra i vertici della Confindustria e quelli della Fiat si sono intensificati negli ultimi giorni. Questa è la partita chiave per le relazioni industriali. La presidente Emma Marcegaglia ha sostenuto fin dall'inizio la determinazione con la quale Marchionne ha prima annunciato la chiusura di Termini Imerese e poi scommesso sulla rinascita di Pomigliano. Marcegaglia e Marchionne si vedranno mercoledì alla Farnesina a margine della Conferenza degli ambasciatori. Un primo faccia a faccia. A Viale dell'Astronomia sono convinti che ci sia una soluzione per applicare, cominciando da Pomigliano, le nuove regole contrattuali senza dover uscire dalla Confindustria. Di certo anche questa volta Sergio Marchionne sta alzando la posta su tutti i tavoli negoziali.

(24 luglio 2010)

 

 

 

INDUSTRIA

L'Osservatore Romano: "Insostenibile

la delocalizzazione a senso unico"

In un editoriale del presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi implicito riferimento al caso Fiat-Serbia. La tesi: è perdente una strategia mirata "a produrre in un luogo ma a commercializzare e investire in altre aree. "Se non si produce potere d'acquisto, non è possibile neanche vendere"

L'Osservatore Romano: "Insostenibile la delocalizzazione a senso unico"

CITTA' DEL VATICANO - Delocalizzare i propri impianti con l'unico obiettivo di risparmiare sul costo del lavoro è una strategia destinata a perdere. La lezione - con implicito riferimento al caso Fiat-Serbia - giunge dal presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, in un editoriale pubblicato in prima pagina dall'Osservatore Romano. Articolo in cui non si parla mai esplicitamente del Lingotto, ma nel quale è sin troppo evidente il riferimento all'annuncio sul trasferimento da parte del Lingotto della produzione 1della sua nuova monovolume.

Per Gotti Tedeschi, la delocalizzazione può funzionare ma non se la sua idea di fondo è di produrre dove il lavoro costa meno e a vendere e investire in aree diverse, perché in un'economia sana devono essere presenti tutte e tre queste dimensioni. Per corroborare la sua tesi, il presidente dello Ior rispolvera una "parabola" dalla vita di Henry Ford, l'industriale americano inventore della produzione automobilistica su alta scala. "Dopo avere sopportato un lungo periodo di conflittualità sindacale - scrive Gotti Tedeschi -, fece progettare e costruire una fabbrica di automobili totalmente automatizzata. Mostrò poi l'impianto senza operai al potente capo dei sindacati e gli disse con scherno: 'La fermi ora, se ne è capace'. Ma il sindacalista replicò: 'Adesso venda lei le auto prodotte, se ne è capace'. Sottintendendo che, se non si produce potere di acquisto, non è nemmeno possibile vendere".

"L'uomo economico - spiega quindi Gotti Tedeschi - è infatti produttore, compratore, investitore", e "il mondo intero ha sotto gli occhi gli effetti della delocalizzazione, soprattutto in Asia, degli ultimi anni, fenomeno che ha prodotto trasferimenti di capitali e tecnologie, orientati soprattutto a ottenere produzioni a basso costo, ma senza basarsi su vere scelte strategiche. Ciò ha generato un nuovo modello economico difficilmente sostenibile, perché ha creato Paesi produttori, ma temporaneamente non consumatori, e Paesi consumatori, ma non più produttori. I primi sono entrati nel ciclo economico della crescita, i secondi ne sono quasi usciti".

Se una simile filosofia prendesse piede in Occidente - avverte Gotti Tedeschi - "si rischia di poter quotare in borsa solo l'Empire State Building, la Tour Eiffel o il Colosseo".

(24 luglio 2010)

2010-07-22

Marcegaglia: "Evitare i conflitti pesanti"

Sacconi: "Riaprire subito tavolo tra le parti"

Polemiche sulla scelta di Fiat di produrre in Serbia la nuova monovolume. La presidente di Confindustria: "Importante perseguire l'investimento a Pomigliano". Bersani: "Annuncio sorprendente". Cgil parla di ritorsione sui lavoratori. Calderoli: "Battuta che non fa ridere"

Marcegaglia: "Evitare i conflitti pesanti" Sacconi: "Riaprire subito tavolo tra le parti"

ROMA - Fa discutere la scelta di Fiat di produrre la monovolume "L O' in Serbia 1. L'annuncio fatto da Sergio Marchionne ha subito scatenato reazioni e polemiche. La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha annunciato un confronto nei prossimi giorni con l'amministratore delegato della Fiat e ha sottolineato l'importanza di "perseguire l'investimento a Pomigliano". Il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino ha definito 'paradossale' la scelta dell'azienda che farà pagare al capoluogo piemontese la vicenda di Pomigliano, mentre il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha parlato di "annuncio sorprendente". Al sindaco di Torino ha fatto eco la Cgil, che vede nella decisione della Fiat una ritorsione contro lavoratori e sindacati.

Marcegaglia e Marchionne a confronto. Marcegaglia ha fatto sapere che incontrerà nei prossimi giorni l'amministratore delegato della Fiat. "Credo sia importante perseguire l'investimento a Pomigliano - ha affermato - e raggiungere i livelli di produttività richiesti. Credo che tutto questo vada fatto cercando di evitare comunque conflitti troppo pesanti, che non fanno bene a nessuno ma, dall'altra parte, senza mollare sugli obiettivi di produttività. Il tema è complesso". Nel corso dell'incontro con Marchionne "ci confronteremo un po' in generale", ha anticipato la presidente di Confindustria.

Sacconi: "Subito tavolo tra le parti". "Credo che si debba quanto prima riaprire un tavolo tra le parti per discutere l'insieme del progetto Fabbrica Italia, cioè quel progetto che vuole realizzare investimenti nel nostro Paese se accompagnati da una piena autorizzazione degli impianti secondo il modello già concordato a Pomigliano". Sono state queste le parole del ministro del Welfare e del Lavoro, Maurizio Sacconi. "Io credo - ha aggiunto il ministro - che ci sia modo di saturare i nostri impianti alla luce dei buoni risultati che il gruppo sta conseguendo negli ambiziosi progetti che si è dato. Certo - ha concluso - occorrono relazioni industriali cooperative perchè invece le attività che in qualche modo fermano la produzione, minoranze che bloccano la produzione, non incoraggiano questi investimenti".

Calderoli: "Fiat in Serbia? Battuta che non fa ridere". "La Fiat in Serbia? L'ipotesi ventilata da Marchionne non sta né in cielo né in terra. Se si tratta di una battuta, magari fatta per portare a più miti consigli i sindacati, sappia che comunque non fa ridere nessuno, diversamente sappia che troveranno da parte nostra una straordinaria opposizione". Il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli esprime il suo dissenso sulle parole di Marchionne: "Non si può pensare di sedersi a tavola, mangiare con gli incentivi per l'auto e gli aiuti dello Stato e poi - aggiunge - alzarsi e andarsene senza nemmeno aver pagato il conto".

Bersani: "Annuncio sorprendente. Subito un tavolo sulla questione". Una decisione, quella della Fiat, che Bersani, non comprende: "Non ho capito perché dice una cosa del genere: le condizioni che trova all'estero le trova anche a Torino. E' la città che in Italia ha più cultura industriale. Da un secolo a questa parte ha affrontato di tutto, da problemi organizzativi a crisi industriali. La vicenda merita un chiarimento. Non si può fare spallucce. Del resto la Fiat si chiama Fabbrica italiana automobili Torino. Il punto di partenza resta questo". E invita la convocazione immediata di un tavolo: ''Chi può convochi subito un tavolo. Non pretendo che sia il ministro ad interim, in tutt'altre faccende affaccendato - ha aggiunto - è nel frutteto alle prese con le mele marce...''. Per Bersani un tema rilevante come quello della Fiat deve essere affrontato in modo serio e approfondito e non con "dichiarazioni o scambi di battute. C'è in gioco - ha sottolineato - qualcosa di sostanziale. Non avere aperto un tavolo sulle questioni poste da Fiat e sul tema dell'indotto sta portando alla dispersione delle risorse industriali del Paese''. E con l'occasione, ha aggiunto, ''lo vogliamo fare uno straccio di ministro dello Sviluppo?''

Chiamparino contro Marchionne: "Scelta paradossale". Una scelta, quella di trasferire parte della produzione Fiat in Setrbia, che il sindaco di Torino definisce 'paradossale'. Chiamparino, in un'intervista 2 pubblicata nell'edizione torinese del quotidiano La Repubblica, giudica "davvero paradossale" la stiauzione che si determinerebbe "se fossero i lavoratori e la città di Torino a pagare le conseguenze della vicenda di Pomigliano".

La protesta di Cgil: "Ritorsione contro i lavoratori". "La scelta di spostare in Serbia la produzione prevista nello stabilimento di Mirafiori, e le motivazioni addotte, sembrano confermare una linea basata sulla ritorsione nei confronti del sindacato e dei lavoratori, in continuità con il clima determinato dai recenti licenziamenti individuali". In una nota la segreteria nazionale della Cgil esprime "preoccupazione per la continua indeterminatezza nelle decisioni che assume la Fiat sul futuro delle produzioni negli stabilimenti italiani. Se così fosse, si continua nel paradosso che vede il più importante gruppo industriale italiano registrare, pur nella crisi, importanti performance che però stridono con la necessità di serie relazioni sindacali basate sul confronto e il rispetto reciproco". "Non vorremmo - conclude la segreteria confederale Cgil - che le azioni messe in campo contro il sindacato e i lavoratori servissero per giustificare scelte più gravi di disimpegno negli stabilimenti italiani".

Per Giorgio Cremaschi della Fiom, "le affermazioni di Marchionne sono gravissime e confermano tutti i giudizi che abbiamo espresso in questa fase. La Fiat in realtà si prepara a chiudere Mirafiori e a dismettere l'Italia".

Fim Cisl: "La Fiat affronti le sfide". Una decisione in contrasto con i programmi che prevedevano la futura produzione Fiat in un sito italiano. Così Bruno Vitali, segretario nazionale della Fim Cisl commenta l'annuncio di Marchionne: ''Il piano industriale Fiat del 21 aprile scorso - afferma Vitali - prevede lo sviluppo di alcuni dei nuovi modelli senza indicarne ancora il sito di produzione. Su questo punto è pertanto necessario avviare al più presto un chiarimento ed un confronto con la Fiat. La Fim ha dimostrato di essere in grado di affrontare concretamente le questioni della flessibilità, della competitività, del lavoro". "Fiat affronti le sfide - conclude Vitali - dando maggior credito al sindacato che contratta davvero, senza fare di tutta l'erba un fascio. E' altresì necessario che le informazioni riguardanti il lavoro ed il futuro di tantissimi lavoratori non siano usate per fare speculazione politica o sindacale ma vengano trattate con grande attenzione da tutti i soggetti interessati. Strumentalizzazioni sulle spalle dei lavoratori non sono accettabili da parte di nessuno''.

Bresso: "Divisione del sindacato ha brutte conseguenze". Di 'ritorsione' parla anche l'ex presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso: "La scelta di spostare la produzione prevista dello stabilimento di Mirafiori in Serbia è la conseguenza di un obiettivo perseguito da tempo dal governo di divisione del fronte sindacale. L'azienda - prosegue la Bresso - sembra seguire una linea basata sulla ritorsione nei confronti dei sindacati e dei lavoratori, facendo ricadere le conseguenze di Pomigliano su Torino e Mirafiori. A pochi mesi dalla presentazione del progetto 'Fabbrica Italia' mi auguro - conclude - che questo non rappresenti il definitivo abbandono degli impegni assunti sul nostro Paese ed in particolare su Torino ed il Piemonte".

I manager serbi: "Rispettati gli accordi". Grandissimo risalto, oggi, sui maggiori quotidiani di Belgrado alla notizia che dell'inizio del 2012 Fiat produrrà in Serbia nuove versioni dei modelli Fiat Idea e Lancia Musa. Una notizia che ha provocato immediatamente reazioni positive da parte del management serbo dello stabilimento di Kragijevac. "La decisione di Fiat di produrre qui questi due nuovi modelli - affermano i manager serbi del sito produttivo - conferma che vengono applicati tutti gli accordi stipulati con i partner italiani". Anche la stampa locale dà grande rilievo alla notizia. Sulla prima pagina sotto titolo 'Fiat ha scelto i modelli', il quotidiano Blic scrive per esempio che la fabbrica Fiat Automobili Srbija a Kragijevac (Serbia centrale) produrrà due monovolumi classe 'L 0'. Le nuove macchine saranno realizzate sulla piattaforma della 'Punto Evo', con diversi motorizzazioni e con versioni a cinque o sette posti. Annualmente si produrranno tra 160 e 200 mila macchine". Esperti di Fiat sono arrivati ieri a Kragujevac e si sono messi al lavoro per la realizzazione di una nuova ala dello stabilimento, proprio in funzione della messa in produzione dei nuovi modelli. L'investimento Fiat dovrebbe aggirarsi attorno agli 800 milioni di euro.

(22 luglio 2010)

 

 

 

FIAT

"Produrremo in Serbia la monovolume

con sindacati più seri si faceva a Mirafiori"

Intervista a Marchionne: dopo lo scorporo è vicina la fine del tunnel. Abbiamo avuto un trimestre eccezionale. Senza il problema Pomigliano, avremmo puntato sull'Italia. Dobbiamo poter produrre senza rischi di interruzioni

di SALVATORE TROPEA

"Produrremo in Serbia la monovolume con sindacati più seri si faceva a Mirafiori" Sergio Marchionne

DETROIT - C'è un investimento da un miliardo di euro pronto per la Serbia. A finanziarlo saranno la Bei per 400 milioni, il governo di Belgrado per 250 e al resto provvederà la Fiat. Il nuovo insediamento del Lingotto nella ex Jugoslavia partirà subito e sarà destinato alla produzione della L0, un monovolume previsto in due versioni e in 190 mila unità all'anno, che sostituirà la Multipla, la Musa e l'Idea che attualmente vengono prodotte a Mirafiori. "Se non ci fosse stato il problema Pomigliano la L0 l'avremmo prodotta in Italia" dice Sergio Marchionne. E stupisce i consiglieri e anche gli analisti della conference call. Inevitabile la domanda che arriva da più parti: e a Mirafiori che cosa si farà? "A Mirafiori faremo altro, ci stiamo pensando".

Nella quiete estiva del quartier generale della Chrysler, adagiato nel verde di Auburn Hills, poco lontano da Lago Michigan, il cda del Lingotto chiamato ad approvare i conti del secondo trimestre 2010 consacra il successo dell'alleanza americana, "senza la quale non sarebbe stata neppure pensabile l'operazione dello spin-off e la nascita delle due Fiat" dice il presidente John Elkann. Ma rimanda subito all'Italia e al pasticcio di Pomigliano d'Arco, costringendo Marchionne a rispondere a una serie di domande che sembrano infastidirlo ma non al punto da fargli cambiare strategia. A cominciare da quella sulla fabbrica serba di Kragujevac.

Perché lì e non in Italia la futura L0?

"Ci fosse stata serietà da parte del sindacato, il riconoscimento dell'importanza del progetto, del lavoro che stiamo facendo e degli obiettivi da raggiungere con la certezza che abbiamo in Serbia la L0 l'avremmo prodotta a Mirafiori. Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti sugli impianti italiani: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell'attività".

Insomma è questo un effetto indotto di Pomigliano? Potrebbe voler dire che saranno riviste le decisioni prese per lo stabilimento campano?

"A Pomigliano abbiamo deciso di andare avanti e lo faremo con i sindacati che hanno scelto di condividere la responsabilità di fare in modo che la fabbrica sia governabile. Pomigliano è un work in progress, abbiamo scelto di investire 700 milioni e se non funzionerà abbiamo altre alternative non in Italia. Noi vogliamo restare competitivi nel settore dell'auto in un posto dove ci consentono di farlo. Dico questo con tutta la calma possibile e continuo a stupirmi delle interpretazioni che vengono date alle mie parole. Dire che non mi interessa la sorte dei dipendenti è una grandissima cavolata. Comunque, non duplicheremo Pomigliano, ma decideremo impianto per impianto. Dobbiamo, soprattutto, convincere i sindacati della necessità di modernizzare i rapporti industriali in Italia".

Ma se alla rottura di Pomigliano si aggiunge la questione del premio di produzione e i licenziamenti, non si può continuare a pensare che i rapporti siano destinati a migliorare.

L'amministratore delegato del Lingotto non sembra esserne convinto: "Si è creata l'idea che io ce l'abbia con i dipendenti. Questo non è vero, la Fiat non è fatta solo da chi si oppone a Pomigliano. C'è l'appartenenza all'azienda che è importante. Basti guardare al rapporto che c'è qui a Detroit, nella casa Chrysler di cui oggi noi siamo ospiti. Quanto al premio, è curioso notare come l'unica gente che insiste è quella che non ha guadagnato un soldo. L'Italia è l'unico paese nel quale il gruppo ha perduto soldi. Questo nessuno se lo chiede. Nessuno si chiede perché certi discorsi devono andare bene per alcuni e non per altri. E perché si debba tollerare che una persona dice di dover andare a portare la figlia dal medico e poi va a scioperare. Questo è offensivo per l'azienda e non posso tollerarlo".

La nascita delle due Fiat. E' il momento giusto?

"E' cominciata la fase di avvicinamento alla fine del tunnel. Alla fine del 2011 Fiat sarà al 35 per cento di Chrysler, società che entro l'anno prossimo contiamo di riportare in Borsa". Marchionne fa capire di non avere rimpianti per la Opel ma è sul tavolo ha tanti dossier a cominciare da uno sulla Cina che potrebbe andare in porto in autunno. A soddisfarlo nel frattempo sono i conti del Lingotto: "È stato un trimestre eccezionale per il gruppo, ha superato quasi tutte se non tutte le attese del mercato".

Andiamo dunque verso una Fiat Auto e una Fiat Industrial?

"E' quello che stiamo facendo. Entro il primo gennaio 2011, tutti gli azionisti avranno due titoli al posto di quello vecchio posseduto e con gli stessi diritti di prima ma in due società. Il dividendo 2010 verrà pagato regolarmente con riferimento alla vecchia Fiat. E ci sono già otto banche che ci danno un prestito di 4 miliardi destinati a ripagare Fiat dei finanziamenti per la nuova società FI".

Lo spin off è un meccanismo al quale Marchionne tiene parecchio perché lo aiuta, come ha ripetuto ieri, a costruire una Fiat sempre più internazionale in un mondo nel quale la grande risacca dell'industria dell'auto da lui annunciata due anni fa, ancora non è finita. "Penso che ci sarà un altro giro di aggregazioni tra quattro cinque anni e coinvolgerà anche Fiat".

(22 luglio 2010)

 

 

 

 

2010-07-10

L'ACCORDO

La Panda resta a Pomigliano

via all'intesa Fiat-Cisl-Uil

Il piano sarà attuato. Fiom: logica autoritaria. Proteste a Mirafiori per il mancato premio aziendale e a Melfi per tre operai sospesi

di STEFANO PAROLA

La Panda resta a Pomigliano via all'intesa Fiat-Cisl-Uil

TORINO - A mezzogiorno Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti escono dalla palazzina del Lingotto e annunciano sorridenti: "Abbiamo ratificato l'intesa: la Panda si farà a Pomigliano. È una giornata storica". Hanno incontrato l'ad di Fiat, Sergio Marchionne, assieme alle quattro sigle di categoria che hanno sottoscritto l'accordo sullo stabilimento campano. A pochi chilometri di distanza, più di mille operai di Mirafiori hanno appena incrociato le braccia e sono scesi in strada a protestare: vogliono che l'azienda saldi il premio aziendale.

Succede tutto a Torino, in contemporanea. Nel suo quartier generale la Fiat dà ufficialmente il via al piano "Fabbrica Italia". Il presidente John Elkann sottolinea: "La decisione di procedere con gli investimenti è un importante segnale di fiducia. Significa che crediamo nell'Italia e intendiamo fare fino in fondo la nostra parte". E aggiunge: "Molte cose stanno cambiando intorno a noi, e oggi può essere l'inizio di una fase completamente diversa: il successo dipenderà da quanto ciascuno saprà essere protagonista di questo cambiamento".

Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, saluta una decisione "altamente significativa" che dimostra una "capacità delle parti sociali di adattarsi reciprocamente che il governo è impegnato a promuovere". E tra i sindacati è guerra aperta. A partire da quelli confederali. Per due sigle, Cisl e Uil, che gioiscono, c'è un segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, furente: "La decisione di incontrare solo due sigle è un fatto senza precedenti da parte di Fiat. Ognuno può incontrare chi vuole, ma è sbagliato scegliersi gli interlocutori al semplice scopo di farsi dare ragione. Questo apre un problema formale nei rapporti tra noi e la Fiat". Poi attacca: " Marchionne parla di un "necessario sforzo collettivo" e poi incontra solo una parte dei sindacati".

Lo stesso accade a livello di categoria. I leader di Fim e Uilm, Giuseppe Farina e Rocco Palombella, esultano, mentre il numero uno della Fiom, Maurizio Landini, sottolinea come la scelta dell'accordo separato fatta da Fiat possa "aprire la strada alla demolizione del contratto nazionale e a un peggioramento delle condizioni di lavoro". Poi Landini parla di "qualcosa che non torna nei comportamenti del Lingotto di questi giorni".

Il riferimento è ai tre operai di Melfi (tra cui due delegati Fiom) sospesi da Fiat per aver interrotto un carrello robotizzato durante un corteo interno. Ma anche alla mancata erogazione del saldo del premio di risultato, quella per cui ieri i dipendenti di Mirafiori e della Powertrain Stura sono scesi in strada a protestare. Di solito arriva a luglio, ma l'azienda non ha ancora fatto il calcolo. Nel 2008 furono 1.300 euro, nel 2009 solo 600 e ora i sindacati temono che il Lingotto non metta nulla sul piatto. Se ne parlerà il 15 in un incontro a Roma. Anche il segretario piemontese della Fiom, Giorgio Airaudo, vede un'analogia: "Temo che si stia facendo la stessa cosa con il premio e con Pomigliano: ma con queste imposizioni rischiamo solo l'aumento del conflitto sociale".

(10 luglio 2010)

 

 

 

 

Telecom, sindacati: allarme per 3.700 esuberi

Sacconi: "Più difficile il dialogo sociale"

Inizia la procedura per licenziamenti programmati nel triennio 2010-2012. Slc-Cgil: "Comportamento vergognoso". Il ministro del Lavoro: "Da governo invito a evitare azioni unilaterali"

Telecom, sindacati: allarme per 3.700 esuberi Sacconi: "Più difficile il dialogo sociale"

MILANO - "Telecom Italia aprirà da lunedì le procedure per 3.700 esuberi al 30 giugno 2011". L'allarme arriva dal segretario generale della Fistel-Cisl, Vito Antonio Vitale che aggiunge: "siamo stati avvisati ieri, mentre era in corso lo sciopero nazionale, e le lettere per l'avvio della procedura ci arriveranno lunedì". Una manovra che coinvolge, spiega una nota del segratario nazionale di Slc-Cgil, Alessandro Genovesi, più della metà dei licenziamenti programmati per il triennio 2010-2012, che sono in totale 6.822. Secondo Genovesi si tratta di "un comportamento vergognoso da parte di un'azienda che ha registrato più di 1,5 miliardi di euro di guadagni netti, che ha già circa mille lavoratori in contratto di solidarietà e che continua a remunerare a peso d'ora dirigenti e manager".

La procedura prevista dalla legge che regola i licenziamenti collettivi dà 75 giorni ai sindacati per discutere con l'azienda e per chiedere una riduzione del numero degli esuberi o il ricorso a misure alternative come la cassa integrazione o la messa in mobilità. "Come ha ricordato nei giorni scorsi il ministro Sacconi è auspicabile che dopo lo sciopero - sostiene Vito Antonio Vitale - ci sia un confronto con l'azienda: noi siamo disponibili alla trattativa, speriamo che ci sia la stessa volontà da parte del gruppo telefonico".

Sacconi: "Più difficile il dialogo sociale". "Se confermate le indiscrezioni di fonte sindacale, il Gruppo Telecom sarebbe intenzionato a licenziamenti destinati ovviamente a rendere più difficile il necessario dialogo sociale". Così il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi ha commentato le notizie secondo cui il gruppo avrebbe intenzione di tagliare 3.700 posti. "Il governo ha sempre invitato le imprese ad evitare azioni unilaterali nella ricerca del più ampio consenso possibile su percorsi che possono giustificare razionalizzazione dei costi solo se collegati a significativi investimenti", ha concluso Sacconi.

(10 luglio 2010)

 

2010-07-04

POMIGLIANO

Fiom a Fiat: "Saggio riaprire trattativa"

E Marchionne elogia il sindacato Usa

"Se il Lingotto toglie i punti che vanno contro contratto nazionale, legge e Costituzione, siamo pronti" dichiara il segretario Landini. Marchionne al Wall Street Journal: "Uaw (metalmeccanici Usa) ha capito: staremo bene insieme fino a quando saremo d'accordo sulla necessità di essere competitivi"

Fiom a Fiat: "Saggio riaprire trattativa" E Marchionne elogia il sindacato Usa Sergio Marchionne

ROMA - Fiom chiama Fiat. "Hanno fatto un accordo separato e un referendum e c'è stato un esito che, mi pare in modo chiaro, dica che esistono elementi di disagio, di malessere tra i lavoratori. Senza consenso le fabbriche non funzionano. E' un atto di saggezza riaprire il tavolo su Pomigliano". Lo ribadisce Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, sigla sindacale protagonista del braccio di ferro con il Lingotto sul nuovo accordo per lo stabilimento campano, accettato da Fim, Uilm, Fismic e Ugl.

"C'è bisogno di fare una trattativa vera, senza deroghe e senza che i diritti vengano lesi", aggiunge Landini, sottolineando che il Lingotto può applicare i 18 turni anche ricorrendo al contratto nazionale. "Se Fiat vuole fare un accordo che abbia il consenso di tutti, sindacati e lavoratori - sostiene il numero uno dei metalmeccanici Cgil - deve riaprire la trattativa. E se la Fiat riapre il tavolo di trattativa e toglie i punti che derogano al contratto nazionale e che vanno contro la legge e la Costituzione, noi siamo pronti. Se deciderà di andare avanti così, sarà un'assunzione di responsabilità sua".

Fiom chiama Fiat. Marchionne risponde, ma alle domande del Wall Street Journal. A cui esprime l'apprezzamennto per il sindacato americano. "I leader del Uaw (United Auro Workers, i metalmeccanici Usa, ndr) hanno capito completamente la nostra situazione - dice l'amministratore delegato di Fiat e Chrysler - Staremo bene insieme fino a quando saremo d'accordo sulla necessità di essere l'impresa più competitiva. Finché non si dimostrerà sbagliato, continueremo a lavorare con loro".

Marchionne parla anche di industria automobilistica e ripresa mondiale. "Chiedendo scusa a Karl Marx - sostiene dalle pagine del quotidiano economico - la ripresa economica è l'oppio delle industrie che non funzionano. Il grande pericolo è di ricadere ancora una volta in errore e confondere una ripresa economica con un più solido modello di business". "Nell'industria dell'auto - spiega Marchionne - siamo come alcolisti: quando abbiamo accesso alla bottiglia guariamo. Poi torniamo a esagerare con l'incompetenza manageriale, l'intransigenza sul lavoro e altre brutte abitudini. Ma poi torniamo di nuovo a secco. La chiave è quella di continuare sulla strada della disciplina, dell'umiltà e del rigore quando tornano i tempi buoni. E' questo il test della nostra capacità di sopravvivenza".

(03 luglio 2010)

 

 

 

 

2010-06-23

FIAT

Pomigliano, il plebiscito non c'è stato

Fiat: "Lavoreremo con i sindacati firmatari"

I favorevoli sono la maggioranza (63%), ma i numeri non sono quelli auspicati. "Impossibile trovare un'intesa con chi ci ostacola con argomentazioni pretestuose". Bonanni minaccia: niente scherzi e reagiremo con forza. Fiom pronta a trattare. Marcegaglia: "C'è un sindacato che non capisce"

Pomigliano, il plebiscito non c'è stato Fiat: "Lavoreremo con i sindacati firmatari"

POMIGLIANO D'ARCO (Napoli) - Il sì vince ma non sfonda al referendum tra gli operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco: il 62,2% dei lavoratori ha dato il proprio consenso all'intesa siglata lo scorso 15 giugno 1 tra l'azienda e i sindacati, eccetto la Fiom. Ma non c'è stato alcun plebiscito, come sottolineano i metalmeccanici della Cgil da sempre contrari. E ora sia la Fiat che la fabbrica campana devono fare i conti con il peso che, sull'immediato futuro, avrà quel 36% raggiunto dal fronte del no. Anche se al momento viene manifestata sì disponibilità, ma solo a discutere con i sindacati favorevoli all'accordo, non con i contrari: "L'azienda lavorerà con le parti che si sono assunte la responsabilità dell'accordo al fine di individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri", ha comunicato la Fiat a metà giornata, a commento dei risultati del referendum su Pomigliano.

L'irritazione di Marchionne. Un segnale distensivo, che sembrerebbe scongiurare la paventata possibilità di voler rimettere in discussione il trasferimento della Panda dalla Polonia allo stabilimento campano. A Torino si è parlato di un Marchionne in sede dalle prime ore e particolarmente irritato, con la certezza che il livello dei "no", come aveva più volte paventato, rischi di rendere l'intesa in fabbrica ingestibile. La tentazione di non trasferire la produzione della Panda, dicono, è sempre più forte, mentre a Pomigliano verrebbero spostate produzioni più deboli. In particolare, diversi sindacalisti fanno notare che nel comunicato della Fiat sull'esito del referendum a Pomigliano non si parla specificamente del progetto per la Futura Panda, che non viene citata, ma più genericamente della "realizzazione di progetti futuri".

L'ipotesi newco. Visti i presupposti, tra le ipotesi che l'azienda continua a valutare c'è quella di una newco, che riassumerebbe con un nuovo contratto i singoli lavoratori disponibili ad accettare le condizioni poste dall'accordo, a questo punto magari per produrre altri modelli, che richiederebbero una diversa organizzazione del lavoro. Un'ipotesi questa che non piace ai sindacati perchè comporterebbe un ridimensionamento della forza lavoro attuale di Pomigliano.

Fiat non tratta con Fiom. Quello che il comunicato della Fiat afferma decisamente a chiare lettere è l'intento di non cedere neanche di un millimetro alle richieste della Fiom, con la quale non intende trattare in alcun modo: "La Fiat ha preso atto della impossibilità di trovare condivisione da parte di chi sta ostacolando, con argomentazioni dal nostro punto di vista pretestuose, il piano per il rilancio di Pomigliano".

Marcegaglia: "C'è un sindacato che non comprende le sfide". Un giudizio altrettanto duro nei confronti della Fiom viene espresso dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia: "Supportiamo e apprezziamo la posizione della Fiat e siamo soddisfatti che decida di andare avanti con i lavoratori e i sindacati che condividono quelle scelte. Ribadiamo ancora una volta che c'è un sindacato che non comprende le sfide che abbiamo davanti".

Fion disponibile alla trattativa. Al contrario, la Fiom manifesta la propria ampia disponibilità ad aprire una trattativa con l'azienda. "La Fiat si renda disponibile a riaprire la trattativa partendo però dal contratto nazionale. Noi siamo disponibili", afferma in una conferenza stampa convocata a metà giornata il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini.

Bonanni: "Ora niente scherzi". L'allarme successivo alla diffusione dei risultati dei refendum era stato talmente forte oggi da aver in meno di un'ora, in tarda mattinata, fatto salire i toni di uno dei maggiori sostenitori dell'intesa, il segretario della Cisl. Prima Bonanni esordisce con un "Ora niente scherzi", rivolto alla Fiat, che si trasforma velocemente in un "se l'intesa viene revocata lotteremo con la stessa forza con cui l'abbiamo sostenuta". Parole durissime di fronte alle quali vale a poco la rassicurazione del ministro Sacconi: "I patti saranno rispettati". Secco il commento di Bersani: "Adesso bisogna che la Fiat proceda senza tentennamenti, senza se e senza ma, e ribadisca l'investimento. Poi con calma, nei prossimi mesi, si trovi un modo di comprendersi meglio".

Il fronte sindacale. La Fim e la Uilm da un lato si dicono soddisfatte del successo ottenuto, dall'altro chiedono alla Fiat di ratificare presto l'accordo e, quindi, di tener fede agli impegni. Saranno quindi giorni altrettanto decisivi quelli che seguiranno al referendum di ieri. Il sindacato più critico all'accordo, la Fiom, anche stanotte ha ribadito il suo no all'intesa, ma secondo quanto sottolineato dal segretario della federazione napoletana, Massimo Brancato, "se la Fiat apre una trattativa e si predispone ad una mediazione che rispetti la costituzione, le leggi dello stato e il contratto, ci sediamo a un tavolo e siamo disponibili a fare un negoziato". Concetto ribadito da Susanna Camusso, che in ottobre succederà ad Epifani: "Si riapra il confronto. La partecipazione al voto era prevedibile come la prevalenza del sì. Chiediamo a Fiat di avviare l'investimento e la produzione della nuova Panda a Pomigliano e di riaprire la trattativa per una trattativa condivisa da tutti". E anche stamane dal segretario generale della Fiom Landini: "La Fiom vuole che l'investimento nello stabilimento venga fatto e che i problemi si risolvano immediatamente. Non vogliamo perdere tempo. I lavoratori vogliono l'investimento ma vogliono anche il rispetto dei propri diritti".

Il ministro del Lavoro. Sacconi afferma di non voler neanche prendere in considerazione l'ipotesi che la Fiat decida di chiudere lo stabilimento di Pomigliano per mancanza della maggioranza sperata dei sì all'accordo. E ne sottolinea la portata: "Il fatto che il 62% si pronuncia a favore è un dato molto importante, che sarebbe assurdo sminuire perché anche solo il 51%, sarebbe comunque una vittoria". Secondo il ministro, l'accordo non è una sconfitta della Fiom ma una vittoria del futuro dello stabilimento di Pomigliano. "Bisogna attuare accordi e verificare anche con coloro che non hanno firmato l'adesione a quel modello e io sono sicuro che nessuna organizzazione voglia sabotare il modulo di lavoro che l'unico può attrarre gli investimenti sulla Panda", ha concluso Sacconi. Un'indicazione che sembra andare in direzione opposta a quella annunciata dalla Fiat, che annuncia il dialogo solo con i sindacati del sì. Il ministro sottolinea inoltre come l'accordo di Pomigliano possa essere un modello non di per se stesso, ma perché valorizza il peso del contratto aziendale: "Solo l'azienda è il luogo dove le parti possono trovare l'accordo".

(23 giugno 2010)

 

 

 

Il testo dell'accordo su Pomigliano

* Pomigliano, referendum verso il sì Affluenza altissima, tensioni e accuse

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Pomigliano, referendum verso il sì Affluenza altissima, tensioni e accuse

* Pomigliano referendum

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Referendum a Pomigliano

1) Orario di lavoro

La produzione della futura Panda si realizzerà con l'utilizzo degli impianti di produzione per 24 ore giornaliere e per 6 giorni la settimana, comprensivi del sabato, con uno schema di turnazione articolato a 18 turni settimanali.

L'attività lavorativa degli addetti alla produzione e collegati (quadri, impiegati e operai), a regime ordinario e ferma la durata dell'orario individuale contrattuale, sarà articolata su tre turni giornalieri di 8 ore ciascuno a rotazione, secondo i seguenti orari:

•primo turno dalle ore 6.00 alle ore 14.00, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 13.30 alle ore 14.00;

•secondo turno dalle ore 14.00 alle ore 22.00, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 21.30 alle ore 22.00;

•terzo turno dalle ore 22.00 alle ore 6.00 del giorno successivo, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 5.30 alle ore 6.00.

La settimana lavorativa avrà pertanto inizio alle ore 6.00 del lunedì e cesserà alle ore 6.00 della domenica successiva.

Lo schema di orario prevede il riposo individuale a scorrimento nella settimana.

L'articolazione dei turni avverrà secondo lo schema di turnazione settimanale di seguito indicata: 1° - 3° - 2°

Il 18° turno, cadente tra le ore 22.00 del sabato e le ore 6.00 del giorno successivo, sarà coperto con la retribuzione afferente la festività del 4 Novembre e/o con una/due festività cadenti di domenica (sulla base del calendario annuo), con i permessi per i lavoratori operanti sul terzo turno maturati secondo le modalità previste dall'accordo 27 Marzo 1993 (mezz'ora accantonata sul terzo turno per 16 turni notturni effettivamente lavorati pari a 8 ore) e con la fruizione di permessi annui retribuiti (P. A. R. contrattuali) sino a concorrenza.

Le attività di manutenzione saranno invece svolte per 24 ore giornaliere nell'arco di 7 giorni la settimana per 21 turni settimanali. L'attività lavorativa degli addetti (quadri, impiegati e operai), a regime ordinario, sarà articolata su 3 turni strutturali di 8 ore ciascuno, con la mezz'ora retribuita per la refezione nell'arco del turno di lavoro a rotazione e con riposi individuali settimanali a scorrimento.

L'orario di lavoro giornaliero dei lavoratori addetti al turno centrale (quadri, impiegati e operai) va dalle ore 8.00 alle ore 17.00, con un'ora di intervallo non retribuito.

Per i quadri e gli impiegati addetti al turno centrale si conferma l'attuale sistema di flessibilità dell'orario di lavoro giornaliero (orario in entrata dalle ore 8 alle ore 9 calcolato a decorrere dal primo dodicesimo di ora utile). In alternativa, su richiesta delle Organizzazioni Sindacali nel caso in cui intendessero avvalersi della facoltà di deroga a quanto previsto dal D. Lgs. 66/2003 e successive modifiche e integrazioni in materia di riposi giornalieri e settimanali.

Lo schema di orario per lo stabilimento prevede, a livello individuale, una settimana a 6 giorni lavorativi e una a 4 giorni. L'articolazione dei turni avverrà secondo lo schema di turnazione settimanale di seguito indicata: 3° - 2° - 1°

Nella settimana a 4 giorni saranno fruiti 2 giorni consecutivi di riposo secondo il seguente schema:

- lunedì e martedì

ovvero

-mercoledì e giovedì

ovvero

-venerdì e sabato.

Preso atto delle richieste da parte delle Organizzazioni Sindacali dei lavoratori, al fine di non effettuare il 18° turno al sabato notte, lo stesso viene anticipato strutturalmente alla domenica notte precedente. Pertanto il riposo settimanale domenicale avviene dalle ore 22 del sabato alle ore 22 della domenica.

2) Lavoro straordinario

Per far fronte alle esigenze produttive di avviamenti, recuperi o punte di mercato, l'azienda potrà far ricorso a lavoro straordinario per 80 ore annue pro capite, senza preventivo accordo sindacale, da effettuare a turni interi.

Nel caso dell'organizzazione dell'orario di lavoro sulla rotazione a 18 turni, il lavoro straordinario potrà essere effettuato a turni interi nel 18° turno, già coperto da retribuzione secondo le modalità indicate al capitolo orario di lavoro, o nelle giornate di riposo.

L'Azienda comunicherà ai lavoratori, di norma con 4 giorni di anticipo, la necessità di ricorso al suddetto lavoro straordinario e terrà conto di esigenze personali entro il limite del 20% con sostituzione tramite personale volontario.

Con accordo individuale tra azienda e lavoratore, l'attività lavorativa sul 18° turno potrà essere svolta a regime ordinario, con le maggiorazioni del lavoro notturno: in tal caso non si darà corso alla copertura retributiva collettiva del 18° turno.

Il lavoro straordinario, nell'ambito delle 200 ore annue pro capite, potrà essere effettuato per esigenze produttive, tenuto conto del sistema articolato di pause collettive nell'arco del turno, durante la mezz'ora di intervallo tra la fine dell'attività lavorativa di un turno e l'inizio dell'attività lavorativa del turno successivo. In questo caso la comunicazione ai lavoratori del lavoro straordinario per esigenze produttive saranno effettuate con un preavviso minimo di 48 ore.

3) Rapporto diretti-indiretti

Con l'avvio della produzione della futura Panda e in relazione al programma formativo saranno riassegnate ai lavoratori le mansioni necessarie per assicurare un corretto equilibrio tra operai diretti e indiretti, garantendo ai lavoratori la retribuzione e l'inquadramento precedentemente acquisiti, anche sulla base di quanto previsto dall'art. 4, comma 11, Legge 223/91. Inoltre, a fronte di particolari fabbisogni organizzativi potrà essere richiesto ai lavoratori, compatibilmente con le loro competenze professionali, la successiva assegnazione ad altre postazioni di lavoro.

4) Bilanciamenti produttivi

La quantità di produzione prevista da effettuare per ogni turno, su ciascuna linea, e il corretto rapporto produzione/organico saranno assicurati mediante la gestione della mobilità interna da area ad area nella prima ora del turno in relazione agli eventuali operai mancanti o, nell'arco del turno, per fronteggiare le perdite derivanti da eventuali fermate tecniche e produttive.

5) Organizzazione del lavoro

Per riportare il sistema produttivo dello stabilimento Giambattista Vico alle migliori condizioni degli standard internazionali di competitività, si opererà, da un lato, sulle tecnologie e sul prodotto e, dall'altro lato, sul miglioramento dei livelli di prestazione lavorativa con le modalità previste dal sistema WCM e dal sistema Ergo-UAS.

Le soluzioni ergonomiche migliorative, derivanti dall'applicazione del sistema Ergo-UAS, permettono, sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo, nell'arco del turno di lavoro, che sostituiscono le attuali due pause di 20 minuti ciascuna. Sui tratti di linea meccanizzata denominati "passo - passo", in cui l'avanzamento è determinato dai lavoratori mediante il cosiddetto "pulsante di consenso", le soluzioni ergonomiche migliorative permettono un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo o individuale a scorrimento sulla base delle condizioni tecnico-organizzative, che sostituiscono le attuali due pause di 20 minuti ciascuna. Per tutti i restanti lavoratori diretti e collegati al ciclo produttivo le soluzioni ergonomiche migliorative permettono la conferma della pausa di 20 minuti, da fruire anche in due pause di 10 minuti ciascuna in modo collettivo o individuale a scorrimento.

Con l'avvio del nuovo regime di pause, i 10 minuti di incremento della prestazione lavorativa nell'arco del turno, per gli addetti alle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo e per gli addetti alle linee "passo-passo" a trazione meccanizzata con "pulsante di consenso", saranno monetizzati in una voce retributiva specifica denominata "indennità di prestazione collegata alla presenza".

L'importo forfetario, da corrispondere solo per le ore di effettiva prestazione lavorativa, con esclusione tra l'altro delle ore di inattività, della mezz'ora di mensa e delle assenze la cui copertura retributiva è per legge e/o contratto parificata alla prestazione lavorativa, per tutti gli aventi diritto, in misura di 0,1813 euro lordi ora. Tale importo è onnicomprensivo ed è escluso dal TFR, dal momento che, in sede di quantificazione, si è tenuto conto di ogni incidenza sugli istituti legali e/o contrattuali e pertanto il suddetto importo forfetario orario è comprensivo di tutti gli istituti legali e/o contrattuali.

6) Formazione

E' previsto un importante investimento in formazione per preparare i lavoratori e metterli in condizioni di operare nella nuova realtà produttiva. Le attività formative si svolgeranno contemporaneamente alla ristrutturazione degli impianti e saranno fortemente collegate alle logiche WCM. I corsi di formazione saranno tenuti con i lavoratori in cigs e le Parti convengono fin d'ora che la frequenza ai corsi sarà obbligatoria per i lavoratori interessati. Il rifiuto immotivato alla partecipazione nonché l'ingiustificata mancata frequenza ai corsi, oltre a dar luogo alle conseguenze di legge, costituirà a ogni effetto comportamento disciplinarmente perseguibile.

Non sarà richiesto a carico Azienda alcuna integrazione o sostegno al reddito, sotto qualsiasi forma diretta o indiretta, per i lavoratori in cigs che partecipino ai corsi di formazione.

7) Recuperi produttivi

Le perdite della produzione non effettuata per causa di forza maggiore o a seguito di interruzione delle forniture potranno essere recuperate collettivamente, a regime ordinario, entro i sei mesi successivi, oltre che nella mezz'ora di intervallo fra i turni, nel 18° turno (salvaguardando la copertura retributiva collettiva) o nei giorni di riposo individuale.

8) Assenteismo

Per contrastare forme anomale di assenteismo che si verifichino in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche, quali in via esemplificativa ma non esaustiva, astensioni collettive dal lavoro, manifestazioni esterne, messa in libertà per cause di forza maggiore o per mancanza di forniture, nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia significativamente superiore alla media, viene individuata quale modalità efficace la non copertura retributiva a carico dell'azienda dei periodi di malattia correlati al periodo dell'evento. A tale proposito l'Azienda è disponibile a costituire una commissione paritetica, formata da un componente della RSU per ciascuna delle organizzazioni sindacali interessate e da responsabili aziendali, per esaminare i casi di particolare criticità a cui non applicare quanto sopra previsto.

Considerato l'elevato livello di assenteismo che si è in passato verificato nello stabilimento in concomitanza con le tornate elettorali politiche, amministrative e referendum, tale da compromettere la normale effettuazione dell'attività produttiva, lo stabilimento potrà essere chiuso per il tempo necessario e la copertura retributiva sarà effettuata con il ricorso a istituti retributivi collettivi (PAR residui e/o ferie) e l'eventuale recupero della produzione sarà effettuato senza oneri aggiuntivi a carico dell'azienda e secondo le modalità definite.

Il riconoscimento dei riposi/pagamenti, di cui alla normativa vigente in materia elettorale, sarà effettuato, in tale fattispecie, esclusivamente nei confronti dei presidenti, dei segretari e degli scrutatori di seggio regolarmente nominati e dietro presentazione di regolare certificazione. Saranno altresì individuate, a livello di stabilimento, le modalità per un'equilibrata gestione dei permessi retribuiti di legge e/o contratto nell'arco della settimana lavorativa.

9) Cigs

Il radicale intervento di ristrutturazione dello stabilimento Giambattista Vico per predisporre gli impianti alla produzione della futura Panda presuppone il riconoscimento, per tutto il periodo del piano di ristrutturazione, della cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione per due anni dall'avvio degli investimenti, previo esperimento delle procedure di legge.

In considerazione degli articolati interventi impiantistici e formativi previsti nonché della necessità di mantenimento dei normali livelli di efficienza nelle attività previste, non potranno essere adottati meccanismi di rotazione tra i lavoratori, non sussistendone le condizioni.

10) Abolizione voci retributive

A partire dal 1° gennaio 2011 sono abolite le seguenti voci retributive, di cui all'accordo del 4 maggio 1987 Parte III (Armonizzazione normativa e retributiva):

-paghe di posto

-indennità disagio linea

-premio mansione e premi speciali.

Le suddette voci, per i lavoratori per i quali siano considerate parte della retribuzione di riferimento nel mese di dicembre 2010, saranno accorpate nella voce "superminimo individuale non assorbibile" a far data dal 1° gennaio 2011 secondo importi forfettari.

11) Maggiorazioni lavoro straordinario, notturno e festivo

Sono confermate le attuali maggiorazioni comprensive dell'incidenza sugli istituti legali e contrattuali.

12) Polo logistico di Nola

E' confermata la missione del polo logistico della sede di Nola.

Eventuali future esigenze di organico potranno essere soddisfatte con il trasferimento di personale dalla sede di Pomigliano d'Arco.

13) Clausola di responsabilità

Tutti i punti di questo documento costituiscono un insieme integrato, sicché tutte le sue clausole sono correlate ed inscindibili tra loro, con la conseguenza che il mancato rispetto degli impegni eventualmente assunti dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU ovvero comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate per la realizzazione del Piano e i conseguenti diritti o l'esercizio dei poteri riconosciuti all'Azienda dal presente accordo, posti in essere dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU, anche a livello di singoli componenti, libera l'Azienda dagli obblighi derivanti dalla eventuale intesa nonché da quelli derivanti dal CCNL Metalmeccanici in materia di:

-contributi sindacali

-permessi sindacali retribuiti di 24 ore al trimestre per i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali delle Organizzazioni Sindacali

ed esonera l'Azienda dal riconoscimento e conseguente applicazione delle condizioni di miglior favore rispetto al CCNL Metalmeccanici contenute negli accordi aziendali in materia di:

-permessi sindacali aggiuntivi oltre le ore previste dalla legge 300/70 per i componenti della RSU

-riconoscimento della figura di esperto sindacale e relativi permessi sindacali.

Inoltre comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le presenti clausole ovvero a rendere inesigibili i diritti o l'esercizio dei poteri riconosciuti da esso all'Azienda, facendo venir meno l'interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale ed inficiando lo spirito che lo anima, producono per l'Azienda gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente punto.

14) Clausole integrative del contratto individuale di lavoro

Le clausole indicate integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro al cui interno sono da considerarsi correlate ed inscindibili, sicché la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce infrazione disciplinare di cui agli elenchi, secondo gradualità, degli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari conservativi e ai licenziamenti per mancanze e comporta il venir meno dell'efficacia nei suoi confronti delle altre clausole.

(14 giugno 2010)

 

 

 

2010-06-22

FIAT

Pomigliano, referendum verso il sì

Affluenza altissima, tensioni e accuse

I dati definitivi sulla partecipazione degli operai: ha votato oltre il 95%. Bersani: "Mi aspetto che se c'è un sì la Fiat manderà avanti senza meno il suo progetto"

Pomigliano, referendum verso il sì Affluenza altissima, tensioni e accuse Una manifestazione di solidarietà a favore dei dipendenti di Pomigliano

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articolo

Il testo dell'accordo su Pomigliano

* Pomigliano referendum

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Referendum a Pomigliano

POMIGLIANO D'ARCO (Napoli) - Una giornata lunghissima, fatta di attese, speranze e qualche contestazione. I lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano sono andati in massa alle urne per il referendum sull'intesa fra il Lingotto e tutte le sigle sindacali 1, ad eccezione della Fiom. Su 4.881 dipendenti, i votanti sono stati 4.637. Alle 21 è iniziato lo spoglio delle schede che andrà avanti per almeno due ore.

Da un'indagine compiuta nel pomeriggio dai Cobas su 1.200 lavoratori (una sorta di exit poll) emergeva che avrebbe votato 'sì' finora il 60 per cento dei dipendenti, e 'no' il 40. Le operazioni di voto si sono svolte con qualche contestazione (FOTO 2). In particolare i Cobas hanno accusato diversi dipendenti di aver fotografato la scheda, e hanno imposto che si entri senza cellulare, per evitare che continui a succedere.

Bersani: "Se i lavoratori dicono sì, è un sì a quel che dice la Fiat". "Mi aspetto che se c'è un sì la Fiat manderà avanti senza meno il suo progetto", ha detto il segretario del Pd Pierluigi Bersani al termine della direzione nazionale. "Siamo davanti a un passaggio molto, molto delicato", ha sottolineato, "rispetto i lavoratori e voglio credere che anche a Fiat si riferirà a quell'accordo. Perché se i lavoratori dicono sì, è un sì a quel che dice la Fiat". Quanto ai timori che l'intesa apra una breccia destinata ad allargarsi, Bersani ha frenato. "L'investimento deve essere incoraggiato, ma non se ne faccia troppo sbrigativamente un modello", ha ribadito.

D'Alema: "Priorità che è la difesa del lavoro". È per il sì anche Massimo D'Alema: "Siamo di fronte a un accordo per salvare una realtà produttiva che altrimenti potrebbe essere compromessa: credo che ci sia una priorità che è la difesa del lavoro", dice l'esponente del Pd al termine di un incontro a Parigi con la leader del partito socialista francese (Ps) Martine Aubry. D'Alema ha tenuto a sottolineare che "quell'accordo contiene alcuni punti discutibili che non possono diventare principi di carattere generale".

"Delitto contro la Costituzione". Per il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto, quello che si sta consumando a Pomigliano è un delitto contro la Costituzione: "Indipendentemente dal risultato del referendum, che è una pistola puntata contro la tempia dei lavoratori, a Pomigliano - osserva in una nota - si sta consumando un vero e proprio delitto contro la Costituzione, i diritti di cittadinanza, senza alcun rispetto per gli uomini e le donne che lavorano". Secondo il leader del Pdci "la Fiat ha molti pesi sulla coscienza. Dai reparti-confino inventati da Valletta per punire i lavoratori più battaglieri, alla farsa della marcia dei 40mila quadri, gestita e finanziata dalla Fiat stessa, al godimento e sperpero dei finanziamenti pubblici di cui si è avvalsa come nessun altro imprenditore in Italia. Ma la vicenda di Pomigliano supera ogni limite e non sarà dimenticata".

La proposta della Fiat. La Fiat ha proposto di trasferire la produzione della nuova Panda dalla Polonia a Pomigliano, operazione che comporta un investimento di 700 milioni e che permetterebbe di tenere aperto lo stabilimento campano. Ha imposto però una serie di condizioni che i sindacati hanno accettato pur di salvaguardare i posti di lavoro, e la Fiom ha rifiutato ritenendole lesive dei diritti dei lavoratori e contrarie alle leggi vigenti.

Rischio chiusura. Se la maggioranza dei sì non dovesse essere quella voluta dall'amministratore delegato Sergio Marchionne, è possibile che la Fiat decida di chiudere lo stabilimento 2 e di riassumere i lavoratori che accetteranno un contratto sganciato dalle garanzie del precedente rapporto di lavoro, accettando tutte le condizioni imposte dall'azienda (si tratta del cosiddetto piano C 3). Marchionne ha chiarito infatti che l'azienda non procederà ad alcun investimento in mancanza di un'assoluta certezza del rispetto delle condizioni imposte.

Contro l'accordo di Pomigliano hanno scioperato questa mattina, dalle 9 alle 11, i lavoratori della Piaggio che già si erano fermati ieri pomeriggio dalle 15 alle 17 e avevvano raggiunto in corteo la palazzina degli uffici. Lo rende noto Giorgio Cremaschi della Fiom. "Ancora un grande sciopero - commenta Cremaschi - che dimostra che il consenso di Marchionne tra gli operai metalmeccanici è inferiore a quello di Lippi se la Nazionale giovedì perde".

(22 giugno 2010)

 

 

 

 

 

 

 

L'UNITA'

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http://www.unita.it/

2010-08-19

 

Cnr, dopo anni di lavoro e ricerca c'è solo il precariato. Per statuto

di Luciana Ciminotutti gli articoli dell'autore

Il capitale della conoscenza senza un futuro. Precari per tutta la vita. Succede al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) dopo l’approvazione del nuovo statuto che riguarda il destino professionale di quasi 4mila ricercatori. Dopo anni di apprendistato e contributi di sapere dati al principale organismo di ricerca pubblico nazionale e al Paese, una moltitudine di figure professionali che ruota intorno alla scienza italiana si ritrova alla porta senza alcuna possibilità di un contratto a tempo indeterminato. Il contestatissimo articolo 4 del nuovo statuto prevede che i vari contratti non standard (leggi precari) non possano superare in nessun caso i 10 anni nelle loro svariate forme: assegno di ricerca, borsa di studio, co.co.co. "Dopo sei fuori dall’ente, anche se sei un ricercatore valido e non di rado eccellente", spiega Mariangela Spera, ricercatrice precaria all’Istc (Scienze e tecnologie della cognizione).

E dire che dopo le proteste delle settimane scorse di ricercatori e sindacati, la norma è stata modificata e gli anni di precariato sono passati da 6 a 10. Altro cambiamento ottenuto con la mobilitazione, il conteggio del precariato entrerà in vigore con lo statuto, dunque non sarà retroattivo. Per Marinella Vicaretti, 36 anni, tecnologa al ministero dell’Ambiente, non è una vittoria: "Mi occupo di inquinamento atmosferico e sono precaria dal 2002, ora so che avrò altri 10 anni di precariato davanti e senza uno sbocco, mi dite che logica ha stare parcheggiati 20 anni in un ente?". "Noi – continua Vicaretti – avevamo chiesto lo stralcio di queste norme. Dunque no, non siamo soddisfatti". "Una cosa - aggiunge Spera - sarebbe stata progettare un limite alla precarietà in virtù di concorsi per il tempo indeterminato da fare in futuro, e una cosa è limitare la vita delle persone e dello stesso Cnr che con il continuo turn over vedrà sicuramente diminuire la qualità della ricerca".

Molto discussa è anche la norma che mette un rigido e invalicabile tetto di spesa per il personale. "Vogliono ridurre la pianta organica - dice ancora Spera - ma c’è a monte un progetto di svilimento della ricerca. Noi campiamo soprattutto sui progetti europei, siamo noi ricercatori a procacciare risorse al Cnr. D’ora in poi avendo meno persone e meno formate si vinceranno meno progetti europei e quindi arriveranno meno soldi nelle casse del Consiglio. E vogliono vendere questo statuto come un risparmio di risorse… Ci domandiamo come mai sia stato votato quasi dall’unanimità, persino dal presidente, quando è evidente che queste norme mortificano lo spirito e la natura dell’ente".

"I cambiamenti sono stati solo di facciata". Rosa Ruscitti, di Flc-Cgil, è lapidaria. "Noi chiedevamo di regolamentare il precariato per aiutare i giovani che si avvicinano alla ricerca. Invece ora non c’è modo di essere assunto a tempo indeterminato". Per questo le proteste non si fermeranno. Ora la questione è in mano alla Gelmini, che ha 60 giorni per convalidare lo statuto. "Cgil, Cisl e Uil scriveranno al ministro per chiedere ulteriori modifiche", conclude Ruscitti dando appuntamento a settembre sotto al Miur. "Il problema -ammette Vicaretti– è costruire forme di protesta visibili, se sciopera la ricerca per 3 giorni a chi interessa?".

18 agosto 2010

 

 

 

 

2010-08-04

Accordo sugli esuberi Telecom Saranno 3.900 tutti volontari

Accordo fatto sugli esuberi Telecom. Al termine di una maratona negoziale durata oltre venti ore, governo, azienda e sindacati (Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil e Ugl) hanno trovato la quadra e raggiunto un'intesa che prevede 3.900 uscite, tutte volontarie, contro gli oltre 6.800 esuberi previsti dal piano triennale. La vicenda, che era cominciata sotto i peggiori auspici a metà luglio con l'avvio delle procedure di licenziamento per 3.700 dipendenti, si conclude dunque in modo positivo e con la soddisfazione di tutte le parti in causa. Nessuno, infatti, verrà licenziato unilateralmente, così come sembrava all'inizio. I 3.900 che verranno invitati a lasciare l'azienda da qui alla fine del 2012 lo faranno solo su base volontaria: di questi, 3.700 sono 'nuovì esuberi, mentre 200 sono "rimanenze" del triennio 2008-2010.

L'accordo prevede poi una sorta di rete d'emergenza per i lavoratori meno tutelati, fatta di corsi di formazione per la ricollocazione professionale all'interno dell'azienda e di contratti di solidarietà: ne beneficeranno 1.100 lavoratori non coperti da ammortizzatori sociali, 450 dipendenti della controllata Ssc e 470 addetti del servizio di informazioni abbonati 1254, che si trovano già in queste condizioni e che usufruiranno di un rinnovo di due anni. È infine prevista la possibilità di riallocare i 40 lavoratori ex Tils nel gruppo. Nell'arco del triennio, inoltre, Telecom si impegna a non effettuare societarizzazioni o esternalizzazioni per le attività di Customer Operations, e nemmeno l'esternalizzazione di attività informatiche o di staff, comprese HR Services e SSC (cioè per il settore delle risorse umane e dell'informatica).

"L'accordo è un segnale di maturità da tutte le parti: sindacato, azienda e governo", ha commentato il viceministro alle Comunicazioni, Paolo Romani, che con Maurizio Sacconi era sceso in campo con la convocazione del tavolo all'indomani dell'invio delle prime lettere di licenziamento.

In una fase in cui non si contano gli accordi separati, quello su Telecom vede invece la firma di tutte le sigle. E proprio la forza dell'unità sembra essere stato l'elemento vincente: secondo la Cgil, infatti, "la forte tenuta unitaria del sindacato è stata fondamentale per il risultato raggiunto", mentre la Cisl parla di "grande conquista del sindacato". A giudizio della Uil l'intesa segna il ritorno a un "buon sistema di relazioni industriali" e l'Ugl parla di "accordo che rimette al centro il lavoratore". Per l'azienda, infine, l'ad Franco Bernabè ha dichiarato che "la firma di questo accordo, che realizza interamente i nostri obiettivi di efficienza previsti nel Piano, garantisce il rispetto e la tutela dei lavoratori".

04 agosto 2010

 

 

 

 

2010-07-29

Fiat, la Newco fuori da Confindustria. Disdetti accordi su permessi sindacali

Via libera a 'Fabbrica Italia Pomigliano', la newco registrata dalla Fiat il 19 luglio alla Camera di commercio di Torino. Il Lingotto ha comunicato ai sindacati firmatari dell'accordo per lo stabilimento di Pomigliano che da fine settembre i lavoratori saranno riassunti dalla nuova società.

È quanto riferiscono i sindacati di categoria al termine dell'incontro che si è svolto all'Unione industriali di Torino. 'Fabbrica Italia Pomiglianò, controllata da Fiat Partecipazioni che non fa parte di Confindustria. Nella newco confluiranno anche i circa mille lavoratori della Ergom, azienda dell'indotto Fiat.

Il segretario generale Fismic, Roberto Di Maulo. "Sono partiti tutti gli ordini degli investimenti - ha spiegato Di Maulo e ad agosto si procederà a ripulire l'area che dovrà ospitare la nuova lastratura per la Panda". Inoltre già da fine settembre la newco potrà riassumere il personale da Fiat Auto. Non ci saranno licenziamenti - ha aggiunto Di Maulo a questo proposito - il personale passerà da Fga alla newco". "Abbiamo richiesto - ha detto ancora - che prima che parta il nuovo investimento si definisca in maniera conclusiva la regolamentazione del nuovo rapporto di lavoro collettivo".

La casa automobilistica torinese ha comunque dato formale disdetta degli accordi sul monte ore di permessi sindacali. La decisione avrà effetti a partire dalla fine del 2010.

29 luglio 2010

 

 

 

Epifani: "Operazione pericolosa contro Confindustria e contro il sindacato"

di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore

Nessun passo avanti, nessuna apertura. Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, è molto deluso dall'incontro con Sergio Marchionne: "Ha ribadito le sue posizioni, al limite del ricatto. Se non fate quello che dico io me ne vado altrove perché la Fiat è un gruppo mondiale e posso scegliere dove fabbricare. Non ci sono cambiamenti nel suo diktat, né oggi, bisogna sottolinearlo, ci sono certezze sui volumi produttivi e sugli investimenti del gruppo in Italia. Resta tutto avvolto nell'incertezza ma la strada scelta dal Lingotto non conviene a nessuno, nemmeno all'azienda".

Epifani, la Cgil non condivide il piano Marchionne e così i nuovi modelli vengono spostati in Serbia.

"Non è così. Lo stesso Marchionne ha detto che il trasferimento in Serbia è stato deciso per una questione di tempi, perché Mirafiori non sarebbe stata pronta. La verità è che Marchionne continua a promettere investimenti che restano confusi, chiede una nuova organizzazione del lavoro, nuovi ritmi, deroghe alle leggi e al contratto nazionale ma poi non c'è la certezza di cosa produrranno le fabbriche italiane. L'incontro è stato deludente, non capisco l'ottimismo del governo, di Cisl e Uil. Il futuro degli stabilimenti italiani oggi è in dubbio. Né il governo né la Regione Piemonte sono riusciti a convincere Marchionne a fare un passo in avanti".

Fabbrica Italia, dice Marchionne, è un progetto aziendale, non un piano condiviso. Quindi: ci state o no?

"Se Fabbrica Italia è una proposta aziendale perché non farla diventare un progetto condiviso dai lavoratori, dai sindacati, dalle istituzioni, perché non renderla più forte con il consenso e la partecipazione di tutti? Ci sono le condizioni, se la Fiat vuole, di riaprire il negoziato e trovare un accordo ampio, su produzioni, organizzazione del lavoro, saturazione degli impianti. L'obiettivo principale della Cgil e della Fiom è di mantenere e di rafforzare l'industria dell'auto in Italia, di consentire alla Fiat di realizzare in sicurezza i suoi investimenti, di rendere più efficienti le fabbriche, di garantire i posti di lavoro. Noi ci stiamo e siamo disposti a dare il nostro importante contributo, nel rispetto della Costituzione, delle leggi dello Stato, dei contratti".

Ma Marchionne non ne vuole sapere di contratti e di tutto il resto. La Cgil si ostina su questi argomenti mentre Marchionne vuole uscire da Federmeccanica e denunciare il contratto nazionale di lavoro. Lui è già nel futuro, è "inarrivabile" come dice il Corriere della Sera...

"Marchionne sta compiendo un'operazione molto pericolosa che danneggia l'intero sistema delle relazione industriali. Uscire da Federmeccanica e derogare dal contratto vuol dire, prima di tutto, dare uno schiaffo alla Confindustria e alla signora Marcegaglia. Se la Confindustria non è in grado di far rispettare gli accordi ai suoi associati quale credibilità potrà avere con le controparti? Marchionne vuole davvero passare sopra tutto, distruggere anni di storia di relazioni industriali, vuole farla finita con i corpi intermedi di rappresentanza? È un rischio molto grave, soprattutto in un paese colpito da una crisi profonda, dove la tenuta del tessuto sociale è in forte pericolo".

Forse Marchionne, alla pari di Berlusconi, si accontenta di tenere la Cgil fuori dalla porta. Non le pare?

"Non voglio pensare che un gruppo importante come la Fiat possa ricercare la sistematica esclusione del più grande sindacato italiano. Sarebbe un gravissimo errore, perché fabbriche con migliaia di dipendenti e produzioni molto complesse non si governano trasformandole in caserme. La Cgil e la Fiom restano in campo con la piena disponibilità a negoziare e a trovare un accordo nell'interesse di tutti. Se, invece, la Fiat sceglierà un'altra strada ne prenderemo atto".

Il sindaco Chiamparino ha detto che il sindacato, e si riferiva alla Cgil e alla Fiom, non è stato all'altezza della sfida Fiat, che Mirafiori non può pagare per Pomigliano...

"Il giudizio di Chiamparino è sbagliato. Che cosa vuol dire, che cosa c'entra Pomigliano con Mirafiori? Il sindaco non ha capito che, comunque, la produzione di Torino sarebbe stata trasferita in Serbia, come ha detto lo stesso Marchionne? E poi bisogna chiarire una volta per tutte: se la politica, anche la sinistra, ritiene che un sindacato moderno sia quello che accoglie tutte le richieste delle imprese a partire dalla Fiat senza fare obiezioni, allora è bene ribadire che questo non è il modello di sindacato che appartiene alla Cgil. Forse il sindaco di Torino ritiene che la Cgil e la Fiom non siano abbastanza responsabili davanti a una sfida come quella della Fiat? Bene, invito lui e la Fiat a metterci alla prova".

La verità, comunque, è che di fronte a Fabbrica Italia la capacità di analisi e di risposta del sindacato e della politica, in particolare delle forze progressiste, sono state insufficienti, è stato impiegato un armamentario vecchio mentre Marchionne fa la parte del modernizzatore in maglioncino.

"Non c'è dubbio che ci siano difficoltà perché l'operazione Fabbrica Italia è ambiziosa e impegnativa per tutti. Ma vorrei aggiungere che la difficoltà più grande è quella di trovarsi di fronte non a disegno industriale, condivisibile o meno, ma a una filosofia del ricatto che ispira le trattative, o meglio: le comunicazioni ai sindacati, e sostanzialmente si basa su un solo principio".

Quale sarebbe questo principio?

"L'azienda è al centro di tutto, vado a produrre dove mi conviene e tutto il resto non conta. Vado dove gli operai costano meno e posso sfruttarli di più, dove i governi mi danno soldi e non mi fanno pagare le tasse. Marchionne, forse, è un po' troppo americano, per questo rischia di compiere gravi errori".

Se questo è il principio che ispira Marchionne, allora la Fiat in Italia durerà poco? Che idea si è fatto della strategia di Marchionne, dove sta andando?

"Il suo primo, principale fronte è l'America. Non ci sono dubbi. Deve riportare in Borsa la Chrysler, rimborsare il maxi-prestito e cercare di sfruttare la congiuntura positiva del mercato. Poi nel medio termine è possibile la fusione tra Fiat e Chrysler, speriamo che ci sia ancora spazio per l'Italia e per l'Europa. Per questo è importante oggi difendere e sviluppare una forte industria dell'auto in Italia".

Non teme che la linea dura di Marchionne possa far presa su altre imprese che affrontano pesanti ristrutturazioni?

"Penso che le imprese italiane non seguiranno questa strada che porterebbe dritti dritti alla balcanizzazione delle relazioni industriali dove comanda il più forte. Mi chiedo e chiedo alle aziende intelligenti: conviene buttare a mare un grande patrimonio di relazioni industriali per colpire momentaneamente lavoratori e sindacati, per fare la faccia dura? No, non credo che seguiranno Marchionne perché già oggi nel nostro paese grandi imprese italiane e multinazionali nella chimica, nel tessile, nell'industria degli occhiali, si accordano con il sindacato per ristrutturare le attività produttive al fine di restare in Italia e difendere l'occupazione".

Cosa succede adesso?

"Attendiamo di conoscere le scelte ufficiali di Marchionne, se esce da Confindustria, se denuncia il contratto, come e se manterrà gli impegni per le fabbriche Fiat in Italia. La Cgil e la Fiom sono pronte a riprendere il confronto per garantire all'azienda di raggiungere gli obiettivi ambiziosi che si è data. Se il governo non si limitasse, come ho detto, a fare il notaio ma mettesse in campo qualche idea di politica industriale darebbe un bel contributo. D'altra parte ricordo che tutta la partita Fiat iniziò a Palazzo Chigi, lì dovrebbe tornare".

29 luglio 2010

 

 

 

 

2010-07-28

La newco per Pomigliano c'è Oggi il tavolo con il governo

"Ci sono solo due parole che al punto in cui siamo richiedono di essere pronunciate una è sì, l'altra è no". Così l'Ad Fiat Sergio Marchionne al tavolo tra governo, azienda, sindacati ed enti localisulle prospettive del gruppo. "Sì vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana, no vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro".

"VOGLIAMO UN Sì O UN NO"

"Si vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana - ha proseguito - per darle la possibilità di competere. Non vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utili e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro". Marchionne ha poi precisato: "Se in Italia non è possibile contare sul fatto che chi assume un impegno lo porta avanti fino in fondo - con coerenza e con senso di responsabilità - dovremo andare altrove. Non ci sono alternative. Chi interpreta questa come una minaccia non ha la minima idea di che cosa significhi competere sul mercato. Siamo disposti - ha aggiunto - a farci carico di tutti gli investimenti necessari e ad assumerci il rischio di impresa che è collegato a un progetto così ambizioso. Non siamo disposti - ha concluso - a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda. Anche questo va considerato nel momento in cui si sceglie se dire sì o no a Fabbrica Italia".

FUORI DA CONFINDUSTRIA

La Fiat potrebbe lasciare Confindustria e disdettare il contratto di lavoro dei metalmeccanici, però solo alla sua scadenza fissata al 2012. Lo ha annunciato l'amministratore delegato Sergio Marchionne nel corso dell'incontro a Torino con i rappresentanti di Governo, enti locali e sindacati sottolineando che, tuttavia, l'argomento sarà affrontato a partire da domani nella riunione con le categorie dei metalmeccanici. "Si parla molto della possibilità che Fiat decida la disdetta dalla Confindustria e - ha detto - quindi dal contratto dei metalmeccanici alla sua scadenza. Sono tutte strade praticabili, di cui si discuterà domani al nuovo tavolo convocato con il sindacato nazionale". Marchionne ha aggiunto che "se è necessario siamo disposti anche a seguire queste strade ma - ha concluso - non è questa la sede per entrare nei dettagli".

Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, chiede alla Fiat di confermare tutti i numeri contenuti nel piano industriale e di garantire il pieno utilizzo di tutti i siti italiani. "Fabbrica Italia è un progetto importante - ha detto Sacconi secondo quanto riferiscono fonti presenti all'incontro a Torino - i numeri contenuti devono essere riconfermati. È giusto che Fiat faccia gli investimenti, garantendo il pieno utilizzo degli impianti".

CHIAMPARINO

Il piano industriale "sarebbe insostenibile se dovesse venire meno Mirafiori dal punto di vista sociale ed economico". È quanto sostenuto dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, secondo quanto si apprende, intervenendo al tavolo tra azienda, governo, sindacati ed enti locali, in corso presso la sede della regione Piemonte a Torino.

28 luglio 2010

 

 

 

Epifani: "Riaprire confronto con Fiom"

Sullo stabilimento di Pomigliano "la cosa migliore è riaprire un confronto con la Fiom". Ne è convinto il leader della Cgil Guglielmo Epifani arrivato a Torino per il tavolo tra Governo, Fiat, sindacati ed enti locali. "La cosa migliore prima di avventurarci su strade che non si sa dove possano portare è andare al confronto con la Fiom e lavorare per trovare una mediazione", ha detto Epifani.

28 luglio 2010

 

 

 

 

 

 

2010-07-27

Fiat, nasce la Newco per la fabbrica di Pomigliano

Nasce Fabbrica Italia Pomigliano, società iscritta al registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino e controllata al 100% da Fiat Partecipazioni. La società ha sede legale a Torino ed il capitale sociale è di 50mila euro.

Sergio Marchionne è presidente della società Fabbrica Italia Pomigliano Spa, sarà affiancato in Consiglio da Alessandro Baldi, Camillo Rossotto e Roberto Russo. La nuova società risulta essere stata iscritta al Registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino il 19 luglio scorso.

L'oggetto sociale della newco è "l'attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine può costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende".

Inoltre la società "può compiere le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o società, anche intervenendo alla loro costituzione".

La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5.000 lavoratori attuali della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo con i sindacati il 15 giugno, non firmato dalla Fiom.

27 luglio 2010

 

 

 

2010-07-25

Bonanni: "Marchionne non può giocare allo sfascio"

di Luigina Venturellitutti gli articoli dell'autore

L’unico segno visibile di disappunto, forse di delusione, mostrato dal leader Cisl sta in quel generico "amministratore delegato". Raffaele Bonanni non nomina mai per nome Sergio Marchionne, il manager a cui ha creduto per il rilancio di Pomigliano, e che ora toglie a Mirafiori la produzione della nuova monovolume. Ma quando parla si mostra fiducioso, al ridimensionamento del cuore industriale del Lingotto dice di non credere.

Segretario, si aspettava o temeva una simile decisione della Fiat?

"Ho trovato singolare che l’amministratore delegato l’abbia annunciata a mezzo stampa, soprattutto in un momento di grande confusione come questo. Nel metodo, mi sarei aspettato più sobrietà".

E nel merito?

"Io non credo al ridimensionamento di Mirafiori. La Fiat è liberissima di portare la produzione della prossima monovolume in Serbia, a me può anche non importare, se sceglie lo stabilimento torinese per una produzione equivalente o addirittura più prestigiosa".

Per ora un’alternativa non c’è.

"Ed è questa l’unica cosa che andremo a chiedere al tavolo di mercoledì prossimo: la Fiat mantiene l’obiettivo di raggiungere in Italia la cifra di un milione e 400mila veicoli prodotti dagli attuali 600mila? In tal caso, quali sono questi veicoli e dove verranno realizzati?".

Al tavolo ci sarà anche il governo, che però non ha nulla da offrire, nemmeno un ministro dello Sviluppo economico quale interlocutore. Si è parlato anche di lei quale successore di Scajola.

"Che uno dei principali paesi industriali europei sia senza un ministro dello Sviluppo economico durante una crisi come quella attuale, è un fatto grave che si commenta da sé. Ma nessuno mi ha mai proposto di ricoprire la carica, né io ho alcuna intenzione di accettarla, visto che ho promesso alla Cisl che sarei rimasto fino all’ultimo giorno del mio mandato".

Intanto, però, l’inerzia dell’esecutivo sulla vicenda Fiat si fa sentire.

"Il primo danno di questa assenza di direzione è stata proprio la chiusura di Termini Imerese. Ancora aspettiamo le altre proposte per quel sito".

Sta sempre in piedi il famoso progetto Fabbrica Italia?

"Stiamo parlando di investimenti per 20 miliardi di euro da effettuare nei prossimi sei anni, che stabilizzeranno l’occupazione per almeno una ventina. Fino a qualche mese fa, queste erano le preoccupazioni degli interessati alla confusione: si sposterà negli Stati Uniti, si sposterà in Brasile, si sposterà in Polonia. Ma niente di tutto ciò è avvenuto".

Si riferisce alla Fiom e alla vicenda Pomigliano?

"Certo. Noi ci siamo presi le nostre responsabilità perché abbiamo bisogno di quell’investimento, anche come indicazione agli altri investitori nazionali e internazionali, magari intenzionati a lasciare il Paese. Senza investimento non c’è lavoro e senza lavoro non ci sono diritti. Mi viene in mente la vicenda Alitalia. Anche allora noi della Cisl ci prendemmo le nostre responsabilità per far nascere la nuova società, e proprio qualche giorno fa Air France ha annunciato 4mila licenziamenti".

Ma lei si fida ancora di un’azienda che su Pomigliano ha preteso ed ottenuto molto, ma poi ha deciso di andarsene in Serbia?

"L’amministratore delegato della Fiat non può prestarsi al gioco dello sfascismo".

Si riferisce sempre alla Fiom?

"Sì. Se venisse ridimensionato lo stabilimento di Mirafiori, non si capirebbe la logica Fiat, che presterebbe il fianco a chi gioca per far fallire gli investimenti sulla pelle dei lavoratori. Perché io non giudico altrimenti la Fiom, che ha fatto una discussione incomprensibile su Pomigliano e non so quali diritti costituzionali".

Veramente si trattava del diritto di sciopero.

"Nell’accordo non c’è alcun divieto di sciopero. Si dice solo di non favorire lo sciopero in determinate circostanze, durante gli straordinari nel diciottesimo turno, per consentire all’azienda di completare le proprie commesse".

Ma lei crede davvero a quanto ha detto Marchionne? Che porterà la monovolume in Serbia a causa del comportamento di un sindacato sgradito, "poco serio" per la precisione, a Pomigliano?

Questo preferisco sentirmelo dire mercoledì dall’azienda stessa. Nel gioco del caleidoscopio dei media, una virgola può diventare un poema. Ma dovesse ripetere una simile spiegazione, sarei preoccupato. Sarebbe una spiegazione senza fondamento, perché altre forze serie e maggioritarie si sono prese la responsabilità di quell’accordo".

Per Pomigliano si parla anche di una "newco" dove riassumere i dipendenti favorevoli all’accordo e dove non applicare il contratto nazionale dei metalmeccanici.

"La newco non è una novità, anche lo stabilimento di Melfi ha una ragione sociale diversa da quella della Fiat, non ci sarebbe alcun problema, purchè venissero riassunti tutti gli attuali dipendenti, nessuno escluso. Ma noi non accetteremo mai di disdire il contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Ci è costato molto impegno raggiungerlo, ed ha prodotto buoni risultati".

La Fiat, però, sembra intenzionata a scriversi da sola "la nuova cultura del lavoro", come l’ha chiamata l’Herald Tribune.

La globalizzazione impone una svolta nelle relazioni industriali. Il sindacato non può limitarsi all’antagonismo spingendo le aziende internazionali a fuggire in posti più convenienti, ma deve puntare a relazioni partecipative, che responsabilizzino i lavoratori nelle imprese. In questo modo si costruiranno anche più forti personalità democratiche, perchè il populismo si fonda nella verticalizzazione del potere. Mi piacerebbe che di questo discutessero le forze progressiste del Paese, invece di limitarsi al ruolo di fiamme fatue dei cimiteri".

La strada delle relazioni partecipative con le imprese, però, conduce sempre più lontano dalla Cgil.

"Noi stiamo aspettando la Cgil. Il nostro obiettivo politico é riavvicinarci, ma con una strategia, non con la testa rivolta all’indietro ogni volta che una realtà disordinata la prende per la giacca. Il problema è la Fiom e la Cgil dovrebbe risolverlo. In fondo, firma tutti i contratti di categoria tranne quello dei metalmeccanici. Mi sembra che ci siano le condizioni perché rimetta in discussione la decisione presa due anni fa sull’accordo interconfederale".

25 luglio 2010

 

 

 

2010-07-22

Fiat, Marchionne: produrremo in Serbia. Bersani: è un annuncio sorprendente

La Fiat produrrà la nuova monovolume "Lo" in Serbia. Il nuovo insediamento partirà subito e prevede un investimento complessivo da un miliardo di euro, di cui 350 milioni circa dal Lingotto (400 milioni dalla Bei, 250 da Belgrado), per una produzione di 190mila unità l'anno che sostituirà la "Multipla", la "Musa" e la "Idea" che attualmente vengono fatte a Mirafiori.

"Produrremo in Serbia la monovolume, ma con sindacati più seri si faceva a Mirafiori", sostiene l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, in un'intervista a un quotidiano nazionale. "Senza il problema di Pomigliano - spiega Marchionne - avremmo puntato sull'Italia. Dobbiamo poter produrre senza rischi di interruzioni". E aggiunge: "A Pomigliamo abbiamo deciso di andare avanti e lo faremo coi sindacati che hanno scelto di condividere le responsabilità... Dire che non m'interessa la sorte dei dipendenti è una grandissima cavolata. Comunque non duplicheremo Pomigliano, ma decideremo impianto per impianto. Dobbiamo soprattutto convincere i sindacati di modernizzare i rapporti industriali in Italia". L'ad ribadisce che la Fiat "non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti sugli impianti italiani: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell'attività".

Le parole di Marchionne hanno scatenato la reazione dei sindacati e della politica. "Marchionne annuncia la chiusura di Mirafiori e tutti i suoi attacchi al sindacato e ai lavoratori sono solo una copertura e un pretesto per cancellare la sostanza: la Fiat non è più italiana e disinveste dall'Italia", ha detto il Presidente della Fiom, Giorgio Cremaschi. "In realtà la Fiat con Marchionne è diventata una compagnia low cost che insegue i bassi salari e i finanziamenti pubblici in giro per il mondo".

A Mirafiori, alla porta principale, la 2, e alla 9, si è svolto un presidio della Fiom-Cgil. È un'iniziativa organizzata in vista dello sciopero nazionale dei lavoratori del gruppo Fiat, indetto dalla Fiom per domani, per protestare contro i licenziamenti e contro la scelta di Fiat di non pagare il premio di risultato a fine luglio. "Immagino che lo sciopero di domani si caricherà però anche di altri significati, alla luce dell'intervista a Sergio Marchionne, osserva Giorgio Airaudo, segretario regionale della Fiom-Cgil. Intervista in cui l'Ad del Lingotto annuncia che la nuova Monovolume 'L0, destinata ad essere prodotta a Mirafiori, verrà invece dirottata in Serbia. Dopo l'esperienza di Pomigliano il Lingotto non si fida più dei sindacati italiani.

"È sorprendente questo annuncio. Non ho capito quale tipo di ragioni si portano per dire che in Serbia ci sono condizioni che non si troverebbero a Torino. Su questo servono chiarimenti", spiega Pier Luigi Bersani. "Rispetto alla realtà torinese - ha proseguito il segretario del Pd - ho colto una colpevolizzazione che non ha riscontro con la realtà: è una città con la più antica cultura industriale, ha visto di tutto, ristrutturazioni, flessibilità. Non si può fare spallucce". Bersani ha poi scandito l'acronimo della Fiat: "Fabbrica italiana auto Torino", e ha concluso: "Partiamo da lì".

Gli impegni di Fiat nell'ambito di "fabbrica italia" consistevano nel produrre la monovolume a Mirafiori: "Io - dice il sindaco di Torino Sergio Chiamparino - trovo non accettabile che sia lo stabilimento di Mirafiori, il primo che ha creduto nella possibilità di un rilancio dell'intero progetto Fiat in italia, a pagare le conseguenze di un accordo dimezzato su Pomigliano". Chiamparino lancia un appello a Fiat e parti sociali. "È un appello - ha precisato Chiamparino - da una parte all'azienda perché prima di assumere una decisione rifletta: c'è un problema di affidabilità reciproca quando si assumono degli impegni. E rivolgo un appello anche alle parti sociali perché si sforzino di comprendere che un progetto come "fabbrica Italia" ha delle caratteristiche quasi rivoluzionarie per la situazione produttiva del nostro paese e quindi bisogna guardarlo con occhi nuovi rispetto al passato".

"Un governo serio, che fa gli interessi generali del Paese, bloccherebbe ogni delocalizzazione e prenderebbe le difese dei sindacati", commenta il segretario nazionale del Pdci, Oliviero Diliberto. "Gli annunci di Marchionne - aggiunge Diliberto - sono una miscela esplosiva di arroganza, prepotenza e menefreghismo, propri di chi segue solo biechi interessi di parte, a discapito della dignità e dei diritti dei lavoratori e di un Paese intero. Se anche su questo il ministro Sacconi tace - conclude - significa che in Italia non c'è un governo ma una dependance di Confindustria".

Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, incontrerà "nei prossimi giorni" l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne. "Vedrò Marchionne nei prossimi giorni - ha detto Marcegaglia - ci confronteremo un po' in generale". Il numero uno di viale dell'Astronomia ha sottolineato che è "importante per seguire l'investimento a Pomigliano e raggiungere i livelli di produttività richiesti. Credo che tutto questo vada fatto cercando di evitare comunque conflitti troppo pesanti, che non fanno bene a nessuno. Ma dall'altra parte - ha aggiunto - senza mollare sugli obiettivi di produttività. Il tema è complesso".

22 luglio 2010

 

 

 

L’isola dei cassintegrati a Roma "Berlusconi ci dia delle risposte"

di Luciana Ciminotutti gli articoli dell'autore

Racconta con un fil di voce Antonello, 54 anni che da quando è in cassa integrazione ha dovuto ritirare il figlio grande dall’università. Per la più piccola, quindicenne, spesso non ci sono neppure i soldi per la merenda a scuola. "Andiamo avanti con i prestiti di amici e parenti, capisce fino a che punto mi sono dovuto umiliare?". Per questo l’unica polemica di dignità che gli è rimasta, parafrasando De Andrè, è quella di essere uno dei cinque "duri e puri" che imperterriti da oltre 146 giorni occupano l’isola dell’Asinara. I cassintegrati della Vinyls, il colosso della chimica ora fermo, stanno ottenendo solidarietà soprattutto sul web con la loro pagina Facebook (più di 30mila "amici") e con il loro blog, nel quale raccontano giorno dopo giorno la dura vita di chi ha scelto di occupare pacificamente due luoghi simbolo della Sardegna (oltre all’isola dell’Asinara, la Torre Aragonese di Porto Torres) per vedere rispettato il basilare diritto al lavoro. Ieri un centinaio di rappresentanti degli stabilimenti di Marghera, Ravenna e Porto Torres sono giunti a Roma, sotto Montecitorio, per la mobilitazione organizzata dalla Cgil e dalla Filctem per dare una scossa alla vertenza della Vinyls. Il loro interlocutore naturale sarebbe il ministro allo sviluppo economico che però, come dice Pinuccio, "non c’è per problemi di casa".

La questione è, quindi, tutta in mano a Berlusconi al quale si rivolge Alberto Morselli, segretario generale della Filctem-Cgil: "Se la chimica è strategica, come più volte detto a parole, il presidente del Consiglio lo dimostri una volta per tutte. Innanzitutto, chieda ad Eni di salvare Vinyls e di istruire un piano industriale di rilancio nel settore; faccia rispettare l'impegno di riavvio degli impianti assunto dai commissari straordinari; salvi i posti di lavoro e l'integrità del ciclo del cloro".

"La previsione è che si ripartirebbe,- dice Morselli - dopo che anche gli arabi della Ramco hanno gettato la spugna, da un nuovo bando internazionale annunciato dal sottosegretario Saglia nell'incontro del 15 giugno scorso. Ma la gara sembra ancora tutta da scrivere. Ogni giorno che passa c'è il rischio che i commissari non abbiano neppure i soldi per pagare gli stipendi". Intanto gli operai restano in cassa integrazione e non mollano le occupazioni. A Porto Torres hanno piantato delle croci per terra, "perché la chiusura dell’azienda rappresenta la morte economica del territorio", spiega Pinuccio e gli fa eco Emanuele, "nel sassarese c’è una disoccupazione giovanile del 42%, se viene chiuso anche il nostro stabilimento sono altri giovani a spasso, esperti in chimica, mi dite dove si ricollocano?". "Cappellacci si deve prendere le sue responsabilità – dice Massimiliano - la Regione Sardegna ha il suo ruolo da giocare nella vertenza". Intanto mettono sul tavolo un dato: l’Italia l’anno scorso ha acquistato da Francia, Belgio, Inghilterra e Germania (paesi con il costo del lavoro uguale o superiore al nostro) 750 mila tonnellate di Pvc. Il mercato quindi per il prodotto della Vinyls c’è. "Ma com’è - si chiedono gli operai cassintegrati - che questo paese non ha una politica industriale?".

20 luglio 2010

 

 

 

Fiat, via libera allo spin-off Due società del Lingotto

Via libera dal Consiglio di amministrazione della Fiat allo spin off dell'Auto dagli altri settori. In una nota Fiat spiega che oggi il cda "ha approvato la scissione parziale proporzionale, con cui Fiat S.p.A. intende trasferire ad una società di nuova costituzione, Fiat Industrial S.p.A. alcuni elementi dell`attivo (prevalentemente partecipazioni) relativi ai business dei veicoli industriali, motori 'industrial & marinè, macchine agricole e per le costruzioni oltre a debiti finanziari".

"Con la scissione, queste attività saranno separate da quelle automobilistiche e dalla relativa componentistica, che includono Fiat Group Automobiles, Ferrari, Maserati, Magneti Marelli, Teksid, Comau e FPT Powertrain Technologies (attività di motori e trasmissioni per autovetture e veicoli commerciali leggeri). Dalla data di efficacia della scissione, che si assume possa essere il primo gennaio 2011, le azioni di Fiat Industrial saranno assegnate agli azionisti Fiat sulla base di un rapporto uno a uno", chiarisce Fiat. Successivamente, Fiat e Fiat Industrial saranno quotate separatamente presso il mercato telematico azionario di Milano e opereranno in modo separato come società quotate indipendenti con i rispettivi management e consigli di amministrazione.

La scissione - sottolinea il Lingotto - darà chiarezza strategica e finanziaria ad entrambi i business e permetterà loro di svilupparsi strategicamente in modo indipendente l`uno dall`altro. Inoltre, il Consiglio ritiene che l`operazione consentirà la giusta valutazione sui mercati dei capitali di entrambe le società. La scissione sarà pienamente proporzionale: ciascun azionista riceverà un numero di azioni della stessa categoria uguale al numero di azioni Fiat della medesima categoria possedute alla data di efficacia della scissione. Alla data di efficacia della scissione gli azionisti di Fiat Industrial saranno quindi gli stessi azionisti di Fiat. In conseguenza della scissione il patrimonio netto di Fiat sarà ridotto di 3.750.346.053 euro. Tale riduzione (raggiunta attraverso una corrispondente riduzione del capitale sociale e delle riserve) non darà luogo a cancellazione di azioni, ma sarà attuata con una riduzione proporzionale del valore nominale di ciascuna categoria di azioni che, dalla data di efficacia della scissione, sarà pari a 3,50 euro. Di conseguenza, il capitale sociale di Fiat Industrial sarà aumentato di 1.913.178.892 euro, inoltre 1.837.167.161 euro saranno attribuiti a Fiat Industrial attraverso le altre riserve. Il numero e le categorie di azioni - ed i relativi diritti - di Fiat Industrial replicheranno esattamente il numero e le categorie - ed i relativi diritti - di Fiat. Il valore nominale di ciascuna categoria di azioni di Fiat Industrial sarà pari a 1,50 euro. Queste variazioni entreranno in vigore alla data di efficacia della scissione e non troveranno quindi applicazione con riferimento al bilancio 2010. Le azioni proprie attualmente possedute dalla Fiat, che rappresentano circa il 3% del capitale sociale, non saranno trasferite a Fiat Industrial. Dopo la scissione, la Fiat deterrà quindi circa il 3% di Fiat Industrial.

21 luglio 2010

 

 

 

 

2010-07-01

Fiat, no unanime della Fiom all'accordo su Pomigliano

È stato approvato all'unanimità il documento della Fiom che ribadisce il no del sindacato all'accordo, "così com'è, con la Fiat, per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco" e l'avvio in questo mese a una iniziativa itinerante che partirà da Termini Imerese per toccare le maggiori piazze italiane fino ad arrivare a Roma alla presidenza del Consiglio dei ministri. Lo ha ha deciso l'assemblea dei delegati Fiom di tutta Italia riuniti oggi al teatro Gloria. Hanno circa 1.500 persone tra delegati, operai, Rsu e segretari nazionali, regionali e provinciali. Nel documento la Fiom ha inoltre ringraziato gli operai di Pomigliano "per non essersi piegati al ricatto della Fiat".

Lo stabilimento Fiat di Termini Imerese "non può chiudere" e l'azienda deve dire al più presto le sue intenzioni in merito alla questione. Lo ha affermato il leader della Fiom Maurizio Landini all'assemblea nazionale. "Su Termini Imerese, se si vuole evitare la chiusura di quella fabbrica, si dica già da adesso, e non nel 2011, cosa fare. La Fiat a Termini - ha ribadito Landini - vuole chiudere nel 2011. Se vuole smettere di fare auto trovi oggi soluzioni alternative e se spunta fuori qualcuno che vuole fare auto, siccome ha una responsabilità sociale, lavori affinché questo avvenga". Landini ha concluso: "La Fiat dica che è disponibile a soluzioni industriali che possano portare occupazione, compreso soluzioni di altri produttori di auto".

A fianco dei lavoratori della Fiat di Pomigliano d'Arco sono scesi anche gli extracomunitari di Rosarno. Una delegazione di lavoratori, impiegati nei campi della cittadina calabrese, ha raggiunto i delegati Fiom all'assemblea generale in corso di svolgimento a Pomigliano d'Arco, dove ha espresso la propria solidarietà agli operai del Giambattista Vico. "I ragazzi di Rosarno - ha spiegato un loro rappresentante dal palco - hanno avuto il coraggio di dire basta alle condizioni di lavoro cui erano sottoposti. E per questo sono vicini agli operai che hanno avuto il coraggio di dire no ad un accordo che peggiorerebbe le condizioni di lavoro in fabbrica".

La Panda andrà a Pomigliano "nonostante tutto". Lo ha detto il ministero del Lavoro, Maurizio Sacconi, intervenuto alla trasmissione "Un giorno da pecora" su Radio 2. Sacconi ha rilevato che una maggioranza "netta e inequivoca" ha detto sì all'accordo al referendum, che "non è stato facile. Molti in questo Paese hanno storto la bocca, quante bocche storte, c'è un'Italia che quando si profila una soluzione positiva è disperata e cerca una negatività di recupero: gli va male".

01 luglio 2010

 

 

 

2010-06-23

Fiom: "Ora una trattativa vera, pronti a soluzione"

di Massimo Franchitutti gli articoli dell'autore

Una vittoria? "No, una lezione di dignità da parte dei lavoratori, nonostante un ricatto senza precedenti". Dopo il fallito plebiscito di Marchionne, il neo-segretario Fiom Maurizio Landini ha la stessa faccia dei giorni scorsi "perché - spiega - c’è la consapevolezza di stare dalla parte dei diritti e il risultato del referendum lo conferma". In pochi anche a corso Trieste si aspettavano che il "No" toccasse quota 36 per cento. Di certo nessuno potrà sostenere che i 1700 voti siano tutti della Fiom, che di iscritti a Pomigliano ne ha soli 600.

Maglietta bianca sotto la camicia, in una saletta stampa mai così stipata di telecamere, le sue parole sono misurate. Non è stata una settimana facile per i metallurgici della Cgil. La tensione era palpabile e dunque è il momento di rivendicare "l’unanimità di ogni decisione presa". Dalle urne di Pomigliano arriva "una lezione per tutti". Soprattutto per Marchionne, verrebbe da dire. Lo stesso Marchionne che negli stessi minuti in cui Landini parla batte alle agenzie il comunicato Fiat che parla di "lavorare con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell’accordo (...) per individuare le condizioni di governabilità".

Ancora senza la Fiom, dunque. Se l’avesse davanti, a Marchionne il reggiano Landini chiederebbe una cosa sola: "Di assumere fino in fondo la storia delle relazioni sindacali di questo paese, che sono una ricchezza anche per la Fiat. Che se è vero che l’Italia non è gli Stati Uniti, è vero pure che la crisi è partita da là anche a causa del fatto che non ci sono relazioni sindacali e gli stessi diritti per i lavoratori". E allora l’invito per la Fiat è sempre valido: tornare al tavolo per "aprire, finalmente, una trattativa" perché "una soluzione condivisa è meglio di un atto di forza". Tutti gli chiedono cosa succederà ora. E Landini non può rispondere: "Non dipende da noi, ma dalla Fiat". Il rischio che l’azienda possa decidere di schedare chi ha votato "No" o, addirittura, di licenziarli? "Faremo rispettare in ogni sede i diritti dei lavoratori e dei sindacalisti". E la possibilità di un ritorno in Polonia? "In quel caso sarebbe la Fiat, e non noi, a dire un grande "No" e lo farebbe per ragioni molto meno nobili delle nostre".

L’unica cosa certa è che la Fiom "rimane a Pomigliano". Portando avanti la battaglia, dopo che "per giorni e giorni tutti hanno commentato un documento senza averlo letto". E "quel documento" è così grave da "avere una valenza generale" perché darebbe il là all’idea che si possa "scambiare più investimenti con meno diritti". E allora il primo luglio assemblea di tutti i delegati Fiat proprio a Pomigliano. "I risultati di Melfi e gli scioperi negli altri stabilimenti parlano chiaro: i lavoratori Fiat sono consapevoli del rischio che stanno correndo". Un punto di partenza anche dopo la ritrovata sintonia con la casa madre Cgil. Magari l’intervista di Epifani al Corriere non è piaciuta, ma "i giorni sono passati e le posizioni ora sono le stesse. Con una sola punzecchiatura: "Certo, vedere i capisquadra di Pomigliano fare volanti con le dichiarazioni di un dirigente della Cgil Campania non è stato un gran spettacolo...".

23 giugno 2010

 

 

 

Lo strappo di Pomigliano

di Rinaldo Gianolatutti gli articoli dell'autore

Il voto di Pomigliano d’Arco, con tutto il suo carico di tensioni , speranze e purtroppo divisioni tra i lavoratori, non è la conclusione contrastata di un percorso. È, invece, solo la prima tappa di "Fabbrica Italia" il progetto che Sergio Marchionne ha delineato per la Fiat da qui al 2014, una sfida totale, industriale e anche culturale, al mondo del lavoro, alla politica, alle istituzioni. Dopo il referendum, se il Lingotto confermerà l’investimento di 700 milioni di euro e non metterà in campo altre impreviste soluzioni, niente sarà più lo stesso nelle relazioni industriali in casa Fiat, ma si può facilmente immaginare che sulla strada del recupero di competitività attraverso la compressione dei diritti contrattuali e costituzionali dei lavoratori si avvieranno molte altre aziende. Il mondo sembra andare al contrario: in Cina gli operai scioperano e protestano per ottenere salari dignitosi e migliori condizioni di lavoro, in Italia invece in nome di una non ben definita modernità smantelliamo le conquiste sindacali, civili frutto di lotte decennali.

Se davvero partirà il progetto di Pomigliano (Marchionne non ha sciolto la riserva) poi toccherà a Mirafiori, a Melfi, a Cassino, alla Sevel. Per Termini Imerese, invece, la Fiat non ha lasciato speranze: "Sarebbe una pazzia non chiuderla" ha sentenziato Marchionne. Il modello Pomigliano, se sarà implementato, verrà poesteso alle altre fabbriche italiane, probabilmente sarà calibrato sulle esigenze produttive e organizzative di ciascuna fabbrica da Torino alla Basilicata. Inutile dire che il timore del "contagio", dell’estensione del programma di Marchionne da Pomigliano alle altre fabbriche preoccupa migliaia di dipendenti. Perchè nessuno, tanto meno i sindacati, si oppone a perseguire nuovi, ambiziosi obiettivi di produzione, ma quello che giustamente allarma è che questo possa avvenire a scapito del sistema di garanzie, dei diritti dei lavoratori. D’altra parte è inutile farsi illusioni.

Il clima politico, la linea del governo, il tifo della Confindustria, anche le timidezze della sinistra, tutto pare concorrere per favorire il successo del "ricatto" della Fiat: vi offro il lavoro, zitti e fate come dico io. Marchionne vuole un cambiamento radicale dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni industriali, la sua ambizione è trasferire in Italia il modello della fabbrica Tychy, in Polonia. In sintesi queste sono le condizioni preliminari che il Lingotto esige per investire in Italia: 18 turni settimanali per tutti gli impianti, revisione degli accordi sindacali, piena flessibilità della forza lavoro, contenimento del costo del lavoro, pieno utilizzo degli ammortizzatori sociali. Con questa dote Marchionne è pronto a fare la sua parte e a concedere una speranza alle fabbriche, ai lavoratori italiani con investimenti di circa 20 miliardi di euro in cinque anni.

La Fiat intende portare la produzione di auto in Italia dalle 650mila unità del 2009 a 1,4 milioni nel 2014, una cifra che rappresenterà circa un quarto dell’intera produzione Fiat-Chrysler stimata in 6 milioni di vetture. Il raddoppio della produzione avverrà tramite la saturazione degli impianti esistenti, più turni, più produttività. I numeri non lasciano dubbi. Mirafiori, la storica cattedrale dei metalmeccanici, tra cinque anni avrà una capacità produttiva di oltre 300 mila vetture con una saturazione degli impianti che passerà dal 64% all’88%. A Cassino la produzione passerà da 100mila a 400mila auto. Melfi, il "prato verde" del sogno della fabbrica non conflittuale, produrrà almeno 400mila vetture. A Pomigliano, se i lavoratori fanno i bravi e seguono Marchionne, ci sarà la Nuova Panda, 250mila auto all’anno.

La Sevel di Val di Sangro passerà da 100mila a 250mila veicoli. Obiettivi ambiziosi, forse temerari che, se conseguiti, consentiranno a Fiat Auto di raddoppiare il fatturato da 26 a 51 miliardi di euro. Davanti a un disegno industriale, di potere, di questa dimensione. di questa forza risultano quasi marginali le osservazioni, le critiche, le lotte di chi cercando un lavoro e un reddito per vivere non dimentica i diritti e la dignità. Ma oggi l’Italia è questa. Ora vedremo cosa farà Marchionne.

23 giugno 2010

 

 

 

2010-06-22

La giornata più lunga Pomigliano verso il sì tra ricatti e disperazione

Oggi Pomigliano ha votato. E ha deciso. Le tute blu dello stabilimento Fiat del Napoletano hanno affrontato una prova inedita, forse la più importante della loro vita lavorativa: dire sì o no ad un'intesa con l'azienda. E decidere, così, il futuro della loro fabbrica. E della loro vita. In tanti, quasi tutti, hanno votato. L'esito si saprà tra qualche ora, ma intanto i lavoratori aspettano. E sperano. Su 4.881 aventi diritto, secondo l'ultimo dato aggiornato, si erano recati alle urne in 4.584, quasi il 94%. Un'adesione altissima, dice la Uilm. "Un robusto viatico per il futuro della fabbrica", aggiunge la Fim Cisl. Ma nessuno, allo stabilimento Fiat di Pomigliano, oggi aveva voglia di sorridere.

Volti scuri, sia all'entrata sia all'uscita dei turni. Tute blu silenziose, molte a testa bassa. In un giorno in cui anche la cassa integrazione è stata annullata, proprio per consentire la partecipazione alle votazioni, la rabbia era tanta. E la preoccupazione ancora di più. Lina ha 30 anni e in Fiat ci lavora da nove anni. Arriva davanti ai cancelli alle 14. Occhialini tondi, sembra quasi una prof. È diplomata e la scorsa notte, ammette, non ha chiuso occhio. "Sono in ansia ma voglio essere ottimista, devo esserlo per forza, qui si sta parlando del nostro futuro", ammette. Futuro, appunto. Lo urlano a squarciagola i sostenitori del no al referendum, coloro che se la prendono con "Marchionne, l'infame, che vuole cancellare i diritti costituzionali" e che si oppongono all'intesa siglata lo scorso 15 giugno tra la Fiat e tutte le sigle sindacali, tranne la Fiom, inveendo anche contro i sostenitori del sì. Al centro di tutto il 'progetto Pandà a Pomigliano, vale a dire 700 milioni di investimenti e quindi la salvezza dello stabilimento. Questo Lello lo sa bene. Ecco perchè, con una moglie in attesa di due gemelli oggi confessa di aver votato sì. Cita la nonna e un proverbio napoletano: "O mangi questa minestra o ti butti dalla finestra". Come dire "per noi che vogliamo lavorare non c'era altra scelta che per il si".

E sono proprio alcune tute blu a difendere l'accordo messo sotto accusa dalla Fiom, anche oggi. Escono dai cancelli e a testa alta dicono: "Sulla Fiat sono state dette solo bugie. Non è vero che sono violati i diritti costituzionali". Giuseppina Castaldi, 21 anni in azienda, spiega: "È un piano più rigoroso ma a noi sta bene". Carlo De Simone, reparto verniciatura, dal 1990 in azienda, va anche oltre. "I nostri diritti sono tutelati e poi abbiamo anche un ritorno economico grazie al turno di notte, 3mila euro lordi l'anno". In tanti, per la verità, lasciano intendere di aver votato sì, "perchè non abbiamo altre scelte". "Dopo che ti hanno lasciato per due anni morire di fame con la cassa integrazione, ora come fai a scrivere no su quel foglio?", dice ancora Lello.

Ma c'è chi, chiaro e tondo, dice di aver votato no. È Mario Di Costanzo, da 11 anni a Pomigliano, rsu della Fiom. Descrive un clima di intimidazione, forte, che oggi c'è stato all'interno dello stabilimento. "Qualche capo ha chiesto di fotografare il voto e poi hanno mandato sms 'Se voti no perdi il lavorò". Nel pomeriggio, quando il cielo si riempie di pioggia, dai cancelli escono Bruno e Salvatore, entrambi alla catena di montaggio. "Gli operai della Fiat sono coraggiosi", premettono e poi dicono: "Abbiamo votato no. Non abbiamo paura di perdere il lavoro e non ci sentiamo nemmeno in colpa". Qualcuno canta Bella Ciao quando gli operai entrano. E intanto, a tarda serata, davanti allo stabilimento arrivano i pullman blu, pronti a riportare gli operai a casa. Qualcuno prova a chiedere all'uscita dai turni: come è andata, oggi è stato il vostro giorno? Ciro, tuta blu da 20 anni, si gira e sorride. Poi si ferma un attimo e risponde: "Noi siamo lavoratori, mica siamo quelli che decidono...".

22 giugno 2010

 

 

 

Un'ora di sciopero a Termini Imerese dopo l'insulto di Marchionne

Sciopero di un'ora allo stabilimento Fiat di Termini Imerese. Nel corso di un'accesa assemblea dei lavoratori si è discusso su come proseguire la protesta che ha come primo obiettivo le scelte e le parole dell'amministratore delegato Sergio Marchionne che recentemente ha accusato le tute blu di avere incrociato le braccia lunedì scorso solo per vedere la partita dei mondiali Italia-Paraguay. Un attacco definito dai sindacati come provocatorio e rozzo. Lo stabilimento, nelle previsioni dell'azienda, chiuderà a fine 2011 e sono in corso le trattative al ministero dello Sviluppo economico per individuare un nuovo produttore.

I delegati sindacali alle 14 hanno riunito il consiglio di fabbrica chiamato a decidere in ordine a una nuova ora di sciopero, dopo quella di oggi dalle 9.20-10.20. E dalle 17.50 alle 18.50 è fissata una nuova assemblea per gli operai del secondo turno. Sono infuriati i lavoratori e i sindacati. Sanno che la Fiat se ne andrà a fine 2011 e si sentono le pedine della partita che Marchionne sta giocando a Pomigliano d'Arco dove domani si celebrerà il referendum.

"La Fiat - dice Vincenzo Comella della Uilm - non può abbassare in questo modo il livello della discussione. Sappiamo che ciò è funzionale agli effetti contrattuali della battaglia in corso a Pomigliano. Noi, però, non accettiamo che si screditino gratuitamente lavoratori e sindacati". Comella, riguardo alle accuse dell'amministratore delegato spiega che il mercoledì precedente la partita Italia-Paraguay, "senza che noi lo sollecitassimo, i vertici ci avevano dato la disponibilità a rimodulare l'orario di lavoro e a utilizzare la pausa mensa per vedere la partita. Poi, venerdì alle 14, hanno improvvisamente cambiato parere. Una mossa studiata a tavolino perché avevano messo in conto che la reazione a un atto arrogante sarebbe stato lo sciopero".

Per Comella "bisogna poi mettersi nella testa di questi lavoratori che saranno messi fuori dal gruppo a fine 2011 senza al momento una prospettiva". E va ripresa la vertenza per due obiettivi: capire i piani industriali degli investitori e le risorse che ci mettono; e costringere Fiat a rimanere al tavolo fino a quando non saranno definiti le garanzie e il futuro dei lavoratori di Termini.

21 giugno 2010

 

 

 

Pomigliano d'Arco, decidono i lavoratori Urne aperte dalle 8

Sono già oltre 1.250 i dipendenti dello stabilimento Fiat Gianbattista Vico di Pomigliano d'Arco che questa mattina hanno espresso il proprio voto nel referendum sull'accordo che dovrebbe garantire la produzione della nuova Panda in Campania. I 9 seggi allestiti per le operazioni di voto sono aperti dalle 8 di questa mattina e resteranno attivi fino alle 21. Secondo il dato registrato alle 10 dalle organizzazioni sindacali, dei 5.200 lavoratori un quinto ha già espresso il proprio voto. Intanto, davanti all'ingresso 2 dello stabilimento di Pomigliano d'Arco circa 200 lavoratori aderenti ai Cobas e alla Cgil si sono radunati per manifestare pacificamente contro il referendum. Le operazioni di voto si stanno svolgendo regolarmente senza incidenti. L'intesa firmata con la Fiat lo scorso 15 giugno da tutte le sigle sindacali, tranne la Fiom, potrebbe essere decisiva per il destino dello stabilimento, dei 700 milioni di investimenti per portare la produzione della Panda dalla Polonia a Pomigliano e, dunque, per il futuro lavorativo degli oltre 5mila Fiat e dei 15mila impiegati nell'indotto. Il quesito, al quale i lavoratori dovranno rispondere con una croce sul "Sì" o sul "No", è: "Sei favorevole all'ipotesi d'accordo del 15 giugno 2010 sul progetto "Futura Panda" a Pomigliano?".

Alla vigilia del referendum, il Pd ha ribadito un sì, fra il prudente e il sofferto. È una posizione "scomoda" nel centrosinistra, tenendo conto che le altre opposizioni, da una parte e dall'altra, dall'Idv alle varie formazioni della Sinistra radicale, bocciano senza mezzi termini un tipo di accordo che comporta delle deroghe al contratto nazionale sul diritto di sciopero.

Il sì dei Democratici assume diverse sfumature, che vanno dal realismo del responsabile Lavoro Stefano Fassina - che sottolinea che il Pd "ha sempre detto di essere per il sì" e rileva che " il documento proposto dalla Fiat ha dei punti da rivedere, ma è chiaro che l'investimento di Pomigliano ha valore strategico a cui non è possibile rinunciare" -, alla prudenza di Enrico Letta, che fissa dei 'palettì che i Democratici non si sentono di sorpassare: "quell'accordo - precisa - è un 'unicum'. Non può essere ripetibile, come se fosse un modello. È legato a caratteristiche specifiche di quello stabilimento, come l'abuso in passato di certi diritti".

"È un ricatto mafioso", sentenzia invece il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero, per il quale l'accordo darà luogo "non a un referendum, ma a un plebiscito: perchè la gente non è libera. Quindi finirà come 'devè finire".

"Domani ci sarà una farsa - aggiunge Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro e welfare dell'Idv - perchè il quesito con cui dovranno confrontarsi i lavoratori è: vuoi essere licenziato subito o preferisci rinunciare ad alcuni tuoi diritti a partire da quello di sciopero?".

"Domani a Pomigliano ci sarà un referendum per importare in Italia il modello di contrattazione polacco", protesta davanti a Montecitorio Marco Rizzo leader di "Comunisti-Sinistra Popolare" (CSP). Ne è convinto anche l'eurodeputato Idv Luigi De Magistris: "l'accordo rischia di essere una "palestra" di preparazione per future intese altrettanto pericolose e reazionarie, distruttive del Cnl e dello Statuto dei lavoratori". Per l'Udc, non è rilevante parlare di referendum: perché, dice Pier Ferdinando Casini, "Pomigliano è molto di più, è una grande questione nazionale. È lì - aggiunge - che dobbiamo dimostrare se l'Italia vuole rimanere un Paese industrializzato.

"Ho fiducia nelle lavoratrici e nei lavoratori e nella loro concretezza", dice il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che conclude, ottimista: "Credo che ci siano le condizioni per un largo consenso senza nè vinti nè vincitori, se non l'unica vittoria affidata agli investimenti e ai posti di lavoro".

22 giugno 2010

 

 

 

 

 

 

 

Da Melfi a Mirafiori, l'attesa nelle altre fabbriche

La tensione che grava sullo stabilimento di Pomigliano D'Arco, dove si attendono con ansia i risultati del referendum sul piano Fiat, raggiunge anche le altre fabbriche del gruppo, da Mirafiori a Termini Imerese, passando per Melfi. E la solidarietà alle tute blu di Pomigliano arriva anche dai dipendenti dell'ex Alfa Romeo di Arese. Insomma, dopo le proteste dei giorni scorsi l'agitazione continua a serpeggiare dentro e fuori i cancelli delle fabbriche del Lingotto.

MIRAFIORI: Tra le tute blu dello stabilimento torinese la preoccupazione resta alta: molti pensano che il 'modello Pomiglianò sarà applicato anche negli altri impianti italiani del gruppo. La mobilitazione, quindi, non si ferma e oggi è andata avanti la raccolta firme a supporto della lettera aperta presentata dalla Fiom e indirizzata a Sergio Marchionne.

MELFI: Anche qui la paura del "contagio", l'estensione dei contenuti dell'accordo sottoposto a referendum, si fa sentire, anche se con i dovuti distinguo tra i sindacati, come del resto accade nelle altre altre fabbriche. Se per il segretario regionale della Fiom-Cgil, Emanuele De Nicola, la consultazione sul piano della Fiat è "illegittima", secondo il segretario regionale della Fismic, Marco Roselli "l'accordo è una condizione necessaria per i futuri investimenti in Italia". Dello stesso avviso, il segretario provinciale della Uilm-Uil, Vincenzo Tortorelli, che spiega: "L'intesa è importante per il Sud e per l'indotto di Melfi".

TERMINI IMERESE: Gli operai attendono l'esito del referendum di Pomigliano senza nascondere che è proprio il progetto di trasferimento della produzione della Panda dalla Polonia allo stabilimento campano ad aver decretato la fine della loro fabbrica. Il timore maggiore, spiega il segretario provinciale della Fiom, Roberto Mastrosimone, è il disinteresse calato sul futuro dello stabilimento: "Tutti sono concentrati su Pomigliano, ma nessuno pensa a dare risposte a 2.200 lavoratori. Per ora tutto è fermo e, soprattutto, ci inquieta il silenzio della politica".

EX ALFA ROMEO ARESE: Qui i dipendenti hanno hanno protestato contro il piano Fiat su Pomigliano bloccando la portineria sud-ovest dello stabilimento. Solidarietà alle tute blu dello stabilimento campano del Lingotto è anche arrivata dai lavoratori della Piaggio, che questa mattina hanno scioperato dalle 9 alle 11.

22 giugno 2010

il SOLE 24 ORE

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2010-08-20

 

 

 

 

 

 

2010-08-02

Vendite in calo per Italia e Francia, in ripresa il mercato giapponese

Cronologia articolo2 agosto 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2010 alle ore 11:05.

Il mercato dell'auto continua a sfornare numeri positivi in Giappone, mentre in Italia è previsto un vero e proprio crollo delle immatricolazioni. Secondo i dati mensili diffusi a Tokyo dall'associazione nazionale dei rivenditori (Jada), le vendite di auto, camion e bus - escluse le minicar fino a 660 cc - sono aumentate a luglio del 15% su base annuale, dodicesimo rialzo consecutivo. In particolare, le vendite di auto hanno registrato una crescita de 15,5% a 307.397 esemplari, contro il +9% dei camion (24.920) e il +20,9% dei bus (1.086), grazie agli incentivi ecologici decisi dal governo a sostegno del settore.

Negativo invece il dato della Francia: nel mese di luglio le vendite sono calate del 12,9% su base annua. Il gruppo Fiat, in particolare, ha fatto registrare una riduzione dell'8% rispetto a luglio del 2009, risultato comunque migliore della media delle marche non francesi (-9,9%). Nei primi sette mesi dell'anno, le vendite di auto nuove in Francia sono aumentate, rispetto allo stesso periodo del 2009, del 2,8%. Il gruppo Fiat registra invece un calo, del 7% (5,8% per il marchio Fiat).

In Italia, invece, le stime anticipate ieri da Federauto, l'associazione dei concessionari, parlano di un drammatico calo del 26% delle immatricolazioni nello scorso mese di luglio. I dati ufficiali saranno resi noti oggi. Per il presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi, si tratta di "un vero disastro per tutti. Questo dato si avvicina molto alla realtà perchè - dice - sembra che i principali costruttori abbiamo finalmente tolto il piede dalle kilometri zero. Questo perchè non si può continuare all'infinito ad autoimmatricolarsi vetture per dimostrare dati di quota non veritieri. E infatti il mercato a privati, quello non inquinabile da autoimmatricolazioni, vede una flessione attorno al -30%. E si continua così oramai da qualche mese nell'indifferenza del Governo".

 

 

 

 

2010-07-31

Qui Chrysler. Obama a Marchionne: "Sergio, ti ringrazio davvero per quello che hai fatto"

dal nostro inviato Christian RoccaCronologia articolo31 luglio 2010Commenta

Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2010 alle ore 16:26.

DETROIT - Le ola delle tute blu, come allo stadio. La musica del Boss, Born in the Usa. Ma anche dei più docili, ed europei, Coldplay. L'accoglienza per il presidente americano Barack Obama nella fabbrica di Jefferson North, dove la Chrysler di Sergio Marchionne produce la Jeep Grand Cherokee, è da rock star. "È la prima macchina nuova che ho comprato in vita mia", ha svelato il presidente sapendo di stuzzicare l'orgoglio dei millecinquecento operai iscritti allo storico sindacato di categoria Uaw sistemati al centro del grande complesso. "Sergio, grazie davvero per il lavoro che hai fatto qui", ha detto Obama a Marchionne.

Obama e Marchionne. Le due star della giornata. I dipendenti hanno fatto la fila per una foto con l'uno e con l'altro. In maniche di camicia il primo. Col pullover blu d'ordinanza il secondo. Un anno fa Chrysler era in bancarotta. Ora i due annunciano che il piano elaborato da Marchionne, finanziato da Obama e approvato dai sindacati sta funzionando. A Jefferson North, è stato aggiunto un secondo turno, quando solitamente in estate la produzione scende. Mille e cento persone sono state assunte per produrre la nuova Grand Cherokee 2011 ("la migliore vettura mai prodotta da Chrysler", secondo Marchionne). Lo stabilimento di Sterling Heights, che avrebbe dovuto chiudere nel 2012, resterà aperto e nei primi mesi dell'anno assumerà 900 persone. Chrysler produce utile operativo (il secondo sarà annunciato il 9 agosto). Si comincia a parlare di quotazione in Borsa. Il debito con il governo inizia a essere ripagato.

"Non so se da questa giornata arrivi un messaggio per Pomigliano - ha detto Marchionne ai giornalisti al termine del discorso del presidente - Penso sia un riconoscimento che ci potevano essere giorni peggiori. Per arrivare a questo punto era necessario ripartire da zero e ristrutturare. In questa ristrutturazione è stato importante il ruolo del governo americano". In Italia, ha aggiunto Marchionne, "Fiat rappresenta diverse cose: le nostre responsabilità vanno al di là di quelle di una casa automobilistica. Nel contesto italiano, Fiat svolge il ruolo che qui invece ha il governo. È questo lo spirito di Fabbrica Italia. Spero che la gente impegnata in questa discussione riconosca il ruolo che stiamo giocando. Il resto del mondo vede l'industria automobilistica in modo diverso. Noi non possiamo essere diversi, particolari, chiedere ogni giorno un trattamento speciale. Il mondo è piatto, dobbiamo riconoscerlo. È una grande, grandissima, scommessa. Spero che il paese sia all'altezza". I dipendenti Chrysler adorano Marchionne. Lo chiamano "Marcionni". Obama, invece, dice "Serghio Marchionni". Indossano le t-shirt "One Team, One vision" che inneggiano al World Class Management, il programma aziendale per l'eliminazione degli sprechi nella catena di produzione introdotto da Marchionne dopo l'esperienza in Fiat. Difficile immaginare uno spettacolo simile, da noi. Gli operai con più anzianità mostrano una maglietta blu. C'è scritto "Enoch". "È una parola ebraica - dicono - Vuol dire che siamo devoti alla nostra fabbrica, che siamo orgogliosi di essere qui, che crediamo nel nostro lavoro". Angel Gomez, 17 anni di lavoro in Chrysler, dice: "Marchionne è un grande uomo, una persona umile, vuole riportare Chrysler ai fasti di un tempo. Guardi questa fabbrica, un anno fa andava a pezzi, ora è un gioiello. Ai colleghi italiani dico di guardare che cosa sta succedendo qui: avevamo perso il lavoro, ma ci hanno richiamati, ora lavoriamo in questa bella fabbrica, costruiamo di nuovo le automobili, abbiamo ripreso a guadagnare. È vero, i nuovi arrivano con un salario più basso. Ma vorrei dire agli amici italiani: qual è l'alternativa? Meglio uno stipendio basso che nessuno stipendio".

Jeffeny Brunson lavora come istruttore di Product Quality Improvement, una joint venture sindacato e azienda per migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi Chrysler. Il giudizio è identico: "Marchionne sta facendo un grande lavoro. La Fiat ha portato la qualità. Non conosco la vostra situazione, ma agli operai italiani posso dire che noi abbiamo apprezzato molto il progetto di Marchionne".

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2010-07-29

Fiat si prende due mesi per decidere su Confindustria ma a settembre newco a Pomigliano

Cronologia articolo29 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 14:31.

Da fine settembre tutti i lavoratori dello stabilimento Fiat di Pomigliano saranno riassunti dalla newco, la nuova società costituita per gestire l'accordo del 15 giugno, non firmato dalla Fiom. La newco Fabbrica Italia non sarà iscritta all'Unione Industriale di Napoli. Lo ha riferito il segretario generale Fismic, Roberto Di Maulo, al termine dell'incontro in cui l'azienda ha comunicato ufficialmente ai sindacati la nascita della new company. Della newco, controllata da Fiat Partecipazioni, faranno parte anche i mille lavoratori della Ergom, azienda dell'indotto Fiat. All'incontro non ha partecipato la Fiom.

"La Fiat ci ha comunicato che sono già partiti tutti gli ordini relativi all'investimento per la Panda - ha spiegato Di Maulo - e che già ad agosto cominceranno i lavori per la ripulitura dell'area che ospiterà la linea della vettura a partire dalla lastratura". A settembre saranno definite le regole contrattuali della newco e verrà sottoposta ai 5.200 lavoratori la lettera di riassunzione, man mano che ci saranno le esigenze produttive. Quindi, per un periodo, una parte dei dipendenti continuerà a far parte di Fiat Group Automobiles per produrre l'Alfa 159.

Su Confindustria decisione sospesa per due mesi. Nell'incontro tra Fiat e sindacati che si è tenuto a Torino è stata comunicata la disdetta degli accordi sul monte ore dei permessi sindacali negli stabilimenti di Pomigliano e Arese. Annunciata anche la sospensione per due mesi della decisione Fiat sulla disdetta del contratto di lavoro e sull'uscita di Confindustria: secondo quanto riferito al termine della riunione, la decisione della Fiat è la conseguenza dell'incontro di ieri tra il presidente della Confindustria Emma Marcegaglia e l'ad Sergio Marchionne. I delegati della Fiat al tavolo di confronto hanno letto una lettera in cui il gruppo dichiara di aver sospeso per breve tempo la decisione dall'uscita dal contratto nazionale del lavoro a seguito dell'incontro avvenuto ieri a Roma, una sospensione che durerà due mesi.

Ecco perché tutti vanno in Serbia

Così la stampa estera racconta l'ultimatum di Marchionne

 

 

 

 

Dalla Fiat ai russi, ecco perché tutti vogliono andare a produrre in Serbia

di Cristina CasadeiCronologia articolo29 luglio 2010Commenti (1)

Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 07:52.

Dei tanti ponti di Belgrado quello che senza dubbio tutti gli imprenditori del mondo vorrebbero attraversare porta in Russia, dritto verso un mercato di quasi 200 milioni di consumatori. Ad annullare la distanza e le difficoltà logistiche c'è il fatto che l'attraversamento non prevede balzello e garantisce rapporti commerciali con un'area molto interessante.

A fare da tramite c'è la Serbia, grazie a un accordo di libero scambio con la Federazione russa: deve essere stato anche questo ad aver già portato nel paese 200 imprenditori italiani. Questo piccolo, per ora, esercito dei delocalizzatori italiani vale un giro di affari di 2 miliardi di euro l'anno, destinato a crescere in maniera esponenziale una volta che l'investimento Fiat entrerà nel pieno regime produttivo. La Siepa (agenzia serba per gli investimenti) ha previsto addirittura che Fiat sarà un volano che porterà 30mila posti di lavoro tra diretti e indiretti nel settore auto, occupati in aziende di componentistica che non lavoreranno solo per Fiat.

L'attrattività della Serbia dunque non arriva solo dai salari bassi, mediamente intorno ai 350 euro, o dal piano di incentivi fiscali e finanziari che è valso al paese il primo posto nella classifica della Banca mondiale in materia di riforme economiche per attrare investimenti stranieri. Agevolazioni che vanno dai terreni forniti gratis a chi stabilisce nuovi impianti produttivi ai contributi del governo a fondo perduto per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato: dai 2mila ai 10mila euro, a seconda della portata dell'investimento - minimo un milione di euro - e del numero di impiegati - minimo tra 10 e 50 -. Fino ad arrivare all'esenzione dalle tasse per dieci anni se si investe in capitale fisso almeno 7,5 milioni di euro e si impiegano oltre 100 addetti a tempo indeterminato (si veda Il Sole 24 Ore di sabato 24 luglio).

C'è di più ed è forse questo di più che ha generato tanto slancio. C'è infatti un accordo di libero scambio tra la Federazione russa e la Serbia che assicura un trattamento favorevole per la merce oggetto dell'interscambio. Per non pagare oneri doganali ovviamente sono previste delle condizioni. E cioè: il paese d'origine della merce deve essere la Serbia, è obbligatorio l'acquisto e la fornitura diretti e infine la fornitura deve essere accompagnata dal certificato di origine. Affinchè la Serbia si possa dichiarare paese d'origine è necessario che i manufatti siano stati interamente prodotti in Serbia, magari anche utilizzando materie prime, semilavorati e prodotti finiti originari di qualche altro paese. A patto però che tali prodotti siano stati trasformati in gran parte Serbia. La lista delle merci interamente prodotte in Serbia è lunga ma il punto che interessa gli imprenditori riguarda i manufatti prodotti in Serbia da materie prime serbe. Se i manufatti prevedono la lavorazione o trasformazione di materie prime o componenti provenienti dall'estero o di origini sconosciute, il valore di questi non deve superare il 50% del valore totale della merce esportata dalla Serbia. Altrimenti ci si ferma prima del ponte.

 

 

 

 

Nuovo patto tra Emma e Sergio

di Alberto OrioliCronologia articolo29 luglio 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 08:44.

L'ultima modifica è del 29 luglio 2010 alle ore 08:08.

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La Fiat va in Serbia ma le relazioni industriali non si balcanizzano. La strategia di Sergio Marchionne per indurre i sindacati a una gestione più razionale delle regole contrattuali e più in linea con le necessità di un'azienda con lo sguardo-mondo ha avuto due risultati.

 

Primo: ha indotto l'intera struttura associativa delle imprese, Confindustria, grazie alla mediazione di Emma Marcegaglia, a uno sforzo di leadership per cercare quegli spazi normativi adatti alle esigenze di una multinazionale vera che compete su mercati veri, alla ricerca di clienti veri. Dopo il vertice tra Marchionne e Marcegaglia in Farnesina, Fiat resterà in Confindustria e in Federmeccanica, dove è da sempre uno dei soci storici, e avrà le opportune franchigie per la newco di Pomigliano che diventerà uno stabilimento di frontiera anche per le relazioni industriali del futuro.

Secondo: ha imposto nel mercato dell'auto italiano a tutti – dai sindacati che difendono il lavoro, agli enti locali che sono interessati agli impianti sul territorio, al governo che deve pensare (e non pensa a fondo) la politica industriale – di adattarsi alla globalizzazione.

 

Non c'è più il dialetto semi-consociativo degli anni 70: non c'è un'impresa che scambia commesse pubbliche con la politica, preoccupata di avere consenso, non c'è più l'azienda che baratta l'attenzione al sindacato con la pace sociale. Il tutto magari pagato dall'inflazione e dalle vecchie, miracolose, svalutazioni competitive. Non c'è più quel mondo che tanti rimpiangono, magari fingendo di sognare il futuro con toni stentorei, ma in realtà con nostalgia per l'Italietta dove ci si metteva d'accordo tra pochi soci di un club decadente. Non a caso mai frequentato dai vertici attuali di Fiat e Confindustria.

 

Ora c'è la necessità di produrre velocemente e a costo minore automobili che piacciano al pubblico.

C'è la necessità di investire in ricerca, di studiare soluzioni tecnologiche che siano già ora il domani, di incrociare i gusti mutevoli di milioni di consumatori duramente colpiti dalla crisi mondiale.

Si tratta di produrre su scala inimmaginabile prima, su volumi che fino a un anno fa apparivano semplicemente colossali e che ora sono semplicemente il livello di sopravvivenza. Si chiama aumentare la produttività. Non diminuire i diritti, non diminuire i costi o le retribuzioni. Si deve agire secondo regole che sono le normali regole del lavoro nel mondo: semplicemente l'obbligazione tra chi percepisce una retribuzione e deve garantire con continuità e puntualità e regolarità una prestazione in forma di fatica o di ingegno. Tutto qui. A Pomigliano, ad esempio, per anni non è stato così: produzioni a singhiozzo, assenteismo patologico, permessi sindacali ipertrofici.

 

Nella sua disarmante semplicità, la visione del mondo alla Marchionne, in un contesto di bizantinismi negoziali e di continue contaminazioni tra mondo della politica e lobbies, è apparsa rivoluzionaria.

È un bene che la spallata del manager Fiat si sia rivelata, alla fine, sollecitazione a rivitalizzare l'aria. Tanto più ora che l'architettura delle relazioni industriali in Italia è stata appena ritoccata nell'ultimo accordo interconfederale che vede ancora contraria la Cgil. Quell'accordo in realtà ha già in se stesso tutto il potenziale di flessibilità normativa di cui ha bisogno la Fiat per avere certezze dopo gli impegni presi per Pomigliano: basta applicarlo nei suoi dettagli operativi o utilizzarlo come strumento per compiere un uteriore passo verso l'adattabilità delle forme contrattuali soprattutto azienda per azienda. Quando da Confindustria è partita quella spinta, non tutti ne hanno compresa la potenzialità riformista: ora ne appaiono più chiare le ragioni.

È un bene che non si siano create le condizioni di scontro nelle relazioni industriali, settore in cui l'Italia vanta comunque una tradizione che ha garantito coesione sociale anche nei momenti duri degli anni '70. Ma tutti devono comprendere come le prossime stagioni o sono di evoluzione o di arretramento.

 

 

 

La Fiat sospende per due mesi la decisione sulla disdetta del contratto nazionale

Cronologia articolo29 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 12:47.

La Fiat ha sospeso per due mesi la decisione sulla disdetta del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici e sull'uscita da Confindustria, dopo l'incontro di ieri tra Sergio Marchionne ed Emma Marcegaglia. Lo riferiscono fonti sindacali presenti all'incontro all'Unione Industriali di Torino su Fabbrica Italia. Alla riunione - sempre secondo quanto riferiscono i sindacati - la Fiat ha comunicato la disdetta degli accordi sul monte ore dei permessi sindacali negli stabilimenti di Pomigliano e di Arese. (ANSA).

 

 

Lo stabilimento di Mirafiori

Cronologia articolo27 luglio 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2010 alle ore 17:58.

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DOVE SI TROVA

Lo stabilimento si trova nel quartiere Mirafiori Sud, che prende nome dal vecchio castello di Mirafiori dei Savoia

A QUANDO RISALE

Fu inaugurato il 15 maggio 1939, ma la produzione automobilistica partì realmente solo nel 1947 con la seconda serie della 500 A e la rilocalizzazione delle linee della Fiat 1100, precedentemente costruita al Lingotto

QUANTO È GRANDE

Il complesso industriale di Mirafiori occupa una superficie di 2.000.000 di m2. Al suo interno si snodano 20 chilometri di linee ferroviarie e 11 chilometri di strade sotterranee che collegano i vari capannoni.

PRINCIPALI MODELLI COSTRUITI A MIRAFIORI

Fiat 500 Topolino (dal 1947), Fiat 1100 (dal 1947), Fiat 1400 (1950), Fiat 1900 (1952), Fiat 1100/103 (1953), Fiat 600 (1955), Fiat 500 (1957), Fiat 1200 (1957), Fiat 1800 (1959), Fiat 2100 (1959), Fiat 1300 (1961), Fiat 1500 (1961), Fiat 2300 (1961), Fiat 850 (1964), Fiat 124 (1966), Fiat 128 (1969), Fiat 127 (1971), Fiat 126 (1972), Fiat 131 Mirafiori (1974), Fiat Ritmo (1978), Fiat Panda (1980), Fiat Uno (1983), Fiat Regata (1983), Fiat Punto (1993), Autobianchi Y10, Lancia Lybra, Lancia Thesis

COSA PRODUCE OGGI

Attualmente dalla fabbrica escono i modelli: Fiat Punto, Fiat Idea, Fiat Multipla, Alfa Romeo MiTo, Lancia Musa. La capacità produttiva è di 1.115 vetture al giorno.

 

 

 

 

Nuovo patto tra Emma e Sergio

di Alberto OrioliCronologia articolo29 luglio 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 08:44.

L'ultima modifica è del 29 luglio 2010 alle ore 08:08.

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La Fiat va in Serbia ma le relazioni industriali non si balcanizzano. La strategia di Sergio Marchionne per indurre i sindacati a una gestione più razionale delle regole contrattuali e più in linea con le necessità di un'azienda con lo sguardo-mondo ha avuto due risultati.

 

Primo: ha indotto l'intera struttura associativa delle imprese, Confindustria, grazie alla mediazione di Emma Marcegaglia, a uno sforzo di leadership per cercare quegli spazi normativi adatti alle esigenze di una multinazionale vera che compete su mercati veri, alla ricerca di clienti veri. Dopo il vertice tra Marchionne e Marcegaglia in Farnesina, Fiat resterà in Confindustria e in Federmeccanica, dove è da sempre uno dei soci storici, e avrà le opportune franchigie per la newco di Pomigliano che diventerà uno stabilimento di frontiera anche per le relazioni industriali del futuro.

Secondo: ha imposto nel mercato dell'auto italiano a tutti – dai sindacati che difendono il lavoro, agli enti locali che sono interessati agli impianti sul territorio, al governo che deve pensare (e non pensa a fondo) la politica industriale – di adattarsi alla globalizzazione.

 

Non c'è più il dialetto semi-consociativo degli anni 70: non c'è un'impresa che scambia commesse pubbliche con la politica, preoccupata di avere consenso, non c'è più l'azienda che baratta l'attenzione al sindacato con la pace sociale. Il tutto magari pagato dall'inflazione e dalle vecchie, miracolose, svalutazioni competitive. Non c'è più quel mondo che tanti rimpiangono, magari fingendo di sognare il futuro con toni stentorei, ma in realtà con nostalgia per l'Italietta dove ci si metteva d'accordo tra pochi soci di un club decadente. Non a caso mai frequentato dai vertici attuali di Fiat e Confindustria.

 

Ora c'è la necessità di produrre velocemente e a costo minore automobili che piacciano al pubblico.

C'è la necessità di investire in ricerca, di studiare soluzioni tecnologiche che siano già ora il domani, di incrociare i gusti mutevoli di milioni di consumatori duramente colpiti dalla crisi mondiale.

Si tratta di produrre su scala inimmaginabile prima, su volumi che fino a un anno fa apparivano semplicemente colossali e che ora sono semplicemente il livello di sopravvivenza. Si chiama aumentare la produttività. Non diminuire i diritti, non diminuire i costi o le retribuzioni. Si deve agire secondo regole che sono le normali regole del lavoro nel mondo: semplicemente l'obbligazione tra chi percepisce una retribuzione e deve garantire con continuità e puntualità e regolarità una prestazione in forma di fatica o di ingegno. Tutto qui. A Pomigliano, ad esempio, per anni non è stato così: produzioni a singhiozzo, assenteismo patologico, permessi sindacali ipertrofici.

 

Nella sua disarmante semplicità, la visione del mondo alla Marchionne, in un contesto di bizantinismi negoziali e di continue contaminazioni tra mondo della politica e lobbies, è apparsa rivoluzionaria.

È un bene che la spallata del manager Fiat si sia rivelata, alla fine, sollecitazione a rivitalizzare l'aria. Tanto più ora che l'architettura delle relazioni industriali in Italia è stata appena ritoccata nell'ultimo accordo interconfederale che vede ancora contraria la Cgil. Quell'accordo in realtà ha già in se stesso tutto il potenziale di flessibilità normativa di cui ha bisogno la Fiat per avere certezze dopo gli impegni presi per Pomigliano: basta applicarlo nei suoi dettagli operativi o utilizzarlo come strumento per compiere un uteriore passo verso l'adattabilità delle forme contrattuali soprattutto azienda per azienda. Quando da Confindustria è partita quella spinta, non tutti ne hanno compresa la potenzialità riformista: ora ne appaiono più chiare le ragioni.

È un bene che non si siano create le condizioni di scontro nelle relazioni industriali, settore in cui l'Italia vanta comunque una tradizione che ha garantito coesione sociale anche nei momenti duri degli anni '70. Ma tutti devono comprendere come le prossime stagioni o sono di evoluzione o di arretramento.

 

 

 

 

 

Per la stampa estera quello di Marchionne è soprattutto un "ultimatum"

di Elysa FazzinoCronologia articolo29 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 16:17.

Sergio Marchionne "alza la posta", lancia un "ultimatum", pone le sue condizioni. Il braccio di ferro ingaggiato dalla Fiat con i sindacati ha eco sulla stampa internazionale, attenta a cogliere – in tempi di crisi - una possibile svolta nelle relazioni industriali in Italia.

"Marchionne chiede garanzie ai sindacati", titola il Financial Times. Il Ceo di Fiat, spiega Guy Dinmore, "ha alzato la posta nella sua disputa con i sindacati italiani chiedendo garanzie di produttività prima di andare avanti con il suo piano di investire 20 miliardi di euro nel suo paese natale nei prossimi cinque anni".

 

"Non stiamo facendo minacce, ma non siamo pronti a mettere a rischio la sopravvivenza dell'azienda", riferisce il Ft, citando i media italiani. Marchionne ha detto ai leader sindacali che Fiat è la sola azienda che intende investire una somma del genere in Italia, una somma che è quasi pari ai tagli della manovra nel 2010 e 2011. Fiat, che è il principale datore di lavoro privato in Italia, progetta di raddoppiare la produzione italiana di auto entro il 2014, continua il quotidiano britannico. "Ma abbiamo bisogno di garanzie che gli impianti possano funzionare". Marchionne, ricorda il Ft, "sta sfidando i contratti nazionali concordati tra sindacati e datori di lavoro su retribuzioni e condizioni di lavoro".

 

Nato in Italia, ma educato in Canada – nota il Ft - il manager "è tornato in Italia per mettersi alla testa di un conflitto con i sindacati seguito da vicino dal governo di centro-destra e dalla Confindustria". Marchionne, "che ha sollecitato i lavoratori ad affrontare le sfide della globalizzazione", ha osservato che l'Italia è il solo paese dove il gruppo Fiat ha registrato una perdita.

 

Fiat ha creato una nuova società per gestire Pomigliano, "aprendo la prospettiva che Marchionne sia pronto a imporre condizioni di lavoro ai lavoratori disposti a firmare", si legge ancora sul quotidiano. Dinmore ricorda le preoccupazioni dei sindacati per il trasferimento della produzione di due futuri modelli da Mirafiori a un impianto in Serbia, dove Fiat "ha ottenuto garanzie di incentivi dal governo serbo".

 

"Ultimatum" è la parola ricorrente nei titoli della stampa francese. Di ultimatum parla infatti un lancio Afp pubblicato sui siti di Les Echos e Le Figaro: l'ad Fiat ha lanciato un ultimatum ai sindacati "perché si impegnino ad accettare di rivedere gli accordi attuali per rendere le fabbriche italiane competitive, condizione ‘sine qua non' per attuare il suo progetto di raddoppiare la produzione locale". E' in sostanza una "messa in guardia": Marchionne ha avvisato che "il peso della presenza Fiat in Italia è in gioco" e che in caso di "no" "gli investimenti previsti per l'Italia saranno ridimensionati". Nel suo titolo, Le Figaro introduce il tutto con la parola chiave "Competitività".Un breve lancio dell'agenzia americana Bloomberg, ripreso sul sito del San Francisco Chronicle, informa – citando l'Ansa - che Marchionne conferma il piano di produzione italiano, 20 miliardi di euro di investimento. Sul caso Fiat, un servizio di New York Times- International Herald Tribune della scorsa settimana faceva notare quanto sia importante per l'Italia "persuadere gli italiani "a cambiare abitudini di lavoro, se vogliono che il loro futuro finanziario migliori, sia individualmente che come nazione".

 

 

 

2010-07-28

Marchionne: "La disdetta al contratto è praticabile". Il ministro Sacconi contrario ad "atti unilaterali"

Cronologia articolo28 luglio 2010Commenti (8)

Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2010 alle ore 11:51.

Sergio Marchionne ha confermato il piano "Fabbrica Italia", "unica azienda - ha

detto - ad investire 20 miliardi nel Paese. Ma - ha aggiunto - dobbiamo avere garanzie che gli stabilimenti possano funzionare". Il ceo di Fiat, al tavolo con i sindacati (presenti i leader di Cgil, Cisl e Uil), il ministro del welfare Maurizio Sacconi e alla presenza del governatore del piemonte Roberto Cota, il presidente della Provincia Antonio Saitta e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino , ha ribadito l'intenzione del Lingotto di non considerare la produzione dell'auto in Italia "secondaria".

Il manager, secondo quanto riferito da alcune fonti che partecipano al tavolo, ha aggiunto che la produzione della monovolume 'L0' in Serbia "non toglie prospettive a Mirafiori". Per Marchionne "esistono alternative per garantire i volumi di produzione" nella fabbrica torinese. Poi, però, lo stesso Marchionne ha aggiunto "ci sono solo due parole, al punto in cui siamo, che richiedono di essere pronunciate: una è sì, l'altra è no". "Sì, vuol dire modernizzare la rete produttiva italiana; no, vuol dire lasciare le cose come stanno, accettando che il sistema industriale continui ad essere inefficiente e inadeguato a produrre utile e quindi a conservare o aumentare i posti di lavoro".

Marchionne, inoltre, ha affermato che: "Si parla molto della possibilità della Fiat decida disdetta dalla Confindustria e quindi dal contratto dei metalmeccanici alla sua scadenza. Se necessario siamo disposti anche seguire questa strada, ma non abbiamo nessun preconcetto". "Per noi - ha aggiunto - la cosa importante è raggiungere il risultato e avere la certezza di gestire gli impianti. Produrre a singhiozzo, con livelli ingiustificati di assenteismo, o vedere le linee bloccato per giorni interi è un rischio che non possiamo accollarci"

La strategia di Fiat, soprattutto dopo la creazione della newco per Pomigliano, ovviamente ha destato, e sta destando, preoccupazione tra le controparti e i politici locali. "Il piano di Fiat sarebbe insostenibile dal punto di vista sociale ed economico se dovesse venir meno Mirafiori", ha detto il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. "La cosa migliore - ha affermato Guglielmo Epifani, segretario della Cgil - è cercare una mediazione e non usare i carrarmati: più buonsenso e meno i muscoli. Chiederemo a Fiat - ha aggiunto - lavoro, occupazione e investimenti anche in Italia, chiarezza su futuro di Mirafiori e Pomigliano senza dimenticare Termini Imerese. Dobbiamo avere qualche certezze: i lavoratori non posso vivere alla giornata".

Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, invece dice "sì" al piano "Fabbrica Italia" di Fiat. Un ok che è "senza se e senza ma", ha puntualizzato Bonanni. "E questo sì vale anche per l'accordo a Pomigliano - ha continuato il leader della Cisl -. Ma vogliamo che Marchionne faccia chiarezza sul fatto che le modalità dell'investimento rimarranno nel perimetro delle regole del nuovo sistema contrattuale che abbiamo costruito".

Il progetto Fabbrica Italia è "importante. I numeri contenuti nel piano devono essere

riconfermati" ha chiesto, dal par suo, il ministro Sacconi, secondo cui "è giusto che l'azienda investa garantendo il pieno utilizzo degli impianti". "Il Governo - ha aggiunto Sacconi - ha sollecitato le parti a restare nell'alveo delle tradizionali relazioni industriali che hanno dimostrato capacità di rigenerazione. Non occorrono inopportuni atti unilaterali nel sistema delle relazioni industriali". "Le parti -ha detto -devono cercare le modalità per adattare il sistema delle relazioni ad esigenze concrete: investimenti nei siti produttivi e piena efficienza degli impianti ed affidabilità".

 

 

 

Mirafiori, mito ormai sbiadito

Marco FerrandoCronologia articolo28 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2010 alle ore 08:09.

"Adesso vuole vedere che faremo la fine del Lingotto? Ma io al posto della fabbrica un centro commerciale mica lo voglio".

Mentre rientra dal mercato, Silvana Giaccone, 62 anni di cui quasi 40 vissuti nel quartiere simbolo della Torino fordista, guarda al di là di corso Unione Sovietica e corso Agnelli, indica la facciata bianca dove fino a qualche anno fa campeggiava il logo blu della Fiat e sospira: "Quando sono arrivata qui il piazzale era sempre pieno di macchine, adesso hanno costruito case e giardini perché i parcheggi non servono più".

La signora Silvana ha le borse piene, perché nel week end arriveranno le sue due nipoti con un biglietto in tasca per il concerto degli U2 del 6 agosto, allo stadio Olimpico: "A me fa piacere, ma qui ormai si parla solo di musica". In realtà a Torino oggi si parlerà anche del futuro della Fiat, con il tavolo che questa mattina si apre in Regione. Ma nel quartiere che più di tutti ha famigliarità con le liturgie sindacali, la fiducia non abbonda: "I tavoli si fanno se si ha qualcosa da offrire in cambio", osserva con disincanto Corrado Ferro, 78 anni, entrato in Fiat nel '51 da colletto bianco e poi passato al sindacato, dove è diventato segretario regionale della Uil. "Oggi le istituzioni che cosa avranno da offrire a Marchionne? Poco o niente, in confronto a quello che può mettere sul tavolo un paese come la Serbia". A dire il vero tra le case popolari di via Dina, Kragujevac non è altro che "un posto dove la gente viene sfruttata più che da noi", come dice amaramente Sergio Settimo, ex giovane di Mirafiori che dopo qualche anno di carcere ha ottenuto la semi-libertà e dà una mano in parrocchia, ma quel che si percepisce chiaramente è l'impotenza. Di fronte a un processo ineluttabile, partito vent'anni fa e che periodicamente sembra approdare al punto di svolta. A Mirafiori gli ultimi raggi di sole si sono visti nell'estate 2006, quando in piena cura Marchionne è stata avviata la nuova linea per la Punto e da un angolo dello stabilimento è stato ricavato il Motor village, grande concessionario con cui la fabbrica sembrava improvvisamente voler abbattere i suoi muri e per la prima volta aprirsi al quartiere. Poi la nebbia, sempre più fitta. Che dalla grande fabbrica arriva a lambire quei pezzi di città che la circondano: corso Traiano con i suoi palazzi medio-borghesi, l'asse di via Dina con le casette Fiat e il grande complesso salesiano degli istituti Edoardo e Virginia Agnelli, piazza Dante Livio Bianco e il nucleo di palazzoni tirati su a partire dagli anni '50, tutti a base di due camere, tinello e cucinino. "Ormai la Fiat non è più la protagonista indiscussa del passato – osserva don Gianni Bernardi, da 25 anni parroco di Gesù Redentore, chiesa simbolo del boom edilizio degli anni '60 –, ma sarebbe un errore sottovalutarne l'importanza". I simboli forse hanno preso il posto della realtà delle cose, ma "la Fiat – prosegue – resta centrale per tutto l'indotto, diretto e indiretto. Che alla fine tutto permea, dagli equilibri economici a quelli sociali. A lavorare a Mirafiori qui sono rimasti in pochissimi, ma la Fiat, Sergio Marchionne, la Serbia e Pomigliano sono sulla bocca di tutti. E la gente si chiede: che senso avrebbe vivere in questo quartiere se chiude la Fiat?". Interrogativi amari, che svelano l'orgoglio di un quartiere che si vede sempre più invecchiato, sbiadito. I tre bandi per l'attrazione di nuove imprese nell'area acquistata dagli enti locali andati deserti, la fugace apparizione dei fasti di Torino 2006 che qui ha lasciato solo un palazzetto per il ghiaccio, lo stesso Motor village, "sono solo tamponi che lasciano il tempo che trovano", dice ancora don Gianni. Il problema numero uno resta naturalmente il lavoro, e chi cerca di risolverlo fatica, più della media. Come il centro lavoro del Comune di Torino, che grazie ai fondi del programma Urban 2 ha deciso di insediare proprio in via Carlo Del Prete, a due passi dalla grande fabbrica: uno strumento innovativo, che abbina i tradizionali servizi di sportello ai percorsi di ricollocazione; dal 2007, quando è stato inaugurato, fino al 31 maggio scorso, 18mila persone hanno portato curricula, consultato annunci, chiesto informazioni. Alcune centinaia sono state ricollocate, e per 186 di loro è saltato fuori un contratto di un anno o addirittura a tempo indeterminato: solo 19 hanno trovato uno spazio nel metalmeccanico, però, a dimostrazione di un mercato contratto, quasi impenetrabile.

"Ciò che fa più soffrire – confessa Lorenza Roggio – è vedere operai specializzati nel pieno della loro carriera, magari con vent'anni di esperienza e stipendi da 2mila euro al mese, costretti ad arrendersi a una busta paga che non arriva alla metà. Ma non c'è molto da scegliere". "La sensazione è che qui si stia creando un vuoto, economico ma anche culturale", abbozza Renato Bergamin, che da presidente della fondazione cascina Roccafranca coordina un posto strano, bellissimo, un ex fabbricato agricolo completamente restituito al quartiere dopo vent'anni di degrado – sempre grazie ai fondi del programma Urban 2 – che oggi dà lavoro a 20 persone grazie a un ecomuseo, un centro studi, una biblioteca e una "piola", omaggio alle osterie di un tempo. Proprio qui, nelle sale chiuse non da muri ma da ampie vetrate, in questi giorni è allestita una mostra fotografica dedicata alla Mirafiori di ieri e di oggi: decine di scatti, spesso prelevati dagli album di famiglia, "intorno ai quali si è sviluppato un interesse e un'emozione che forse non ci aspettavamo neanche: qui i legami con il passato sono intatti, e la fabbrica in un modo o nell'altro ne fa sempre parte".

marco.ferrando@ilsole24ore.com

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Fiat-Confindustria, ok più vicino

Nicoletta PicchioCronologia articolo28 luglio 2010

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 luglio 2010 alle ore 08:05.

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ROMA - La nascita della newco, Fabbrica Italia Pomigliano, formalizzata ieri; il progetto complessivo degli investimenti della Fiat nel nostro paese (20 miliardi nei prossimi cinque anni) ma anche la soluzione contrattuale che possa mettere il Lingotto al riparo da controversie giuridiche da parte di chi non ha firmato l'accordo per Pomigliano, a scapito della produttività e del funzionamento dello stabilimento.

 

Ci saranno tutti e tre questi argomenti oggi sul tavolo convocato dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, con i vertici della Regione e del Comune, lo stato maggiore dei sindacati, nazionali e di categoria, e la Fiat. Sergio Marchionne, appena tornato dagli Stati Uniti, ci sarà. E ci sarà anche domani mattina, stavolta nella sede dell'Unione industriali di Torino, nell'incontro con i sindacati, ufficializzato ieri. Una mattinata con due round: il primo con la Fiom al tavolo, sul progetto Fabbrica Italia e quindi sui progetti che l'azienda di Torino ha per il nostro paese. L'altro solo con i sindacati che hanno firmato l'intesa per Pomigliano, quindi Fim, Uilm, Ugl e Fismic, eccetto la Fiom, sul futuro dello stabilimento.

La nascita della newco per Pomigliano, che riassumerà i 5mila lavoratori dell'azienda, è una novità che i sindacati si aspettavano. Era una delle strade ipotizzate dalla Fiat per poter applicare l'intesa limitando il dissenso e gli eventuali ricorsi della Fiom.

Ma per i piani alti del Lingotto potrebbe non bastare per raggiungere l'obiettivo di lavorare con produttività e competitività adeguata. Per concretizzare quella "strategia di vendere auto", come usa ripetere Marchionne. Tra le ipotesi discusse, la disdetta del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici, per staccare la newco dalle regole del contratto di categoria.

Oggi i sindacati lo chiederanno a Marchionne, per avere chiarimenti prima ancora di incontrarlo domani per quelle "comunicazioni ufficiali" con cui sono stati convocati all'Unione industriali dalla Fiat. La situazione è in continua evoluzione. E vede tutti al lavoro, dalla Fiat, alla Confindustria, al sindacato. Marchionne si è sentito in questi giorni con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ed oggi dovrebbero avere un incontro riservato, a Roma.

L'idea attorno a cui si sta ragionando è quella di applicare l'accordo sindacale firmato per Pomigliano e non iscrivere la newco all'associazione confindustriale territoriale, tenendola fuori dal sistema Confindustria, e quindi di non applicare il contratto nazionale. Contemporaneamente non si esclude che si possa mettere mano al contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici, prima della scadenza, che sarebbe a fine 2012 (nel caso dell'ultima intesa siglata separatamente nel 2009 e quindi triennale in base alla riforma del contratti): si tratterebbe di rendere più esplicite e cogenti le possibilità di deroghe già previste nella riforma del contratti di un anno fa.

Ciò eviterebbe l'effetto dirompente di una disdetta, che comporterebbe anche l'uscita della Fiat, anche se solo per il settore auto e magari temporaneamente, dal sistema confindustriale, e quindi da Federmeccanica.

Tanto più che operativamente, spiegano gli esperti, la disdetta del contratto e quindi anche la fuoriuscita dal sistema confederale, avrebbero effetti solo alla scadenza dell'attuale CCNL dei metalmeccanici, quindi a fine 2012.

Mentre sarebbero immediati gli effetti sulle relazioni sindacali. I sindacati hanno già alzato un muro: non solo la Fiom, che con Maurizio Landini, ha giudicato la disdetta un atto "grave e immotivato". Ma anche gli altri, firmatari dell'accordo per Pomigliano. Sì alla newco, hanno detto sia la Fim che la Uilm, ma il contratto nazionale non si tocca. "Mi rifiuto di credere ad una disdetta, anche perchè non avrebbe senso ora, visto che il contratto nazionale scade nel 2012", dice Rocco Palombella, numero uno della Uilm, più propenso a ipotizzare una disdetta degli accordi integrativi del pianeta Fiat auto, mentre il leader nazionale, Luigi Angeletti, ancora ieri ha incalzato la Fiat su un chiarimento del progetto industriale. "Operazione inutile e dannosa, ci opporremo con tutte le nostre forze", commenta il leader della Fim, Giuseppe Farina. Nella Cisl non si esclude invece una soluzione che potrebbe portare a rimettere mano al contratto dei metalmeccanici a breve.

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I NUMERI

25mila - I dipendenti coinvolti

L'ipotesi di distacco di Fiat Auto dal contratto nazionale prevede il coinvolgimento di 25mila addetti: si tratta dei lavoratori degli stabilimenti di Mirafiori, Cassino, Pomigliano e Termini Imerese e degli impiegati degli enti centrali.

938mila Federmeccanica

I lavoratori che operano nelle 1.200 imprese aderenti a Finmeccanica sfiorano quota un milione. Il settore, nel complesso, dà lavoro in Italia a poco più di due milionio di persone, in calo deciso nel 2009 a causa della recessione globale. Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna le tre regioni più rappresentate. Poi Veneto, Friuli Venezia Giulia e Toscana. La quota di operai sul totale supera il 57%.

 

 

 

2010-07-27

Fiat vara la newco Fabbrica Italia Pomigliano. Meditando l'uscita dal contratto nazionale

di Stefano NatoliCronologia articolo27 luglio 2010Commenta

Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2010 alle ore 16:30.

Nasce Fabbrica Italia Pomigliano. La società, iscritta al registro delle Imprese della Camera di Commercio di Torino è controllata al 100% da Fiat Partecipazioni ed ha sede legale a Torino. Il presidente è l'ad del Lingotto, Sergio Marchionne, affiancato in consiglio da Gianni Baldi (capo auditing del gruppo), Camillo Rossotto (tesoriere) e Roberto Russo (general counsel).

L'oggetto sociale della newco, che ha un capitale sociale di 50mila euro, è "l'attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti. A tal fine può costruire, acquistare, vendere, prendere e dare in affitto o in locazione finanziaria, trasformare e gestire stabilimenti, immobili e aziende". La società può compiere inoltre "le operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell'oggetto sociale, ivi comprese l'assunzione e la dismissione di partecipazioni ed interessenze in enti o società, anche intervenendo alla loro costituzione".

La nascita di Fabbrica Italia Pomigliano è un passo preliminare per la costituzione di una nuova società, una new company in cui riassumere, con un nuovo contratto, i 5.000 lavoratori attuali della fabbrica campana. Si tratta del progetto Futura Panda a Pomigliano, per il quale la Fiat ha raggiunto un accordo con i sindacati il 15 giugno, non firmato dalla Fiom.

La Fiat, intanto, sarebbe pronta ad uscire da Federmeccanica e disdire il contratto di lavoro nazionale che regola il rapporto con i dipendenti del gruppo. L'annuncio, secondo quanto riportato oggi da organi di stampa, potrebbe essere dato giovedì all'Unione industriale di Torino, dove la Fiat ha convocacato i sindacati delle imprese metalmeccaniche. La disdetta interesserebbe 25.000 dipendenti - i lavoratori degli stabilimenti di Mirafiori, Cassino, Pomigliano e Termini Imerese e degli impiegati degli enti centrali - e diventerebbe operativa il 31 dicembre 2012, quando scadrà l'attuale contratto di lavoro e quindi la Fiat uscirebbe dalla Federmeccanica il primo gennaio 2013.

Non si placano, nel frattempo, le polemiche sulla delocalizzazione in Serbia di una parte della produzione Fiat. Spostare degli stabilimenti per ragioni di profitto non è "eticamente" giusta e a nessuno è "consentito sfruttare il lavoro umano": è quanto afferma, ai microfoni della Radio Vaticana, monsignor Beniamino De Palma, vescovo di Nola, diocesi in cui si trova anche lo stabilimento di Pomigliano d'Arco. "In questi giorni - ha spiegato il presule - siamo tornati alla paura di prima. Nel senso che le notizie che ci arrivano mettono in crisi, mettono in ansia tutto il mondo del Pomiglianese e del Nolano". "Per quanto riguarda l'ipotesi di spostare una parte della Fiat in Serbia unicamente per i profitti, non so se questo sia eticamente giusto" ha osservato il vescovo. "L'Italia - ha aggiunto - non può perdere il lavoro. Il diritto al lavoro viene prima e soprattutto prima del profitto, che non è l'unico valore". A proposito dei costi più bassi in Serbia (400 euro) rispetto a quelli italiani (1.300 euro), monsignor De Palma ha ammonito come a nessuno sia "lecito sfruttare il lavoro umano, a nessuno e per nessun motivo". "Con il lavoro - ha proseguito - non si scherza" e la Fiat deve "rispettare quelle che sono le esigenze umane del mondo del lavoro".

 

 

 

 

 

2010-07-25

L'auto senza mercato è ruggine

di Gianni RiottaCronologia articolo25 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2010 alle ore 14:30.

L'ultima modifica è del 25 luglio 2010 alle ore 08:09.

È difficile assegnare torti e ragioni nella querelle seguita alla scelta Fiat di produrre auto in Serbia, se ci lasciamo ipnotizzare dalle gesta dei protagonisti. Sergio Marchionne dichiara che per la sua azienda è naturale lavorare dove migliori sono le condizioni. Tutta la politica italiana, per una volta unita con armonia che ameremmo vedere su altri temi, si schiera ai cancelli di Mirafiori, come il Berlinguer di una volta.

I commentatori analizzano, si dividono, esagerano, c'è chi perfino lega la vicenda alla guerra dei Balcani, come se Clinton e D'Alema, leader del blitz che fermò il tentato genocidio di Milosevic, avessero voluto lucrare sull'auto.

La confusione oscura la posta in gioco a Torino. È certo interesse nazionale mantenere una forte presenza dell'auto in Italia, e nella sua storica sede sotto la Mole. Nessuna persona di buon senso vedrebbe la fine della "I" di Fiat come una buona notizia. Ma l'esito positivo non è - questo il punto di partenza che troppi nascondono - legato alla volontà di Marchionne, della famiglia Agnelli, alla trattativa del sindacato, raziocinante o estremista, alla pressoché irrisoria capacità di mediazione della politica, mai come in questi casi ridotta a comparsa, bene intenzionata al meglio, petulante al peggio.

La questione è: Fiat, chiunque la guidi, come qualunque altra fabbrica, chiunque la guidi, produrrà o no in Italia se, e solo se, le condizioni di mercato lo consentiranno. Anche se Marchionne decidesse "Mirafiori non si tocca", se il governo stanziasse i più pingui sussidi (stroncati presto dall'Europa), se si installassero al Lingotto i soviet più tosti della Fiom, (come ai tempi dell'Officina Sussidiaria Ricambi Osr, reparto ghetto per i comunisti alla Emilio Pugno, ribattezzata Officina Stella Rossa) il risultato non muterebbe.

Presto la competizione globale "automotive" condannerebbe alla resa lo storico stabilimento di Torino. Ricordo negli anni 80 il buio del turno dell'alba nella Rust Belt americana, la cintura della ruggine, operai metalmeccanici e siderurgici fieri di essere Middle Class con i loro 27 dollari l'ora di salario, presto battuti dalla competizione cinese a 16 centesimi di dollari l'ora. I giapponesi approfittarono della felice politica fiscale, di relazioni industriali positive, di collaborazione tra università e laboratori, e produssero automobili negli stati Usa del Sud. Chi seppe innovare e adattarsi al mondo nuovo prosperò. Chi si rifugiò nel passato e nell'invettiva fu divorato dalla ruggine. Fa bene il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, lasciato solo dal Partito democratico, a chiedere a tutti, governo, azienda e sindacato, responsabilità e maturità. Oggi in Piemonte non c'è solo Fiat-Chrysler. C'è la General Motors con i diesel di nuova generazione al Politecnico del rettore Profumo. C'è la Volkswagen con Giugiaro. C'è Pininfarina. Un polo e una cultura da non disperdere, ma che vanno resi competitivi. Per far sì che Fiat resti a Torino non bisogna convincere Marchionne o John Elkann. Bisogna creare le condizioni concrete perché le fabbriche restino, altre arrivino, nuove produzioni partano.

 

Difendere "i diritti" di Mirafiori fa fare buona figura nei talk show, ma non salva un posto solo di metalmeccanico. Al governo Berlusconi non basta "mediare" al solito, precario, tavolo d'estate. Deve garantire all'azienda un percorso virtuoso verso il successo: innovazione, ricerca, mobilità sostenibile, motori verdi. E ai lavoratori la rete che li accompagni nelle difficoltà.

Quando abbiamo sostenuto l'accordo di Pomigliano, e lamentato il clima di ostilità preconcetta che si era creato intorno al progetto di Fabbrica Italia, anticipavamo solo quel che è poi seguito, inevitabilmente. La diffidenza eccessiva seguita al referendum ha rallentato l'idea di investire nel nostro paese e riaperto le strade dell'estero. Non è una ritorsione di Marchionne - cui pure vanno raccomandate in questa ora saggezza e prudenza, per respingere la tentazione rischiosa di isolarsi e procedere da solo. È un calcolo costi-benefici che chiunque poteva far da sé. Lamentare il "ritorno a Valletta" è, di nuovo, efficace come slogan, del tutto inane come analisi e capacità di proposta. La "responsabilità sociale dell'azienda", le eterne lamentele dei tardo-olivettiani, non c'entrano nulla: perché mai dovrebbe essere meno "etico" dare lavoro a un serbo che a un italiano o un brasiliano? Quando un'azienda, a fine d'anno, conta i suoi lavoratori, può sentirsi "responsabile" a prescindere da che passaporto abbiano in tasca.

 

Noi italiani abbiamo il dovere di difendere la nostra comunità, il suo benessere, la sua capacità di creare ricchezza e cultura, il suo lavoro, consacrato dalla Costituzione nella prima riga. Il lavoro "italiano" però si difende, e la Costituzione si celebra, non dichiarando superbi "Mirafiori non si tocca!", o cercando trame oscure che da Milosevic arrivino alle utilitarie. Mirafiori, e tutte le Mirafiori del paese, si difendono se le aziende che già operano avranno il modo per radicarsi senza ostacoli, e dall'estero arriveranno altri marchi e altri investimenti. Se "fare" il made in Italy sarà una via crucis, a rischio non è solo Mirafiori, ma tutta l'industria italiana di manifattura che pure, scrive Martin Wolf sul Financial Times, "fa invidia a inglesi e americani".

 

 

 

2010-07-22

Fabbrica Automobili Globale, i mercati premiano Fiat. Il governo su produzione in Serbia: riaprire il tavolo

di Paolo BriccoCronologia articolo22 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 08:58.

L'ultima modifica è del 22 luglio 2010 alle ore 08:06.

Sergio Marchionne, il manager italiano partito da un sobborgo di Toronto, ha risanato la Fiat evitando che il nostro paesaggio industriale perdesse il suo fondamento storico che, ancora oggi, vale un buon 3% del Pil. Con lo scorporo dell'auto annunciato a Detroit, Fiat competerà sui mercati globali. John Elkann, l'azionista, ha condiviso con Marchionne l'elaborazione di una strategia dura e complessa che ha trasformato l'azienda fondata dal trisnonno, il mitico Senatore Giovanni, da impresa italiana a controllo familiare, pur col fascino cosmopolita del'Avvocato Agnelli, a gruppo internazionale.

La prima lingua non è l'amato dialetto piemontese, parlato nelle fonderie come nelle "alte sfere", identità o vezzo di appartenenza, ma l'inglese standard, secco e sintetico, del mondo globale.

I luoghi hanno un significato, e Elkann ha scelto di presiedere il consiglio di amministrazione di Fiat a Auburn Hills, quartier generale di quella Chrysler la cui ristrutturazione sta ottenendo ottimi, non buoni, risultati. Calendario dello spin off auto a parte, è questo l'elemento da sottolineare. Nasce un atlantismo industriale in cui, per una volta, le carte le dà l'Italia. Gli americani hanno ripreso a fidarsi del marchio Chrysler (407mila vetture vendute nel secondo trimestre, il 22% in più di quello precedente), e Marchionne ha parlato per la casa madre italiana di un trimestre, il secondo, "eccezionale", che ha visto un utile di gruppo di 113 milioni di euro, contro i 90 milioni attesi dagli analisti.

La borsa, che ha premiato tutti i titoli del gruppo, ha apprezzato l'impianto dello scorporo e ha applaudito la performance inattesa. La sospettosa Moody's, interessata ad approfondire le dinamiche finanziarie di un'operazione complessa e coraggiosa sotto il profilo industriale, mette per cautela sotto osservazione il rating. Routine, fra i mercati finanziari e gli autosaloni, fra le stanze ovattate del capitalismo internazionale e le linee ultra-automatizzate che sfornano vetture.

L'asse Marchionne-Elkann sta modernizzando una delle più antiche aziende italiane, l'unica che nel Novecento è stata fino in fondo una "impresa-istituzione", sincronizzandola con il tempo nuovo. La nostra era, con la vecchia America e la vecchissima Europa prive di egemonie e rendite di posizioni. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-07

 

 

"Troppe incertezze". Fiat sposta in Serbia la monovolume L Zero

di Andrea MalanCronologia articolo22 luglio 2010

 

Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 08:05.

DETROIT - Fiat alza la posta nella discussione sul piano Fabbrica Italia: l'amministratore delegato Sergio Marchionne ha annunciato ieri nella conference call con gli analisti finanziari che l'azienda ha deciso di produrre in Serbia une delle vetture che nel piano industriale presentato lo scorso 21 aprile era destinata a Mirafiori; si tratta della monovolume finora indicato come L0 (L Zero), ovvero la vettura che dalla fine dell'anno prossimo dovrebbe sostituire la Lancia Musa e le Fiat Idea e Multipla.

La decisione, presa nei giorni scorsi dal Group Executive Council, comporterà naturalmente un vuoto a Mirafiori nel momento in cui gli attuali modelli usciranno di produzione. Non solo: Marchionne ha detto agli analisti che "non sarebbe saggio" confermare nuovi investimenti in Italia "data l'incertezza" sull'accordo per aumentare la produttività a Pomigliano. "Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell'attività" ha spiegato il manager. Non si può produrre con il 90% dei dipendenti, è il suo ragionamento: ci vuole un'adesione totale al progetto, come quella – che cita spesso ad esempio – dei dipendenti Chrysler.

L'amministratore delegato del Lingotto ha ribadito peraltro che a Pomigliano la Fiat "ha intenzione di portare avanti l'investimento (da 700 milioni, ndr), lavorando insieme alla maggioranza dei sindacati che lo ha approvato". L'arrivo della Panda da fine 2011 è dunque confermato. Ma di fronte alla possibilità di una conflittualità che metta a rischio la produzione di un modello così importante, il manager tiene comunque aperta la strada del ritiro - anche a costo di perdere parte dei fondi investiti; troppo importante la partita della competitività degli impianti italiani. "Dobbiamo convincere i sindacati sull'assoluta necessità di modernizzare i rapporti industriali in Italia".

La decisione di ieri è destinata ad acuire lo scontro sindacale. Giorgio Airaudo, segretario della Fiom a Torino, ha detto che "se venisse confermata la volontà di portare il nuovo modello in Serbia si aprirebbero problemi a Mirafiori, smentendo gli impegni che la Fiat aveva illustrato il 21 aprile ai sindacati. Non vogliamo pensare che la Fiat – ha proseguito Airaudo – si relazioni con i lavoratori e i sindacati italiani contrapponendo sempre le produzioni tra un sito estero e un sito italiano". Il sindaco di Torino Sergio Chiamparino ha avvertito che "se la Fiat farà davvero quello che ha prospettato oggi, verrebbe meno uno dei punti chiave della produzione a Mirafiori". "Non vorrei che fosse Mirafiori, che più di ogni altro ha creduto nella possibilità di un rilancio – ha aggiunto il sindaco – a pagare i costi della vicenda Pomigliano". L'operazione serba risolve in realtà un altro problema a Fiat: fa avanzare il progetto di joint venture con la Zastava, che dopo la firma dell'accordo di 2 anni fa era ancora in attesa di un modello forte da produrre; né il progetto della piccola Topolino né quello di una low cost da esportare hanno infatti finora avuto via libera. L'investimento in Serbia vale quasi un miliardo di euro per arrivare a una capacità produttiva di 190mila vetture annue; la produzione della nuova monovolume dovrebbe iniziare tra la fine del 2011 e i primi mesi del 2012. La somma di 1 miliardo di euro verrà coperta per 250 milioni dal governo di Belgrado; 400 verranno da un prestito dalla Bei e il resto dall'azienda torinese; quest'ultima dovrebbe spendere dunque una somma comparabile con quanto avrebbe investito per produrre la L0 a Mirafiori; nel 2008 si era parlato per Zastava di un investimento di 700 milioni, di cui 200 contribuiti da Belgrado.

I SITI PRODUTTIVI DELLA FIAT ALL'ESTERO

SERBIA

Fiat ha rilevato gli stabilimenti della Zastava a Kragujevac e avviato l'opera di ristrutturazione e ampliamento della fabbrica. Sergio Marchionne ha annunciato ieri agli analisti che intende spostare qui la produzione della prossima monovolume

POLONIA

L'impianto della Fiat in Polonia conta attualmente circa 6.500 dipendenti. nello stabilimento polacco si producono attualmente la Panda, la Fiat 500, la Fiat 500 Abarth e la Ford Ka. Tychy vanta una capacità di circa 450 mila vetture l'anno

TURCHIA

La città di Bursa, in Turchia, è centrale nel paese per l'industria automobilistica: Renault-Oyak, Peugeot-Karsan e Tofas (joint venture tra Fiat e il gruppo finanziario turco Koç) hanno siti produttivi nei dintorni della città

 

 

 

Fiat in Serbia, il governo preme per la riapertura del tavolo. Bersani concorda

Cronologia articolo22 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 19:25.

"Credo che si debba quanto prima riaprire un tavolo tra le parti per discutere l'insieme del progetto Fabbrica Italia, cioè quel progetto che vuole realizzare investimenti nel nostro paese se accompagnati da una piena autorizzazione degli impianti secondo il modello già concordato a Pomigliano".

Lo ha detto a Pescara il ministro del Welfare e del Lavoro, Maurizio Sacconi riferendosi al progetto di Fiat . "Io credo - ha aggiunto il ministro - che ci sia modo di saturare i nostri impianti alla luce dei buoni risultati che il gruppo sta conseguendo negli ambiziosi progetti che si è dato. Certo occorrono relazioni industriali cooperative perchè invece le attività che in qualche modo fermano la produzione, minoranze che bloccano la produzione, non incoraggiano questi investimenti".

L'affondo di Calderoli. "La Fiat in Serbia? L'ipotesi ventilata da Marchionne non sta né in cielo né in terra. Se si tratta di una battuta, magari fatta per portare a più miti consigli i sindacati, sappia che comunque non fa ridere nessuno, diversamente sappia che troveranno da parte nostra una straordinaria opposizione". Lo dice il ministro per la semplificazione normativa Roberto Calderoli . Per il ministro "non si può pensare di sedersi a tavola, mangiare con gli incentivi per l'auto e gli aiuti dello stato e poi alzarsi e andarsene senza nemmeno aver pagato il conto".

Bersani: "Chi può convochi un tavolo". Serve un "tavolo" che affronti la vicenda Fiat, l'Italia non può permettersi di affrontare un capitolo così delicato per l'economia del Paese "attraverso dichiarazioni" e sarebbe anche bene nominare finalmente "uno straccio di ministro dello Sviluppo". Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, a margine di un convegno sulle donne, parla ai giornalisti della vicenda Fiat: "Faccio io una domanda: chi è che convoca un tavolo per la Fiat? Non pretendo che sia il ministro ad interim, in tutt'altre faccende affaccendato. Lui è nel... frutteto alle prese con le mele marce!". Insomma, "chi può convochi un tavolo" e, comunque, "lo vogliamo fare uno straccio di ministro dello Sviluppo?".

Bonanni invoca chiarezza su Fabbrica Italia. "Marchionne fermi le bocce. Occorre chiarezza su numero e modelli che si produranno in Italia". Questo il monito del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni al numero uno della Fiat Sergio Marchionne, dopo le ultime dichiarazioni su Mirafiori. "La Fiat - si legge in una nota - deve fare chiarezza su tutto il progetto 'Fabbrica Italia'. Per questo all'ammnistratore delegato, Marchionne diciamo: fermi le bocce, faccia luce sugli investimenti dell`azienda. Ed avvii una discussione aperta col sindacato, per tutti gli stabilimenti del Lingotto". "Ma - aggiunge Bonanni - a qualche pezzo del movimento sindacale diciamo anche di smetterla con i polveroni che servono solo a produrre incertezze tra i lavoratori. Occorre che la Fiat precisi il numero e i nuovi modelli delle autovetture che intende produrre negli stabilimenti in Italia. Non aiutano in questo momento la confusione e le polemiche. Bisogna evitare di alimentare su questa delicata vicenda sindacale le strumentalizzazioni politiche che rischiano di scaricarsi sulla pelle dei lavoratori".

Nuovo balzo di Fiat, intanto, a Piazza Affari, all'indomani dell'approvazione dei piani di scorporo dell'auto e dell'annuncio di dati trimestrali superiori alle attese. Il titolo del Lingotto sale del 2,12% a 9,87, tra scambi sostenuti e pari al 3,4% del capitale, dopo una raffica di promozioni arrivate dalle principali banche d'affari.

Il mercato, spiegano gli operatori, non ha dato molto peso all'annuncio fatto ieri dopo la chiusura delle contrattazioni dall'agenzia Moody's di voler mettere sotto revisione il rating assegnato a Fiat, in vista di un possibile declassamento. A sostenere gli acquisti in Borsa, dopo un balzo del 6,74% segnato già alla vigilia, sono stati invece, come detto, i diversi studi sul gruppo di Torino diffusi dagli analisti finanziari all'indomani dei dati. "Va anche aggiunto - precisa un operatore - che i termini dello spin-off erano noti, e questo rialzo sembra più che altro un movimento finanziario incoraggiato dalle notizie sullo scorporo".

Le reazioni degli addetti ai lavori sono comunque più che positive. Su Fiat sono intervenuti ad esempio gli analisti di Equita, che hanno alzato il prezzo obiettivo stimato per il titolo del 4% portandolo a 14,40 euro, confermando il consiglio di acquisto (buy). Commerzbank ha invece migliorato il consiglio da vendere (sell) a (hold).

Nomura Holding ha mantenuto il consiglio 'neutral', rivedendo però il target da 10,5 a 11 euro. Bene anche Societè Generale, che consiglia ora l'acquisto (buy) dei titoli del Lingotto (prima era 'hold', tenere), con l'analista Philippe Barriere che sottolinea come "la leva operativa delle misure di ristrutturazione intraprese nel 2008 e nel 2009 sta dando frutti, mentre Fiat sta vendendo segni di ripresa un pò in tutto il mondo, guidando un miglioramento della domanda, salvo per l'auto".

Il gruppo guidato da Sergio Marchionne è stato promosso da hold a buy anche da Unicredit. "Il probabile miglioramento delle attese e il piano di scorporo approvato ieri rappresentano due cause per rendere gli investitori più rialzisti", scrive l'analista Gabriele Parini in una nota.

Intanto, dopo, l'intervento di Moody's, l'agenzia Standard & Poor's resta ferma su Fiat a quanto annunciato già il 23 aprile scorso, quando aveva posto sotto osservazione in vista di un possibile taglio (CreditWatch negativo) il rating a lungo termine assegnato al gruppo di Torino (BB+) sulla scia proprio dei piani di scorporo dell'auto. In quell'occasione S&P aveva annunciato che una decisione sarebbe stata presa non appena fossero state disponibili più informazioni sullo spin-off.

 

 

 

 

010-07-10

Pomigliano farà la Panda, tutti i segreti della nuova utililitaria

di Giorgio PogliottiCronologia articolo10 luglio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2010 alle ore 09:56.

La nuova Panda (qui tutte le novità su come sarà fatta) verrà prodotta nello stabilimento di Pomigliano D'Arco. L'ad del Lingotto, Sergio Marchionne, ha confermato l'attuazione dell'accordo del 15 giugno con una decisione che sblocca l'investimento da 700 milioni, nell'incontro che si è svolto ieri a Torino con i leader dei sindacati firmatari dell'intesa (Cisl, Fim, Uil, Uilm, Fismic e Ugl). Non è stata convocata la Fiom che non aveva firmato, così come la Cgil che per voce del segretario Guglielmo Epifani considera l'esclusione un "fatto senza precedenti".

L'incontro era molto atteso dopo che al referendum tra i lavoratori dello stabilimento di Pomigliano si era affermato il sì, ma con una percentuale (67%) ben inferiore alle attese, tanto da mettere a rischio il trasferimento della produzione della panda dalla Polonia all'Italia. Ma guardando a quella maggioranza dei lavoratori che ha dato il proprio assenso la Fiat ha deciso di "dare continuità produttiva allo stabilimento campano e a tutto il sistema della componentistica locale", che riguarda all'incirca 15mila persone. Un comunicato della Fiat spiega che l'azienda e i sindacati firmatari dell'accordo "si impegneranno per la sua applicazione con modalità che possano assicurare tutte le condizioni di governabilità dello stabilimento". L'attuazione dell'intesa su Pomigliano ha anche una valenza più generale, essendo considerata dal Lingotto "la condizione necessaria per la continuità dell'impegno della Fiat nel progetto Fabbrica Italia" che prevede il raddoppio della produzione di auto in Italia entro il 2014.

Con una lettera inviata a tutti i dipendenti (si veda l'articolo a fianco), Marchionne ha sottolineato la scelta "eccezionale" della Fiat di "compiere questo sforzo in Italia, rinunciando ai vantaggi sicuri che altri Paesi potrebbero offrire". Un concetto ribadito dal presidente della Fiat, John Elkann: "La decisione di procedere con gli investimenti programmati è un importante segnale di fiducia – ha detto –. Significa che crediamo nell'Italia e intendiamo fare fino in fondo la nostra parte. Molte cose stanno cambiando intorno a noi, e oggi può essere l'inizio di una fase completamente diversa". Per Elkann il successo "dipenderà da quanto ciascuno saprà essere protagonista di questo cambiamento". Il governo, tramite il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, saluta con "grande soddisfazione" la decisione non solo per "i grandi volumi di lavoro" generati, ma anche perché "è per la prima volta il frutto non di interventi pubblici ma dell'autonoma capacità delle parti sociali di creare condizioni tali da rendere conveniente l'investimento". Il numero uno della Cisl sottolinea che "nonostante tutti i profeti di sventura e le chiusure ideologiche e politiche di una minoranza rissosa" la Fiat "non si è tirata indietro confermando gli impegni per Pomigliano". Raffaele Bonanni considera l'intesa una "svolta storica", una "iniezione di fiducia" auspicando che "altre imprese seguano l'esempio della Fiat di riportare le produzioni in Italia".

Forti critiche da Guglielmo Epifani, che nonostante il no della Fiom aveva annunciato il sostegno della Cgil al referendum e all'investimento su Pomigliano: "Ognuno può incontrare chi vuole – spiega il leader della Cgil – ma è sbagliato scegliersi gli interlocutori al semplice scopo di farsi dare ragione. Questo apre un problema formale nei rapporti fra Cgil e Fiat". Epifani fa sapere che la Cgil "non delegherà ad altri il ruolo della rappresentanza dei lavoratori" e "non accetterà mai che siano gli interlocutori a scegliere con chi confrontarsi", aggiungendo: "parteciperemo ad ogni sforzo per consolidare la produzione e tutelare l'occupazione ma senza mai rinunciare alla difesa dei diritti dei lavoratori".

Per Luigi Angeletti "se la Cgil vuole essere della partita è la benvenuta purché non crei ostacoli alla piena attuazione dell'accordo". Il segretario della Uil ricorda la peculiarità della vicenda di Pomigliano: "Negli altri paesi i sindacati fanno i salti mortali per difendere quello che hanno – sostiene -, rinunciano a scioperare, si sono ridotti i salari per evitare le delocalizzazioni. In questo caso si sposta in Italia una produzione dalla Polonia, ecco perché l'investimento su Pomigliano va difeso a qualunque costo".

©RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

2010-06-23

Pomigliano, per gli industriali il voto è uno spartiacque (Ft)

di Elysa FazzinoCronologia articolo23 giugno 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 13:53.

Le condizioni poste dalla Fiat sono "dure", altre aziende sono pronte a mostrare i muscoli, i sindacati sono furenti ma indeboliti. In un reportage da Pomigliano d'Arco, richiamato sulla homepage del suo sito, il Financial Times sottolinea che in questo scontro è in gioco molto di più della sorte dello stabilimento campano.

"Il governo di centro-destra di Silvio Berlusconi e gli industriali", scrive Guy Dinmore, "vedono il voto come uno spartiacque nella storia delle relazioni industriali": aziende come la Fiat mostrano i muscoli contro un sindacato che un tempo era potente e ora è "indebolito dal processo di globalizzazione".

Sergio Marchionne, ricorda il Ft, ha indicato che avrebbe chiuso l'impianto con i suoi 5.300 lavoratori se non avesse raggiunto sufficiente consenso, ma "non ha definito" il livello di consenso ritenuto sufficiente.

"Questo è ricatto", ha detto al Ft Massimo Brancato, leader della Fiom di Napoli, che ha respinto l'offerta di Marchionne. "Se voti sì, mantieni il salario. Se no, sei senza lavoro".

Brancato, riferisce il quotidiano britannico, afferma che Finmeccanica e Indesit intendono fare lo stesso tipo di contratto se Fiat riesce a imporre le sue condizioni.

Marchionne ha promesso di investire 700 milioni di euro a Pomigliano e di trasferirvi la linea di produzione della Panda dalla Polonia. In cambio – spiega il Financial Times - i lavoratori devono accettare pause più brevi, straordinari obbligatori più lunghi, sanzioni contro quelle che la Fiat definisce "livelli inaccettabili" di assenze per malattia, restrizioni al diritto di sciopero.

L'approccio "prendere o lasciare" di Marchionne – continua il Ft - ha fatto arrabbiare i sindacati, con la Fiom che dice che le sue offerte di negoziare sono state respinte. L'ad Fiat – aggiunge - ha fatto infuriare i lavoratori quando li ha accusati di avere inscenato uno sciopero all'impianto siciliano di Termini Imerese perché volevano guardare la prima partita dell'Italia ai Mondiali.

"Non siamo schiavi. Voglio lavorare con dignità", ha detto al Ft un lavoratore che ha votato contro il piano. Ma la maggioranza hanno detto di avere votato a favore "perché non avevano scelta". "L'alternativa è chiudere l'impianto e perdere il lavoro", ha detto una donna. "E' questa l'economia mondiale in cui ci troviamo".

 

 

 

 

2010-06-22

Alta affluenza al referendum su Pomigliano

di Giorgio PogliottiCronologia articolo22 maggio 2010

Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2010 alle ore 18:59.

Alta affluenza al referendum promosso a Pomigliano d'Arco sull'accordo separato raggiunto da Fiat con Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Ugl. I votanti sono stati 4.642 nella consultazione che si è svolta dalle 8 alle 21 presso lo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco. Gli aventi diritto al voto erano 4.8881.

Il quesito, al quale i lavoratori hanno risposto con una croce sul sì o sul no, era: "Sei favorevole all'ipotesi d'accordo del 15 giugno 2010 sul progetto "Futura Panda" a Pomigliano?". Nello stabilimento campano oggi non c'è cassa integrazione: l'azienda ha infatti richiamato al lavoro, su richiesta dei sindacati, i 5.200 dipendenti per agevolare la partecipazione al voto, avendo fissato una giornata di formazione. Al primo turno è stata registrata una percentuale di assenteismo pari al 2,5%. Un appello alla Fiat è stato lasciato dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani: "Se c'é il sì dei lavoratori la Fiat porti avanti senza meno il suo progetto", ha detto aggiungendo: "il referendum é un passaggio molto delicato, se i lavoratori sono andati a votare, il loro sarebbe un sì alla Fiat, per cui voglio credere che anche la Fiat darà seguito all'accordo e non seguirà altre ipotesi di cui si legge in queste ore".

Tuttavia una netta affermazione del sì al referendum non è sufficiente per sbloccare l'investimento da 700 milioni necessario per trasferire la produzione della nuova Panda dalla Polonia a Pomigliano d'Arco. La Fiat intende "blindare" l'accordo per metterlo al riparo da ricorsi e dal contenzioso giudiziario che potrebbe compromettere la realizzazione del piano. Un team di giuristi del Lingotto sta lavorando su diverse ipotesi, tra queste c'è anche quella di creare una newco alla quale conferire lo stabilimento campano, per procedere alla riassunzione di ciascun dipendente secondo i criteri dell'intesa con le deroghe al contratto nazionale. Ma se dalle urne non dovesse prevalere in modo netto il sì, per la Fiat potrebbe anche riprendere quota il cosiddetto "piano B", con la produzione della nuova Panda in Polonia o Serbia.

La Fiom, che non ha firmato l'accordo, considera "illegittima la consultazione per le deroghe ai contratti, alle leggi e alla Costituzione, contenute nell'accordo separato" e ha lasciato libertà di coscienza ai propri iscritti, invitandoli ad andare a votare per evitare ritorsioni da parte dell'azienda. Solo i Cobas sostengono apertamente il no. Mentre tutte le confederazioni si sono schierate per il sì, compresa la Cgil.

 

 

 

 

 

L'OSSERVATORE ROMANO

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IL MATTINO

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2010-04-21

La GAZZETTA dello SPORT

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2010-02-11

CORRIERE dello SPORT

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2010-02-11

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